Nel corso della sua “Lectio Magistralis” all’Accademia dei Lincei, il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha sottolineato i pericoli derivanti dalla attività invasiva dell’Alta Finanza internazionale, il cui potere è ormai superiore a quello delle stesse banche centrali. Bella scoperta, si potrebbe osservare, considerato che tale situazione è perfettamente chiara a chiunque la voglia vedere. Da tempo infatti l’Unione europea e la Bce hanno attivato meccanismi per contenere gli attacchi mirati contro i titoli di Stato di Paesi in difficoltà nel tenere in ordine i conti pubblici. Attacchi provenienti dai mercati anglofoni, Wall Street e la City, che hanno comportato il rialzo del differenziale di rendimento (spread) con i Bund tedeschi, i più solidi della zona euro e quelli presi come punto di riferimento per certificare l’affidabilità ora dei Bonos spagnoli ora dei Btp italiani. Visco ha sostenuto infatti che le autorità nazionali disupervisione e regolamentazione, quindi le banche centrali, devono essere consapevoli del rischio che i loro poteri divengano limitati rispetto alla sfera di influenza di operatori finanziari globali. Il coordinamento della supervisione finanziaria tra Paesi e tra settori rappresenta un presupposto chiave per la stabilità del sistema finanziario internazionale. Una affermazione che sembra presupporre quindi per Visco la necessità, o forse sarebbe meglio dire la inevitabilità, di un governo della finanza su scala globale. Ma subito dopo, Visco ha ammonito che i regolatori e i supervisori siano attenti a mantenere a debita distanza le lobby del settore finanziario. Un intervento curioso soprattutto perché fatto in una fase di relativa bonaccia finanziaria per i Btp italiani e per lo spread con i Bund che, contrariamente ad ogni logica, è andato al ribasso dopo il risultato delle elezioni politiche che ha portato ad una situazione di instabilità in Parlamento e senza la possibilità di farnascere un governo in grado di governare. Un governo che, nelle aspettative dell’Alta Finanza anglofona dovrebbe completare il programma di privatizzazioni avviata dai governi di Prodi e di D’Alema. Ci sarebbe da ricordare che proprio ieri, come già avevano fatto Moody’s e Standard&Poor’s, anche Fitch ha tagliato il rating dei Btp italiani decennali portandolo a BBB+, ma si tratta di una decisione attesa. E allora forse la tirata di Visco potrebbe leggersi come un attacco a taluni personaggi, dotati di ampi poteri, dei quali sono noti i legami con le più importanti banche internazionali che da anni svolgono un lavoro ai fianchi dell’euro per farlo collassare. Tanto per non fare nomi, quel Mario Draghi, che dopo essere stato per tre anni vicepresidente per l’Europa della Goldman Sachs, è divenuto governatore della Banca d’Italia, quindi predecessore dello stesso Visco, e infine presidente della Banca centrale europea. Una nomina quanto mai priva di senso quella di Draghi allaBce, non fosse altro perché la Gran Bretagna non apprezza un euro forte e in grado di sostituire progressivamente il ruolo del dollaro sui mercati finanziari internazionali ed in tal modo rendere irrilevante anche il peso della stessa sterlina. E la Goldman Sachs è appunto una banca anglo-americana, più Usa che britannica in verità, che da almeno due decenni svolge un ruolo nefasto nella politica italiana. Dalle privatizzazioni di Eni e Telecom alle quali ha partecipato collocandone i titoli sui mercati finanziari, ed incassando una lauta provvigione di intermediazione, fino alle recenti speculazioni al ribasso sui Btp, per farne andare in basso il valore di mercato, fare salire gli interessi e quindi i rendimenti sulle prossime emissioni, alzare lo spread e fare saltare i piani finanziari dello Stato sul lungo termine. Un attacco ai fianchi per poi arrivare al vero obiettivo, ossia l’euro. Un ruolo nefasto che si è potuto avvalere della presenza negli ultimi governi di personaggicome Gianni Letta, Romano Prodi, Mario Monti e il non compianto Tommaso Padoa Schioppa, tutti a vario titolo ex consulenti della banca di affari e di speculazioni. L’intervento di Visco verteva sul tema “Economia e finanza dopo la crisi” e già lo stesso titolo teneva ad operare una distinzione tra due realtà che sarebbero dovute restare ben distinte, con la seconda messa al servizio della prima. Ma così non è stato visto che per i mercati finanziari circolano titoli “virtuali”, ossia derivati, il cui valore nominale è 80 volte superiore a quello dell’economia reale. La crisi, ha insistito Visco, ha dimostrato che non si sarebbe mai dovuta adottare una politica di benevolo distacco nei confronti degli sviluppi della finanza. Ne è conseguito un profondo ripensamento del quadro regolamentare e di vigilanza, soprattutto a livello internazionale. In un mercato finanziario globalizzato con operatori di grandi dimensioni l’azione individuale di singole autorità nazionali è destinata a fallire. E allora, i confini della vigilanza devono essere ampliati in modo da ricomprendere tutti gli intermediari rilevanti, indipendentemente dal settore specifico di appartenenza. E per garantire la stabilità finanziaria le Banche centrali dovranno svolgere un ruolo cruciale. La Banca centrale europea ha lasciato invariato il tasso di riferimento allo 0,75%. Nessunavariazione anche per gli altri tassi, quello sul rifinanziamento marginale all’1,50% e quello sui depositi allo 0%. E’ dal luglio del 2012 che l’istituto centrale di Francoforte non interviene. Allora il taglio fu dello 0,25% rispetto al dicembre 2011. La linea seguita da Mario Draghi e dal direttivo della Bce è sempre quella classica e “istituzionale”: garantire la stabilità dei prezzi anche se questo dovesse comportare conseguenze negative per la crescita economica. Come si sta verificando in questa fase di recessione laddove la decrescita economica si sposa con una inflazione media sopra il 2% nell’area dell’Euro. L’ex vice presidente della Goldman Sachs per l’Europa non intende cambiare linea. I Paesi del’Euro, l’Italia in primo luogo, devono andare avanti con le riforme “strutturali”. Come l’innalzamento dell’età pensionabile che permetterà alle esauste casse dello Stato di guadagnare qualche anno per fare fronte alle nuove emergenze finanziarie che si prospettano per l’entratain quiescenza di milioni di lavoratori. E come la riforma del mercato del lavoro che, introducendo dosi massicce di precarietà e flessibilità, e rendendo più facili i licenziamenti, consentirà alle imprese una maggiore elasticità nella riduzione del personale in presenza di una minore richiesta di prodotti. Draghi si dice comunque fiducioso. La debolezza economica nell’Eurozona si protrarrà per i primi sei mesi dell’anno, poi nella seconda parte dell’anno arriverà la ripresa. Come questo possa essere possibile, almeno nel caso dell’Italia, lo sa soltanto Draghi. Le banche, alle quali la Bce ha prestato una barca di quattrini al tasso di interesse dell’1%, continuano infatti a non fare prestiti alle imprese. A loro volta i cittadini hanno dovuto ridurre drasticamente i consumi a seguito dell’aumento delle tasse che ha abbassato a livelli minimi la domanda interna. Eppure i prestiti della Bce erano stati finalizzati proprio a sostenere le imprese e ad aiutare le famiglie “virtuose” indifficoltà. Ma si sa, quei soldi, le banche li hanno utilizzati per ricapitalizzarsi dopo aver prosciugato il proprio patrimonio in investimenti andati a male o in vere e proprie speculazioni. Draghi e i suoi sono così stati costretti a rivedere al ribasso le stime di crescita del Prodotto interno lordo dei Paesi dell’euro in una fascia fra il meno 0,9% e il meno 0,1% per questo anno e fra lo 0% e il più 2% per il 2014. Insomma, siamo sempre al gioco dei bussolotti con i tecnocrati che si muovono tra previsioni e speranze. Nella abituale conferenza stampa, Draghi ha toccato i problemi dell’Italia con riferimento al risultato delle ultime elezioni politiche che hanno registrato il successo di una forza che dichiara apertamente la sua avversione per la moneta unica e per il Patto d stabilità che sta causando una recessione devastante di cui non si vede la fine. Draghi, comunque non è preoccupato. I mercati, ha sostenuto, sanno che viviamo in sistemi democratici e diconseguenza sono meno impressionabili dei media e dei politici. Quello che, a suo avviso è importante, è che l’Italia prosegua, come se avesse il pilota automatico (!) nel consolidamento dei conti pubblici e con le riforme strutturali dell’economia. Tiepide seppure in positivo le reazioni delle principali Borse europee mentre lo spread tra i Btp decennali e i Bund tedeschi è sceso ancora a 310 punti. Un segnale evidente del fatto che, in questa fase, nessuno, investitori o speculatori, è intenzionato ad andare all’attacco di un Paese del’euro come l’Italia, sia pure con un debito pubblico al 127% del Pil. Meglio aspettare l’evoluzione della situazione prendendo atto che al governo c’è ancora un ex consulente della Goldman Sachs, come Mario Monti, che garantisce del taglio della spesa pubblica, dello smantellamento dello Stato sociale, della attuazione delle riforme “strutturali”, come invoca anche Draghi. E che soprattutto garantisce che verrà attuata in breve tempo laprivatizzazione delle aziende ancoro sotto controllo pubblico. Eni, Enel e Finmeccanica. E’ quello il vero obiettivo della speculazione. Costringerci a vendere le azioni in mano allo Stato, prospettando in tal modo la possibilità di ridurre il debito pubblico. Uno sfascio che, purtroppo, nessuna forza politica sembra in grado dio contrastare. Forse perché non lo vuole. Tantomeno i grillini.Filippo Ghira
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