La Bce vuol dettare la politica economica all’Eurozona
 











I governi europei, quelli politici, sono vissuti finora all’interno di un ovattato mondo delle favole nel quale si illudevano che il gioco potesse essere portato avanti all’infinito.
Per fortuna, voleva dire Mario Draghi, è arrivata la Bce a rimetterli in riga e a spiegargli dove sorge il sole. Un nuovo sole dell’avvenire che non sarà quello di chi governa o di chi lavora ma quello dei banchieri che stanno progressivamente occupando gli spazi lasciati vuoti dalla politica incapace di muoversi da sola.
Ma adesso ci siamo noi ossia lui medesimo e gli altri compari del direttivo della Bce a tracciare la strada che deve essere percorsa per arrivare all’unione bancaria e alla progressiva e totale cessione di sovranità monetaria allo stesso istituto centrale di Francoforte.
La zona dell’euro non può essere considerata ancora fuori dalla crisi, ha avvertito Draghi, ma una ripresa potrebbe vedersi nella seconda metà del 2013. Per facilitare esostenere tale svolta si deve insistere nel consolidamento del bilancio statale a medio termine e ridurre la spesa per reperire risorse da  destinare alla crescita. Certo, ha ammesso l’ex vicepresidente di Goldman Sachs per l’Europa, ci sarà una contrazione dell’economia, ma questo è un effetto inevitabile. Purtroppo, ha aggiunto, alcuni Paesi dell’Eurozona sono vissuti in un mondo di favola, sottostimando gli squilibri come il disavanzo e il debito pubblico che in alcuni Paesi sono stati ritenuti sostenibili per anni per poi rivelarsi insostenibili. Si sono così creati squilibri macroeconomici su larga scala  tra i Paesi membri che possono trasformarsi in una seria minaccia per la stabilità dell’Eurozona.
Tocca quindi alla Bce e a Draghi stesso fare tutto il necessario per salvare l’euro intervenendo a difesa di quei Paesi che abbiano troppo alto lo spread tra i propri titoli di Stato e i Bund tedeschi. La Bce interverrà quindi per comprare i titoli da 1 a 3 anni, afronte però di precise condizioni. I Paesi aiutati dovranno quindi, come peraltro è già stato stabilito, ridurre il debito e il disavanzo pubblici ed attuare le riforme strutturali, lavoro e pensioni, realizzare le liberalizzazioni di tutti i settori economici e privatizzare le aziende pubbliche. Al tempo stesso, l’Esm, il meccanismo permanente europeo di stabilità, potrà comprare titoli da 5 a 10 anni legando tale intervento a garanzie dello stesso tipo di quelle chieste dalla Bce.
In ogni caso, ha ammonito Draghi, i Paesi dell’Eurozona devono imparare a “condividere la sovranità” a cominciare da quella unione bancaria che dovrà essere applicata a tutte le banche per evitare una frammentazione del settore bancario.
Il presidente della Bce ha invitato in particolare Francia e Italia a rendere meno rigido il mercato del lavoro. Se nel caso dell’Italia l’invito non è nuovo nel caso della Francia esso prende spunto dal recente declassamento dei titoli di Stato francesi da partedelle agenzie di rating che hanno tolto a Parigi la tripla A, il massimo giudizio di affidabilità sia per il pagamento degli interessi che per la restituzione del capitale. Una iniziativa che soltanto un ex uomo della Goldman Sachs, come Draghi, poteva interpretare come un segnale di preoccupazione del Libero Mercato e non già, come essa è in realtà, come un ulteriore attacco della finanza anglofona al sistema dell’euro. Un attacco che dopo aver investito i Paesi molli dell’area Sud (Italia, Spagna, Portogallo e Grecia) prende ora di mira la Francia e la sua nuova amministrazione socialista. Gli altri Paesi gratificati dalla tripla A di Moody’s e Standard&Poor’s, sono Olanda, Lussemburgo, Germania e Finlandia. Vale a dire il nocciolo duro dell’Unione e della zona dell’euro. Sono segnali evidenti ad ogni attento osservatore ma che evidentemente Draghi non vuole leggere nel loro più vero significato. In ogni caso, ha concesso il presidente della Bce, che ha svolto il suo interventonel corso di un convegno a Parigi, il declassamento dei titoli francesi, pur essendo un segnale che va preso in modo serio, non ha avuto un grande impatto sui suoi costi di finanziamento.
Draghi ha riconosciuto come, sul tema del mercato del lavoro, diversi Paesi dell’Eurozona (Grecia, Portogallo, Italia e Spagna) abbiano fatto significativi progressi. Ma ancora non basta. A suo dire, ogni governo dell’Eurozona deve applicare politiche capaci di assicurare di aumentare la produttività, stimolare gli investimenti, spingere l’esportazioni e creare posti di lavoro. Ma se non si annullano o non si diminuiscono le troppe differenze tra i Paesi membri, questa unione monetaria di Stati nazionali può diventare fragile. Infatti alcuni Paesi resteranno in modo permanente creditori ed altri debitori. E allora i governi nazionali devono insistere sulle riforme strutturali per incentivare la competitività e per procedere a una maggiore integrazione finanziaria, fiscale e politica. Soltanto così,ha concluso, si potranno stabilizzare le aspettative sui mercati finanziari. Quelli che sognano un grande mercato globale dove anche il lavoro viene ridotto a merce.Filippo Ghira









   
 



 
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