Fisco e manovra, nel governo ormai è scontro aperto:Tremonti, Sacconi e Maroni
 











Riforma del fisco? Secondo Silvio Berlusconi doveva esser fatta già in estate. Siamo ancora in primavera e il ministro dell’Economia Giulio Tremonti glie l’ha bloccata: non con le parole ma con i numeri. I numeri di una manovra che da subito avrà come obiettivo la semplice manutenzione; ma sul lungo periodo dovrà rastrellare, è proprio il caso di dire, 40 miliardi. Quindi, una riforma che genera altro «non si può fare». Al massimo si può «studiare» un "giochino" a somma zero che prevede da una parte la riduzione di uno-due punti dell’aliquota irpef del 23% e, dall’altra, l’aumento di due scaglioni dell’iva del 10%.
Lo scontro politico dentro l’esecutivo è piuttosto virulento. Per il momento l’asse Berlusconi-Lega sembra avere il sopravvento. A favore della contemporaneità dei due interventi, manovra e riforma del fisco, sono scesi in campo sia il ministro Maurizio Sacconi che ilsuo collega Roberto Maroni. Ma Tremonti è in una botte di ferro. Sulvangelo dei "conti pubblici" nessuno osa sputare. E ieri a Santa Margherita Ligure è andato ad incassare l’appoggio di Confindustria. Tra lui e la presidente Emma Marcegaglia c’è stato addirittura un colloquio a quattr’occhi, dove non si sarà parlato solo di riduzioni fiscali alle imprese. Da chiarire anche la tirata d’orecchie che il ministro ha fatto agli imprenditori sull’abuso dei contratti a termine. La replica di Marcegaglia non si fa attendere: «La soluzione del precariato non passa da una trasformazione in massa di contratti flessibili in contratti indeterminati, come avvenuto nella scuola. È il contrario di quello che serve mentre bisogna fare un ragionamento serio. Il mercato del lavoro va riequilibrato perchè c’è troppo dualismo: eccessive garanzie per alcuni da un lato e per i giovani un futuro incerto».
Guardando avanti, Tremonti parla anche delle altre scelte che non intende fare. «Non abbiamo intenzione di tassare la prima casa e i risparmi delle famiglie. Questa èuna cosa che lasciamo ad altri», dice, attribuendo di fatto al centrosinistra l’intenzione di spingere per la tassazione delle rendite finanziarie. Le risorse devono arrivare piuttosto da chi le tasse non le paga e dovrebbe farlo. «L’evasione fiscale è un grosso serbatoio. Ora si può fare un ragionamento di recupero dell’evasione per una riduzione della pressione fiscale», afferma. Sicuramente un altro siluro per la "campagna elettorale" del premier. «Da dove tirare fuori i soldi per fare una riforma in pareggio e senza scassare i conti pubblici. Cosa che ci porterebbe ad aumentare i tassi di interesse e di conseguenza ad alzare le tasse?», si chiede ancora il ministro. Le ipotesi sulla manovra che stanno uscendo da via XX settembre non si fermano qui. Tra le altre cose si parla di alzare l’età pensionabile delle donne nel settore privato a 65 anni e di un blocco della contrattazione nel settore pubblico, che insieme ad altri tagli dovrebbe dare due miliardi tondi tondi. Bankitaliaieri ha diffuso alcuni dati realmente soprendenti sugli aumenti degli stipendi nel pubblico impiego. Secondo l’isituto di via Nazionale, i pubblici dipendenti hanno ricevuto negli ultimi otto anni un incremento del 22,4%, al netto dell’adeguamento dell’inflazione. Dove sta l’inghippo? Si tratta, spiega Carlo Podda, esponente dell’area programmatica "la Cgil che vogliamo" della classica mediai del pollo, ovvero il costo del personale diviso per il numero dei dipendenti. Un dato non veritiero, quindi, perché vengono conteggiati come "stipendi" anche compensi d’oro come le missioni all’estero e la spesa per il personale dell’esecutivo. «E’ evidente - continua Podda - che stanno preparando un intervento sul lavoro pubblico. E non si capisce da dove trarranno le risorse visto che c’è già il blocco della contrattazione e l’intervento sulle pensioni».
Il leader della Cgil, Susanna Camusso, da Firenze, cerca di riportare la manovra nell’ordine delle questioni sindacali. «Al ministrodiciamo che si può fare la riforma fiscale nell’ottica di una giustizia distributiva, senza farla in deficit», afferma, aggiungendo una considerazione amara: «quando si cerca consenso si promette la riforma fiscale, quando si governa la si nega». Il segretario generale della Cgil risponde anche a Marcegaglia. «Sul ridurre le tasse alle imprese noi siamo d’accordo se parliamo di investimenti e di attività produttive. Se l’idea è che invece bisogna difendere anche rendite, patrimoni immobiliari e transazioni, non siamo d’accordo». Una posizione di sostanziale equilibrio fra le richieste che arrivano da imprese e sindacato e la posizione espressa dal ministro la fornisce il direttore generale di Bankitalia, Fabrizio Saccomanni. «Alleggerire l’onere fiscale che grava su lavoratori e imprese sarebbe un ulteriore contributo di stimolo alla crescita ma a una condizione, che si prosegua di pari passo nel recupero dell’evasone fiscale», sintetizza.
A Tremonti risponde anche Vasco Errani,presidente della conferenza delle Regioni. «L’idea di una manovra da 40 miliardi, a cui si aggiungono i 18 già tagliati nel 2010, in una cultura dove l’unico sistema è il taglio lineare non è sostenibile, se non a prezzo di una fase recessiva di questo paese». Fabio Sebastiani









   
 



 
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