L’Italia regge con fatica la crisi ma diventa psichicamente fragile giorno dopo giorno, aggressiva, egoista, cinica, rassegnata, slegata dai momenti alti della sua storia. Piatta. E’ insomma ’’una società insicura della sua sostanza umana’’ quella descritta dal 44mo rapporto Censis, un pessimismo che certamente non è nuovo; e gli italiani hanno perso la categoria del desiderio, appagati come sono da un consumismo vuoto che ha eliminato il valore della legge morale. Sono anche finiti i tempi del leader carismatico alla Berlusconi, che il presidente Giuseppe De Rita indica come l’ultima e stanca incarnazione del ’’soggettivismo’’: ormai il 71% degli italiani pensa che dare maggiori poteri al premier non è la ricetta per dare vigore ad un Paese che fatica a ripartire, schiacciato dal debito pubblico e da un’evasione fiscale da 100 miliardi l’anno, ed un’economia sommersa che incide per il 17,6% sul Pil. Sono, come sempre, le famiglie adattutire le mancanze del welfare, mentre la ripresa dell’economia stenta a dare i suoi frutti perché l’autoimprenditorialità, per il Censis chiave della crescita, è diminuita del 7,6%. L’Italia è ancora la quinta potenza industriale del mondo, ma il suo tasso di crescita nel periodo 2000-2009 è stato più basso che in Germania, Francia e Regno Unito. Il made in Italy, basato sulla specializzazione dei prodotti tessili, del design e delle calzature, ha perso lo 0,3% su base mondiale. Il Censis sottolinea che l’arretratezza deriva anche dallo scarso ricorso a orari flessibili, diversamente dagli altri Paesi europei. Soprattutto, e anche questa è una tendenza che ci distanzia dall’Europa, sono ancora poche le aziende che prevedono la partecipazione negli utili degli operai. La disoccupazione è diventata una realtà per 574mila persone dall’inizio della crisi nel 2008, ed è calato anche il numero delle imprese (soltanto nel manifattutiero hanno chiuso 93mila unità), mentre l’interosistema Italia ha perso 5,5% del suo valore aggiunto. Anche il commercio soffre: -9,5%. Il dato forse più preoccupante è la quota di giovani tra i 15 e i 34 anni che non studiano né lavorano e non cercano un impiego: 2.242.000. Anche perché, per loro stessa ammissione - svela un’inchiesta del Censis - a volte rifiutano mansioni faticose o di scarso prestigio. La crisi apre le porte all’economia illegale: non solo è tornato massicciamente il vecchio contrabbando, ma il peso delle mafie non accenna a diminuire: il 41,8% delle amministrazioni comunali di Campania, Puglia, Sicilia e Calabria presentano legami con la criminalità organizzata, e questo coinvolge il 22% della popolazione italiana. In generale la situazione economica ha fatto sprofondare gli italiani nella sfiducia, spingendoli verso investimenti improduttivi come il mattone, la liquidità, le polizze. Il welfare non copre le esigenze, e il 91% dei disoccupati di famiglie monoreddito sono condannati alla povertà, controil 55% della Spagna e il 75% del Regno Unito. Secondo i dati del Censis, gli italiani sarebbero disposti a pagare addirittura più tasse se in cambio potessero godere di servizi importanti come una sanità migliore e gli asili nido, ma anche un aiuto statale in caso di indigenza come accade in moltissimi Paesi europei (il famoso reddito minimo garantito). Le tasche sono quasi vuote, e dunque si compra di meno: il 51% ha eliminato le spese inutili, il 24% invece ha tagliato su servizi e prodotti comunque essenzuali. I tagli ai servizi pubblici, come alla scuola, hanno obbligato il 53,1% degli istituti a chiedere un contributo volontario alle famiglie: si tratta, in media, di 16 euro alle elementari fino agli oltre 80 euro nelle scuole superiori. E tuttavia esistono presidi che chiedono anche 250 euro ad ogni studente per garantire la continuità didattica. Nel complesso, e facendo i calcoli dell’aumento delle tariffe, le famiglie l’anno venturo dovranno sborsare 1000 euro in più.Non è poco, di questi tempi. E nessuno sembra venire in aiuto. De Rita incombe con il suo monito: non saranno questi leader politici a salvarci dall’abisso.
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