Ritorno a casa
 











-Per me Roma è Montecitorio, il Parlamento è stata la mia prima e più grande casa». Lo scrisse nella sua autobiografia pubblicata da Laterza dieci anni fa, prima di essere eletto presidente della Repubblica. E dunque, quando questa mattina Giorgio Napolitano lascerà il Quirinale per l’ultima volta da Capo dello Stato per tornare nella sua abitazione di via dei Serpenti nel rione Monti, a pochi passi, sarà difficile credere a un suo abbandono della politica attiva.
Ha avuto tante case, Napolitano, nella sua lunga vita. A partire da quella napoletana da lui dichiarata sulla Navicella, il volume ufficiale che raccoglieva le biografie dei parlamentari compilate da loro stessi. Ecco il testo del 1958, terza legislatura. Di Napolitano Giorgio, «del gruppo parlamentare “comunista”», si leggeva: «È nato il 29 giugno 1925 a Napoli, ove risiede in via Monte di Dio, 49». Con il numero civico. Lì aveva vissuto da diciottenne il disastro del conflittomondiale (a sedici anni aveva frequentato il liceo a Padova), rifugiato durante i bombardamenti con la famiglia nel ventre della terra, nelle grotte di tufo sotto palazzo Serra di Cassano a Napoli, tra i signori, l’alta borghesia e il popolino. In quelle notti sotto le bombe «imparai a reagire con molto autocontrollo e con ragionevole fatalismo: un apprendimento che mi sarebbe tornato utile». Nel 1958 il curriculum era già lungo, Napolitano era stato eletto per la prima volta deputato nel 1953 con 42.956 preferenze nella circoscrizione Napoli-Caserta, rieletto nel 1958 con 31.969 voti. Iscritto al Pci dal 1946, «membro della delegazione italiana al Primo congresso studentesco mondiale, che ha luogo a Praga nell’agosto del 1946», elencava con il puntiglio che diventerà famoso il giovane deputato comunista.
Oggi Napolitano torna a casa, come ha detto a una bambina sulla piazza del Quirinale. Una pagina di storia che si chiude, ok, pura retorica ma questa volta è così. L’ultimorappresentante del Novecento italiano, di settant’anni di Repubblica, con il suo carico di grandezze e miserie, speranze e tradimenti, battaglie collettive e delusioni individuali. Fino agli ultimi anni: le «tremende cadute», «chiusure, arroccamenti, faziosità, obbiettivi di potere, personalismi dilaganti in seno a ogni parte…». Parole di Napolitano, nell’intervento del 21 agosto 2011 al meeting di Rimini, il più importante del suo primo settennato e forse dell’intera presidenza. In quel discorso il presidente annunciava «un’autentica svolta», arrivò tre mesi dopo con la nascita del governo di Mario Monti, applaudito dai ragazzi di Comunione e liberazione che per anni avevano acclamato Silvio Berlusconi. Più in profondità, il presidente chiedeva un cambiamento di costume all’intero sistema politico, alle forze economiche e intellettuali, «portarsi tutti all’altezza dei problemi e delle scelte da operare».
È lecito chiedersi oggi se la svolta ci sia stata davvero. A Palazzo Chigi sisono alternati Monti, e poi Enrico Letta e infine Matteo Renzi. Del bipolarismo non parla più nessuno. Le riforme, nonostante il tempo passato, non sono state ancora realizzate e anche la riscrittura della Costituzione ora in discussione alla Camera rischia di aprire un grande scontro su temi non del tutto prioritari rispetto alla grande esigenza di riformare lo Stato. La crisi economica che nel 2011 era tutta concentrata sulla tempesta dei debiti sovrani oggi aggredisce le famiglie e i giovani disoccupati. E il sistema politico continua a non trovare un principio d’ordine, fuori dal caos in cui è precipitato. Ne ha solo uno, la persona del presidente del Consiglio, l’energia e la volontà di potenza (spesso anche di potere) di Matteo Renzi. Che però rischia di produrre altro vuoto attorno a sè. La delegittimazione delle istituzioni, screditate agli occhi dei cittadini. La questione democratica che continua ad allarmare chi ha a cuore questo paese.
Il Quirinale, in questa situazione,era diventato una prigione per Napolitano, come ha ammesso lui stesso con la bambina che lo interrogava, perché, scrive oggi Eugenio Scalfari su “Repubblica” sulla fatica di Sisifo dell’amico presidente, «ha fatto il possibile e l’impossibile per compiere e far compiere qualche passo avanti. E questo è avvenuto ma non è stato sufficiente. Questa è la tristezza che Napolitano ha sentito emergere dentro di sé…».
Napolitano torna a casa, e viene in mente un verso di una canzone degli U2, “A sort of Homecoming”: «And you know it’s time to go/Through the sleet and driving snow /Across the fields of mourning to /A light that’s in the distance…For tonight at last/ I am coming home /I am coming home». E tu sai che è ora di andare in mezzo alla neve, attraverso i campi di lutto, verso una luce in lontananza…Per stanotte, finalmente sto tornando a casa.
L’odissea dell’Italia, però, non è finita.Marco damilano,l’espresso









   
 



 
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