Alle case di cure riunite Villa Serena e Nuova San Francesco, istituto privato accreditato di Foggia, hanno fatto quasi il pieno di parti cesarei: 95,45 per cento. Non sono riusciti a fare di meglio al San Camillo di Taranto, fermi all’80 per cento. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità i cesarei non devono superare la soglia del 15 per cento del totale delle nascite. È anche dai dati delle Asl pugliesi che si capisce perché l’Italia è terza al mondo nella classifica che vede al primo posto il Messico e al secondo il Portogallo. Numeri di un’emergenza che una campagna nazionale si ripropone di ridurre a livelli accettabili. Perché non è vero che il cesareo sia il metodo più sicuro, né che i vantaggi siano superiori: si tratta comunque di un intervento chirurgico con tempi di degenza e ripresa più lenti. Per intenderci, negli altri paesi europei le percentuali variano da un massimo del 20% in Estonia e Francia a un minimo del 13% inOlanda. L’Italia è al 40%. Una corsa cominciata negli anni ’80, quando le percentuali di cesarei nel nostro Paese si attestavano appena al 12%. Scorrendo i dati dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali ci si accorge del solito divario tra nord e sud: si va dal 23% del Friuli al 28% del Veneto. Il record è della Campania con il 62%, seguita da Sicilia (53%) e Molise (48,4%). La Puglia è quarta con il 46,7% (su 37mila parti, 17mila sono cesarei). Da quest’anno però il Dief (documento di indirizzo economico e finanziario) regionale ha stabilito che in nessun ospedale si deve superare la soglia limite del 36%, pena il dimezzamento del cinquanta per cento dei rimborsi dai ricoveri. Ogni prestazione ospedaliera è classificata nei cosiddetti Drg (Raggruppamenti omogenei di diagnosi), tabelle che stabiliscono il costo e il relativo compenso per l’ospedale che ha erogato la prestazione. Oggi il Drg è di circa 2mila e 400 euro per il cesareo e di 1.400 per il fisiologico.Non stupisce quindi che il numero maggiore di cesarei sia effettuato dalle strutture private accreditate, quelle cioè che devono fare profitto. Ma anche negli ospedali pubblici si supera la soglia del 50 per cento: è il caso del Di Venere (62%), o del presidio ospedaliero di Ostuni-Fasano-Cisternino (68%). Eppure ci sono strutture come Altamura-Gravina-Grumo in cui la percentuale è ferma al 31%. Nel Policlinico di Bari la tendenza è in diminuzione, passando dal 47% di quattro anni fa al 43% dell’anno scorso. Ma la soglia del 36% è ancora lontana. Uno dei temi al centro dell’ultimo congresso della Sigo (Società italiana di ginecologia e ostetricia) tenutosi a Palermo pochi giorni fa è stato proprio l’eccessivo ricorso al cesareo al sud, causato dalla differenza dei rimborsi. Come ha ricordato anche Nicola Surico, presidente del Sigo, "l’appello è di equiparare subito i Drg, perché il numero così elevato di cesarei nelle strutture accreditate, soprattutto al sud, è dettato solo dallucro". Antonello Cassano-la repubblica
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