Ok al federalismo
 











Il Piave non mormora più calmo e placido, gorgoglia e schiuma di felicità. Miracoli del federalismo in salsa padana, quello che libera fiumi (ma solo quelli più piccoli), laghi e spiagge dal giogo secolare di Roma ladrona. «Si aprono enormi opportunità per il Piave», annuncia anche troppo roboante il nuovo presidente regionale veneto Luca Zaia, che i numeri dicono essere il più amato dai settentrionali. Certo non è fascinoso come Lorella Cuccarini (ricordate la pubblicità delle cucine) ma alle ultime elezioni ha fatto sfracelli fra Venezia, Verona, Treviso e Padova. Ma non ci sono rose senza spine: che succederà al lago di Garda - il più grande del paese - naturalmente diviso fra sponde lombarde, venete e trentine.
Zaia getta il cuore oltre l’ostacolo: «Troveremo sicuramente un accordo». Questo è il momento dell’ottimismo, che è il sale della vita.
Di mattina c’è il sole, quando i ministri lasciano palazzo Chigi il cielo è di nuovo coperto dinuvole. Maledetta primavera. Il governo ha appena dato il via libera al primo dei decreti attuativi del federalismo fiscale, quello sul demanio. La Lega fa festa, il Pdl resta a guardare. Qualcuno storce anche la bocca. Forse non è un caso che la prima dichiarazione ufficiale dell’esecutivo sia affidata a Renato Brunetta. Questa: «Abbiamo approvato in Consiglio dei ministri il federalismo demaniale, il paese fa finalmente il censimento sul proprio patrimonio, fa la devoluzione verso i comuni. Il censimento è serietà, trasparenza e responsabilità». Va detto che - a ben guardare - da censire non c’è poi molto: ad esempio sul fronte delle caserme dismesse c’è il progetto di "Difesa spa", e più in generale la presenza del superministro economico Giulio Tremonti è un chiaro segnale politico, non certo in direzione delle ripubblicizzazioni. Comunque sia a palazzo Chigi si brinda al federalismo di matrice padana. «Premia le formiche e punisce le cicale. Viva, viva, viva il federalismo», diceBrunetta. Considerata la popolarità attuale del ministro che dà la caccia ai fannulloni nella pubblica amministrazione, la scelta di Brunetta come speaker del giorno appare al tempo stesso lucida e feroce. Il ministro non se ne cura e incassa con il sorriso sulle labbra le perplessità di tutti i presidenti regionali a sud di Roma. «Deve essere responsabile e solidale», mette subito le mani avanti la governatrice del Lazio Renata Polverini.
Umberto Bossi approfitta del momento magico della Lega per tirare l’ennesima stoccata agli storici nemici dell’Udc. Il senatur ribadisce che, fosse per lui, Pierferdinando Casini, Lorenzo Cesa e Rocco Buttiglione rimarrebbero nell’opposizione a vita. «Come si dice... È più facile che un cammello entri nella cruna di un ago...», spiega il diletto figlio del dio Po citando un passo dei vangeli. La metafora è tanto antica quanto calzante, almeno dal punto di vista padano. Interpellato dai giornalisti alla Camera, Bossi torna poi anche sulla partitarelativa al ministero dello Sviluppo economico, casella rimasta libera dopo le doverose dimissioni di Claudio Scajola. «Io non dico niente, perché dipende solo da Berlusconi, se vuole mollare l’interim. Non è vero che gli ho chiesto io di tenere il dicastero». Oggi Bossi è particolarmente soddisfatto e di buon umore. La Lega incassa il federalismo demaniale, Berlusconi & c possono andare avanti. Con un avvertimento, rivolto a chi si estranea dalla lotta: senza di noi cade il governo e si torna a votare. In Transatlantico è un fiorire di fazzoletti verdi e di dichiarazioni festanti. «Il federalismo demaniale -spiega Federico Bricolo - è il primo passo di una grande riforma che la Lega Nord ha voluto fortemente perchè va nella direzione della valorizzazione del territorio in un’ottica di autonomia».
C’è chi festeggia e chi rimugina. Fabrizio Cicchitto non ha proprio digerito la conferenza stampa congiunta tra il ministro leghista della semplificazione Roberto Calderoli e il nemicopubblico numero uno (del Pdl) Antonio Di Pietro. «Non ci è piaciuta. Pensiamo casomai che il dialogo vada ricercato con l’Udc e i settori più ragionevoli del Partito democratico». Dice proprio così Cicchitto, che almeno oggi nel suo livore appare di una sincerità disarmante. Peccato che da quell’orecchio il gran capo proprio non ci senta. A riprova un fedelissimo di Berlusconi come Renato Schifani - seconda carca dello Stato - benedice l’approvazione del federalismo con annessi e connessi. «C’è stata un’ampia convergenza». Quella con Antonio Di Pietro. Il federalismo è servito, a Gianfranco Fini non resta che parlare di rigore nella spesa pubblica. Il presidente della Camera - si sa - non è esattamente un fan del semisecessionismo padano. Ma la linea del Piave ormai è tracciata.
Il cammino perverso del federalismo fiscale
Se qualcuno aveva dei dubbi sull’essenza del federalismo fiscale, gli ultimissimi avvenimenti in merito al primo dei provvedimenti previsti -e cioè il decreto in materia di beni demaniali - dovrebbero aver fugato molti dubbi. Con quel provvedimento, infatti, si cede a regioni ed enti locali un insieme davvero cospicuo di beni di particolare valore ambientale (sorgenti, fiumi, laghi, terreni agricoli, foreste), oltreché opere edilizie ed infrastrutturali (immobili, zone portuali dismesse, strade, aeroporti), il tutto sulla base di alcuni presupposti, quali: la legittimità della proprietà locale di tali beni, la necessità di una loro valorizzazione economica e una finalizzazione della stessa al recupero di risorse e alla riduzione del debito, attraverso un meccanismo di perequazione che privilegia gli enti locali rispetto allo Stato. Sull’onda dell’enfatizzazione del ruolo delle autonomie locali, quello che si annuncia è davvero inquietante: un gigantesco spezzatino di beni pubblici che possono divenire oggetto di alienazione sul mercato. Insomma, un’immensa opera di privatizzazione finalizzata al recupero di risorse. Data lanatura dei beni e delle norme contenute nel decreto, è evidente che tale operazione è suscettibile di provocare un enorme scempio dal punto di vista ambientale, in primo luogo attraverso un processo di deregolamentazione e di manomissione degli strumenti della programmazione territoriale. Sugli effetti economici del provvedimento siamo nel campo dell’aleatorietà. E’ molto difficile stabilire quale potrà essere effettivamente l’impatto in termini di risorse acquisite, ma certamente è assai discutibile lo stesso riparto fra Stato ed autonomie locali. L’elemento però davvero preoccupante è l’atteggiamento tenuto dalle forze dell’opposizione parlamentare, Idv e Pd. L’Italia dei valori ha addirittura votato a favore, il Pd si è alla fine astenuto, anche se è noto che una parte dello stesso era favorevole al provvedimento. Per l’ennesima volta abbiamo assistito all’eutanasia dell’opposizione. All’origine di tale ennesimo scivolone sta l’ambiguità sostanziale di forze che hanno dismesso ormaida tempo l’attenzione per i beni pubblici, facendosi sedurre dalle virtù del mercato, che sono venute strutturandosi sempre di più come aggregazioni di interessi locali e che, infine, hanno assunto improvvidamente l’orizzonte del federalismo, sposandone alla fine la filosofia di fondo. Se, infatti, scorriamo le recenti e meno recenti vicende istituzionali dobbiamo ricordare come la legge delega sul federalismo fiscale predisposta da Calderoli, quella che ha dato il via al processo, abbia ottenuto a suo tempo l’astensione del Pd, così come questo stesso provvedimento sia stato anticipato nel 2001 dal varo della riforma del titolo V° della Costituzione, voluta dal centro sinistra, in cui alcuni principi furono introdotti, quali: il depotenziamento delle funzioni dello Stato, l’introduzione di alcuni principi in tema di fiscalità, una devoluzione legislativa verso le regioni che prevedeva anche forme differenziate di autonomia. Il centro sinistra e il Pd hanno avuto, quindi, pesantiresponsabilità nell’evoluzione delle cose. La filosofia di fondo che anima il federalismo fiscale si regge, come è noto, su pochi ma devastanti assunti. Il primo è la territorialità della gestione delle risorse. Ciò significa in primis che la maggioranza dei tributi fiscali vanno riutilizzati in loco. Nasce da qui la minaccia all’unità del paese, ma anche la lesione al principio di universalità dei diritti. Di qui la possibile disarticolazione sociale fra aree ricche e aree povere, attraverso non solo l’indebolimento degli interventi riequilibrativi in tema di promozione dello sviluppo, ma anche la mancata garanzia dell’omogeneità nella dotazione dei servizi. L’ipocrisia con la quale si è sostenuto e si sostiene che col federalismo fiscale si innestano meccanismi virtuosi, che alla fine gioverebbero anche al sud, è evidente. Il punto fondamentale, tuttavia, è che ora, con l’annunciata manovra di Tremonti improntata alla riduzione esplicita della spesa e in particolare di quella locale,il federalismo fiscale mette in luce tutte le sue contraddizioni. Delle due l’una: o salvaguarderà minimamente l’equilibrio territoriale, ma ciò imporrebbe l’incremento e non il decremento della spesa, o garantirebbe il nord, ma facendo precipitare le regioni meridionali. Questo secondo evento è - con tutta evidenza - quello più probabile. Con alcune varianti da considerare. Quest’ultimo provvedimento la dice lunga su come federalismo e manovra finanziaria si saldino insieme. Non a caso sul fronte della privatizzazione dei beni pubblici e della loro alienazione. E’ l’altro corno del problema: il federalismo non solo sancisce la sperequazione territoriale e la differenziazione nei diritti, ma diviene anche un grimaldello per la riduzione del peso del pubblico a beneficio di quello del privato.Gianluigi Pegolo









   
 



 
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