La crisi dei Pronto Soccorso
 











Contrariamente a quanto si potrebbe pensare gli accessi ai Pronto soccorso italiani sono in calo. Ma nonostante ciò l’emergenza ospedaliera è sempre più in sofferenza. Perché? La spiegazione sta in un “tridente” diabolico. Prima di tutto la progressiva riduzione della dotazione di posti letto in corsia (- 71mila dal 2000 a oggi, ai quali si aggiugeranno altri 3.000 posti letto che saranno tagliati a seguito dei nuovi standard del Patto per la salute), che ha drasticamente ridotto la possibilità di assorbire i ricoveri d’emergenza non programmati come sono quelli provenienti dai Pronto Soccorso.
 Poi il blocco del turn over per il personale, che impedisce il ricambio generazionale (quasi 24mila unità in meno nel Ssn dal 2009 ad oggi), con carichi di lavoro sempre più pesanti che si ripercuotono ovviamente di più nell’attività dei Pronto Soccorso, per definizione più stressante e comunque attiva H24. E infine, nonostante i progressi, l’ancorazoppicante riforma dell’assistenza  territoriale dalla quale ci si aspettava un “filtro” dell’emergenza con la possibilità di gestire a domicilio o in strutture ambulatoriali le piccole emergenze, riducendo così gli accessi ai Pronto Soccorso ospedalieri, soprattutto quelli “impropri” che sono ancora il 30% del totale.
E l’emergenza influenza, alla quale, quest’anno in particolare dopo il caos vaccini, si addebita l’intasamento dei pronto soccorso? Stante ai dati relativi all’ultima settimana di gennaio (quella del picco), elaborati dall’Istituto superiore di sanità e basati sui risultati del sistema di sorveglianza degli accessi al pronto soccorso, risulta che solo il 12,5% degli accessi totali è relativo a una sindrome respiratoria, che comprende tutta una serie di potenziali patologie tra cui "anche" l’influenza. Ma anche ammesso, e così non è, che fossero tutti casi di influenza, stiamo appunto parlando di poco più di un caso su dieci. Un numero troppo basso per mandare intilt una struttura di pronto soccorso, considerando anche il fatto che le sindromi respiratorie figurano tra le cause d’accesso tutto l’anno, estate compresa, con una percentuale che nei mesi estivi si aggira attorno al 7%. Il gap tra estate e inverno sarebbe quindi di poco più di cinque punti percentuali ad ulteriore conferma che la cosiddetta "emergenza influenza" con le barelle nel pronto soccorso non c’entra nulla.
E non è andata così solo quest’anno. Osservando la serie storica dei dati sugli accessi al Pronto soccorso dell’Iss, vediamo che dal 2012 ad oggi non si è osservata alcuna significativa oscillazione del dato sulle sindromi respiratorie che si assesta mediamente, sempre considerando l’ultima settimana di gennaio, attorno all’11/11,5%.
 Insomma l’attribuzione all’influenza della responsabilità del caos dei pronto soccorso non è supportata da alcun dato epidemiologico. C’è poi il fenomeno degli accessi impropri che ancora oggi si stima attorno al 30%. Un segnalepalese dei ritardi nella costruzione di una rete di emergenza territoriale effettivamente capace di assorbire parte delle richieste di soccorso. Ma questo dato, che spiega in parte l’affollamento e i lunghi tempi di attesa prima di essere trattati, non incide alla fine sul vero dramma dei pronto soccorso, simboleggiato dalle immagini ormai ricorrenti di barelle, sedie e materassi per terra (ai quali quest’anno si sono aggiunte anche quelle delle scrivanie usate come giaciglio temporaneo per i pazienti). L’imbuto, e il conseguente affollamento, sta infatti nel trasferimento nei reparti, dove i letti mancano. Sia perché sono pochi, sia perché, in alcuni casi, suppliscono all’assenza di "ospedali territoriali" per la lunga degenza.
 Resta quindi il nostro “tridente” di cause: troppi tagli ai posti letto ospedalieri, non ancora compensati da una vera riforma del territorio, e troppo poco personale. (C.F.) -q.s.-









   
 



 
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