Unicredit, i molti vizi e le poche virtù di Alessandro Profumo
 







Mauro Tosi




A.Profumo

L’Unicredit di chi è? La questione di Unicredit è la questione del conflitto Geronzi-Profumo? E’ la conquista di Berlusconi della più grande banca italiana? E’ la questione Lega che vuole mettere le mani sulle fondazioni delle Casse di Risparmio? Sicuramente tutto questo. Ci troviamo di fronte ad un’operazione di assoggettamento del sistema bancario al dominio della politica e alla riproposizione del modello Dc per quanto riguarda la gestione dei meccanismi del potere reale. Ma abbiamo un dubbio: di fronte all’operazione con cui la Lega punta alla gestione del patrimonio delle fondazioni e alla simpatia che i nostri commentatori manifestano per il "capitalista puro" Profumo, siamo sicuri che ci sia una differenza di valore sociale, etico, di interesse collettivo fra la gestione Profumo e l’ipotesi che si affaccia, la "banca di affari" della destra berlusconiana o meglio di Berlusconi stesso?
L’operazione Profumo è stata quella di cambiare lanatura, annullandone la storia, il prestigio e il peso economico, delle Casse di Risparmio trasformandole in una grande banca internazionale, spalmata su tre continenti, la cui finalità è sempre stata di accrescere il peso aziendale aumentando se non i dividendi per i soci il potere dei gruppi manageriali. L’Unicredit è la banca italiana che più ha operato per accrescere il potere della finanza, per assecondare le spinte alla globalizzazione, per scaricare su dipendenti, correntisti e piccoli clienti i costi del suo accresciuto potere. Ed è recente l’annuncio, nel settore italiano, di 5.200 esuberi fra il personale. Forse, vale la pena ricordare come sono nate le casse di risparmio a Verona, ma anche a Treviso e a Torino, costruite sotto la spinta di cambiamento del sistema bancario tradizionale, sottoposto agli interessi delle classi padronali e strumento del potere borghese.
A Verona la Cassa nasce, all’inizio del secolo scorso, sotto la spinta del sindaco socialista, comealternativa alla Banca Popolare, emanazione delle categorie padronali; nasce con uno statuto fondativo dove i richiami alla funzione sociale si esprimono nei limiti della partecipazione azionaria, nella adeguata remunerazione dei correntisti, nell’impegno a sostenere i piccoli commercianti, gli artigiani, nell’indicazione di prestiti non onerosi per i settori più deboli. Per questo il Cda era di nomina di Comune e Provincia e il bilancio stesso era sottoposto al controllo degli enti locali. Certo, alla fine, per la nostra Regione questo significò controllo democristiano ma, almeno, c’erano trasparenza, uso sociale delle risorse, controllo e conflitto sulle deviazioni clientelari.
La madre di tutte le privatizzazioni è stata la legge Amato che ha, di fatto, sciolto le casse di risparmio e ha permesso l’utilizzazione del patrimonio, dell’articolazione territoriale, del cespite del risparmio per un’operazione di concentrazione e internazionalizzazione finanziaria che non haprecedenti. Quale vantaggio per le comunità locali per la crescita dell’economia e delle condizioni della gente comune non ci è dato capire. Meglio ha fatto il sindaco della città di Siena che ha legittimamente rivendicato, contro la legge Amato, il diritto del suo Comune di governare e gestire le risorse che la sua comunità ha accumulato nei secoli richiedendo di ripubblicizzare il Monte dei Paschi.









   
 



 
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