Quando ci interroghiamo sulla globalizzazione, se sia finita, se non ci siano segnali di nuove guerre commerciali tra gli stati nazionali, se lo stesso Stato nazione non stia riacquistando potere, tutte queste domande riguardano la sovranità. Le stesse domande di cui va occupandosi nei suoi ultimi lavori Saskia Sassen, la sociologa ed economista statunitense che ha partecipato al Salone dell’Editoria Sociale di Roma , a un incontro su "Globalizzazione, attivismo sociale e spazio urbano". Se dalla fine degli anni 80 in poi il potere dei parlamenti si è ridotto, le altre funzioni statali - quelle dell’esecutivo - si sono però enormemente rafforzate, sia pure per attuare a livello locale e territoriale decisioni prese nelle istituzioni del mercato globale (Banca mondiale, Fondo monetario, Wto ma non solo). Negli scritti di Sassen la questione della sovranità si intreccia a quella della città globale, che è lo spazio, da un lato, dei servizi edelle funzioni necessarie per dirigere i flussi di capitale, i movimenti della finanza, dall’altro, di nuovi soggetti, i migranti, gli esclusi, definiti da identità dinamiche. La città globale è uno spazio "postcoloniale" di contaminazione culturale, nel quale si pone il problema di una "cittadinanza globale". Dove è andata a finire la sovranità? Cosa è cambiato con la crisi della globalizzazione? Ne parlo fin dal tempo di Globalizzati e scontenti (saggio pubblicato in italiano per il Saggiatore, ndr). Bisogna distinguere tra lo spazio istituzionale nel quale si incastra la sovranità e la sovranità come funzione di un sistema, come capacità sistemica. La sovranità non sparisce, si agglutina. Il sistema ha bisogno della sovranità, di una fonte di autorità legittima e riconosciuta. Nell’epoca moderna, da almeno due secoli a questa parte, la sovranità ha assunto la forma dello Stato nazionale. Il sistema sovrastatuale non può fare a meno dell’autorità esclusiva chelo Stato ha sul suo territorio nazionale. Quindi il sistema economico globale si appropria delle funzioni statali? In Territorio, autorità e diritti (uscito per Bruno Mondadori) sostengo che dobbiamo liberarci di categorie come globale e nazionale. Del resto, nel capitalismo abbiamo sempre avuto una world economy, un’economia. Ho cercato di ricostruire storicamente il ruolo del territorio nella formazione del nazionale, per arrivare a oggi. L’economia globale neoliberale dei nostri giorni agglutina nel territorio autorità più che diritti. E’ un sistema che comincia ad assorbire elementi di autorità che erano situati nello spazio istituzionale dello Stato nazionale. Questo cosa significa, che lo Stato nazionale cede quote di sovranità o che, all’opposto, si rafforza e si integra nel sistema globale? E’ sbagliato dire "lo" Stato, guardarlo - per così dire - dall’esterno come un unico blocco. Ci sono componenti diversi al suo interno. Ilpotere esecutivo ha due gambe, una delle quali è "incastrata" in circuiti nodali del mondo economico neoliberale e globale. L’executive branch nei vari paesi (una sfera che include primi ministri, esecutivi, ministri delle finanze, banche) ha "fatto il lavoro" di implementare le leggi, le regole, i sistemi costituzionali che rendessero possibile il mercato globale capitalistico. Ogni paese ha utilizzato le proprie particolarità istituzionali, giuridiche, politiche per implementare un diritto standardizzato, fatto di leggi e norme, anche le più minute. Sono state utilizzate le particolarità di ogni paese per costruire uno spazio di autorità globale. Faccio un esempio. A partire dalla fine degli anni 80 tutti i paesi hanno iniziato a cambiare radicalmente, scegliendo di privilegiare il controllo dell’inflazione a discapito della spesa pubblica e dell’occupazione. E’ un sistema di autorità che vuole legittimarsi e che passa per lo Stato. Non dico che sia una cospirazione, si trattapiuttosto di processi strutturali che avvengono poco alla volta, per atti successivi. La sovranità dello Stato è diminuita, ma la sovranità come capacità sistemica non è affatto diminuita. La sovranità si è installata nel mercato globale. Il potere esecutivo è l’attore strategico in quest’epoca neoliberale, mentre i parlamenti perdono potere. La distinzione tra globale e nazionale non ci aiuta a capire questo nuovo sistema. Gli esecutivi dei vari governi hanno un piede nel circuito globale. La globalizzazione ha indebolito alcune funzioni dello Stato, ne ha rafforzate altre. Un paradosso, lo Stato nazione è diventato internazionalista. Non è così? Sì, l’internazionalismo si è realizzato, ma ovviamente con un segno negativo. Mi piacerebbe che si potesse utilizzare questo "internazionalismo" dello stato nazionale per battaglie progressiste, per la giustizia, il lavoro, l’ambiente, i diritti. Può diventare un internazionalismo orientato al benecomune? Dipende dalla nostra capacità politica. In teoria le funzioni degli stati, integrati come sono nel sistema globale, possono essere orientate alla difesa dei global commons (beni comuni), alla lotta contro la fame, per la giustizia globale. C’è nello Stato un assemblaggio di funzioni strategiche che hanno contribuito a fare il mercato globale. Chissà che non possano essere utilizzate diversamente, per fare la globalizzazione dei diritti. Anche perché, io credo, la democrazia liberale è in decadenza. Non ci serve più. Ci sono studiosi che, all’indomani della crisi economica, hanno teorizzato il ritorno dello statalismo. In realtà, la funzione degli stati è consistita nel salvataggio dell’attuale sistema finanziario con il denaro dei contribuenti. O no? Si dice che la globalizzazione è finita, che il mondo si de-globalizza, che lo Stato nazionale recupera potere. Prendiamo il sistema finanziario. Ogni paese ha utilizzato le proprie leggiparticolari, i propri strumenti legislativi ed esecutivi per tassare i contribuenti e distribuire denaro per mantenere in vita il sistema finanziario globale. La proprietà di Citibank non è americana, è suddivisa tra i fondi sovrani di vari paesi. Perciò non si può parlare del ritorno dello stato nazionale. La verità è che gli esecutivi sono qualcosa di ambiguo, tra globale e nazionale. Questa integrazione di nazionale e globale però fa del potere di alcuni Stati, per esempio gli Usa di Obama, un potere enorme. Non crede? Certo. E mi chiedo: avrà il coraggio questo presidente di usare il suo potere per democratizzare il sistema? Per ora la sinistra interna lo accusa di essere troppo bipartisan. I suoi consulenti finanziari non sono certo dei radical. Un disastro. E le elezioni di medio mandato sono ormai dietro l’angolo.
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