Renzi frena il toto-Colle e bacchetta la minoranza dem: "Serve un presidente per le riforme"
 











"Uno come Napolitano", un capo dello Stato autorevole in Italia e all’estero, che spiani le montagne di fronte al governo. "Un presidente per le riforme", è l’identikit che Renzi ha iniziato a far uscire nei suoi colloqui. Che si ponga in continuità con il mandato del predecessore e aiuti la maggioranza a completare il percorso riformatore appena iniziato. Una pista che può portare a diversi nomi con cui il premier intende comporre la sua rosa. Da ieri tuttavia uno dei petali, quello di Romano Prodi, agli occhi dei renziani appare un po’ più appassito.
Dopo l’uscita di Pierluigi Bersani le quotazioni del fondatore dell’Ulivo appaiono infatti in drammatica discesa. Scandagliando gli umori dei democratici più vicini al capo del governo non è difficile veder affiorare un grumo di risentimento e di sospetto per una candidatura subita come una "provocazione". Dai Civati a Vendola, da Bindi a Bersani, tutti i principali sponsor del Professore inParlamento appaiono oggi sul fronte degli oppositori del segretario Pd. Per questo un renziano della prima ora si spinge a definire l’endorsement di Bersani a Prodi come "il bacio della morte", l’affossamento definitivo di un nome gettato nella mischia in palese contrapposizione al patto del Nazareno. "Due identikit - spiega infatti uno degli esponenti del giglio magico - al momento si possono tranquillamente scartare. Uno è quello di un presidente-scendiletto, perché non passerebbe mai. E l’altro è quello di un presidente-giustiziere, che abbia come prima missione quella di opporsi a Renzi". E di certo non aiuta il fatto che, nel novero dei sostenitori occulti di Prodi, figurino a torto o a ragione anche tutti i nemici del Nazareno annidati in Forza Italia, da Minzolini a Fitto. A questo punto poco importa capire la ragione vera per cui Bersani, di certo non uno sprovveduto, abbia rilanciato con tanto candore il nome di Prodi sul proscenio. L’ex segretario del Pd, in Transatlanticoieri giurava che non ci fossero secondi fini: "Io sulla storia di Prodi sono andato a casa, cosa volete che dica se mi chiedono un parere? È ovvio che per me bisogna ripartire da lì". Ma in questa fase anche le intenzioni più genuine rischiano di ingenerare dubbi, retropensieri e fuochi preventivi di sbarramento.
In ogni caso, più che quello che rivela sul grado di apprezzamento di Prodi, l’uscita di Bersani è importante come segnale dello stato dei rapporti interni al Pd. Tornati al grado zero nonostante i tentativi di distensione delle scorse settimane. A sentire la minoranza bersaniana allo stato infatti manca qualunque presupposto per un accordo che tenga unito il Partito democratico. A pochi giorni dalle dimissioni di Napolitano, i gruppi dem sono infatti percorsi da una tensione sempre più forte. Emblematico il caso di Massimo Mucchetti, arrivato ieri a pretendere che il premier riferisca in aula sull’incidente del "salva-Silvio", tra gli applausi dei grillini e l’imbarazzodei colleghi dem come Giorgio Tonini. Per non parlare del muro contro muro sulle riforme. Dall’assemblea dei deputati di due giorni fa non è emersa infatti alcuna disponibilità di Renzi a inserire nella riforma costituzionale le proposte di modifica della minoranza. A partire dal controllo preventivo di costituzionalità sulla legge elettorale. Anche sull’Italicum i margini per rimettere in discussione i capilista bloccati e le pluricandidature sono prossimi allo zero. "Non è accettabile, dopo anni di Porcellum, che oltre il 60 per cento degli eletti sia composto da nominati", insiste il senatore dem Vannino Chiti.
Il cammino della legge elettorale, così intrecciato al calendario del Quirinale, ieri ha subito una battuta d’arresto: si ricomincerà a discutere in aula da martedì, sperando che il fine settimana possa portare a un’intesa. Appare chiaro comunque che la sponda su cui conta il capo del governo resta quella di Forza Italia. E proprio per rassicurare Berlusconi e i forzistisul rispetto degli accordi sulla clausola di garanzia, quella che dovrebbe rinviare al 2016 l’entrata in vigore della legge elettorale, nella serata di ieri si è fatta strada una soluzione a prova di bomba. Si sta trattando su un emendamento congiunto, firmato dai capigruppo della maggioranza "allargata", per mettere nero su bianco la clausola di garanzia. Un emendamento che avrebbe la benedizione ufficiale del governo. Contro questa ipotesi si sono scagliati ieri i ribelli forzisti ostili al patto con Renzi. E sono volate parole grosse tra il capogruppo Paolo Romani e alcuni dei firmatari degli emendamenti azzurri. "Voi  -  ha ingiunto Romani  -  dovete ritirare tutti gli emendamenti all’Italicum. Così il governo darà via libera alla clausola di garanzia". "Niente affatto", gli hanno risposto i ribelli, "prima si vota la clausola di garanzia e poi, forse, ci pensiamo ". Si parla di 1600 emendamenti solo di parte forzista, firmati da Minzolini e dall’area fittiana.Mentre si avvicinano il 15 gennaio e le dimissioni di Napolitano, la battaglia continua. Francesco Bei,repubblica









   
 



 
26-10-2015 - Italicum, 15 ricorsi in Corte d’appello su premio di maggioranza e ballottaggio. Due quesiti referendum in Cassazione
22-09-2015 - Perché l’Italia può e deve uscire dall’euro
10-09-2015 - La rottamazione del Mezzogiorno
09-08-2015 - I punti principali della riforma Costituzionale
07-07-2015 - Emiliano: Nomina la nuova Giunta
27-02-2015 - Milleproroghe, il dl è legge
26-02-2015 - Assunzioni irregolari a Firenze, Renzi assolto perché “non addetto ai lavori”
23-02-2015 - Milleproroghe: i partiti incassano senza trasparenza. Renzi proroga donazioni e rendiconti
16-02-2015 - La Repubblica extra-parlamentare
12-02-2015 - Seduta fiume su riforma Senato, passa il federalismo fiscale ma trattativa Pd-M5s fallisce
11-02-2015 - Riforma del Senato, intesa dopo la bagarre: ampliati di un terzo i tempi per la discussione
02-02-2015 - Mattarella, e la sua ”schiena dritta”
13-01-2015 - La Pa dà l’addio alla carta: in un anno e mezzo si passerà al digitale
11-01-2015 - La Salva Silvio salva anche i banchieri. E Renzi perde consenso
09-01-2015 - Renzi frena il toto-Colle e bacchetta la minoranza dem: "Serve un presidente per le riforme"

Privacy e Cookies