L’Italia versa troppi soldi in contributi netti all’Unione europea rispetto alla sua ricchezza. Con la povertà in aumento nel nostro Paese e con milioni di italiani che non sono più in grado di arrivare alla fine del mese a causa delle tasse (vedi l’Imu) e di retribuzioni troppo basse, Mario Monti ha voluto lanciare un messaggio preciso rivolto al portafoglio. Un messaggio in chiave elettoralistica che strizza l’occhio agli italiani sperando che scordino che è stato lui medesimo metterli in mutande. Incontrando Angela a Merkel a Berlino, in vista del Consiglio Europeo della prossima settimana a Bruxelles, Monti ha chiesto alla Cancelliera di sostenere la sua richiesta di vedere ridotti i contributi italiani al bilancio comunitario in considerazione che il nostro Prodotto interno lordo è da anni in caduta libera. L’Italia paga troppo, ha ripetuto Monti, quindi l’Unione deve essere più equa. Per il governo italiano, è importante che il contributoitaliano al bilancio Ue sia proporzionato rispetto a quello degli altri Paesi in termini netti. Gli attuali versamenti non sono più giustificati perché il livello di ricchezza dell’Italia è calato e di molto. Ad esempio nel 2011 l’Italia si è classificata al primo posto in questa speciale classifica. Ci vuole quindi una riforma del sistema di rimborsi e di sconti, all’insegna della trasparenza e dell’equità. In ogni caso, ha insistito l’ex consulente di Goldman Sachs e di Moody’s, il bilancio europeo deve essere funzionale alle ambizioni dell’Unione e deve essere orientato a sostenere la crescita, l’occupazione e la coesione sociale. Una richiesta che la Cancelliera ha recepito osservando però come non sia semplice trovare una intesa, considerato che ci sono in campo gli interessi di ben 27 Paesi membri, per poi concludere e prevedere che alla fine l’accordo ci sarà. E pure l’Italia, ha garantito la Merkel, riuscirà a risolvere i suoi problemi interni. Tra l’ironico e il cauto ilcommento di Pierluigi Bersani che, a fronte delle critiche del PdL e della Lega che lo hanno considerato elettoralistico, ha difeso il giro europeo di Monti con la considerazione che è ancora il capo del governo e dunque deve fare il suo mestiere. Soprattutto perché sarà l’alleato di domani dopo la prevedibile vittoria del PD alle elezioni. Niente di strano quindi. Del resto sono in corso discussioni sul bilancio europeo e il tema europeo ciascuno lo svolge a suo modo. Il PD ad esempio l’8 febbraio a Torino avrà un incontro con i leader progressisti europei e darà il suo contributo per sostenere una piattaforma comune all’insegna di ’’politiche di crescita e innovazione”. Ci sono tre diverse maniere di intendere l’Europa ha notato Bersani. La prima è quella di tipo populista che in Italia è portata avanti da PdL e Lega Nord. La seconda quella “montiana” che, a suo giudizio, “è sicuramente progressista ma che vuole un’Europa così come è ora”. La terza è quella dei progressisti chevogliono modificare le politiche per favorire l’uscita definitiva dalla crisi non limitandosi al rigore ma puntando a risorse per la crescita. Una dichiarazione sorprendente quella di Bersani che, come nella più squisita tradizione comunista, gioca con le parole arrampicandosi sugli specchi pur di giustificare la futura alleanza con Monti e i montiani che dovranno coprire il governo del PD dal lato degli interessi degli ambienti della finanza internazionale. Un’alleanza per evitare che riparta la speculazione al ribasso sul valore di mercato dei nostri BTP e che di conseguenza lo spread con i Bund tedeschi torni al rialzo. Wall Street e la City londinese vogliono infatti che il lavoro in Italia diventi sempre più precario e meno caro per aiutare la competitività delle imprese e rendere più conveniente investire in azioni di aziende italiane. La finanza anglofona vuole poi che proseguano le liberalizzazioni, che siano completate le privatizzazioni delle aziende italianestrategiche. E chi può essere più affidabile di Monti unito a un Bersani che da ministro dello Sviluppo (2006-2008) varò le liberalizzazioni incluse nelle sue famose “lenzuolate”. Quanto alle privatizzazioni basterebbe pensare a quelle avviate nel periodo 1996-2001 con i governi Prodi, D’Alema e Amato per rendersi conto di quanto i suddetti ambienti internazionali potrebbero essere rassicurati da un tandem Bersani-Monti. Quello che dà invece da pensare è l’abuso del termine “progressista” che si è trasformato nella più classica foglia di fico per coprire i più loschi accordi tra i sinistrati del PD e di Sel e i tecnocrati del giro montiano. Entrambi, impazienti di completare l’opera di macelleria sociale avviata dall’attuale governo catto-bancario.Filippo Ghira
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