Il terrorismo attacca e in Italia i militari lasciano le città
 











Era una misura di massima allerta, decisa nel 2005 all’indomani delle stragi islamiche di Londra. Ed è stata pesantemente ridimensionata proprio ora che il terrorismo fondamentalista torna a colpire una capitale europea. Da questa settimana infatti tutte le pattuglie dell’Esercito nelle città italiane sono state abolite. Non ci saranno più le ronde appiedate nelle stazioni ferroviarie, negli aeroporti e in altre infrastrutture considerate a rischio. E neppure la sorveglianza nelle zone periferiche affidate ai veicoli dei militari. Ogni giorno ci saranno 980 uomini in meno per i controlli lì dove si temevano attentati.
L’operazione “Strade sicure” è stata appena tagliata dal governo Renzi, con l’obiettivo di ridurre la spesa pubblica: in pratica, un quarto del distaccamento torna nelle caserme. Ben 1250 soldati su un totale di 4250 impiegato nel 2014: per quest’anno è previsto lo schieramento di soltanto tremila uomini e donne in tutamimetica.
A concretizzare le nuove linee guida è stato il ministero dell’Interno, con le prefetture che hanno diramato i piani d’azione. Scompaiono del tutto le ronde a piedi o in jeep nelle città, incluse Roma e Milano. Non solo. I militari abbandonano completamente sette capoluoghi: il sistema di vigilanza iniziale ne comprendeva 34, successivamente diminuiti a 29. Adesso invece la sorveglianza verrà condotta soltanto il 22 aree urbane. La ritirata più significativa riguarda l’Aquila, dove dopo il terremoto del 2009 l’Esercito si occupava di controllare la zona rossa, il cuore del centro storico rimasto deserto in seguito al sisma. Adesso è probabile che venga sostituito da vigilantes privati.
Sensibilmente ridotta anche la guardia alle strutture dove vengono accolti immigrati e profughi in attesa di identificazione o destinati all’espulsione. Qui finora operavano 1075 militari, che da questa settimana sono stati ridotti a 690. Un taglio di 385 soldati, che appare incontrotendenza rispetto al timore lanciato dall’intelligence di tutto il mondo sul pericolo che nella marea di disperati si infiltrino terroristi di ritorno dalla Siria e dall’Iraq.
In compenso, si è deciso di potenziare la sorveglianza contro obiettivi fissi, come sedi diplomatiche o abitazioni di personalità a rischio, come magistrati e politici, con altri 115 uomini. I militari assegnati a questo compito passano da 2195 a 2310, con l’intento di liberare personale delle forze dell’ordine da destinare alle indagini o al contrasto della criminalità.
L’operazione “Strade sicure” è entrata in funzione per volontà dell’allora ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu nell’estate 2005. Dopo lo choc delle bombe nella metropolitana di Londra il governo Berlusconi decise di potenziare al massimo la lotta al terrorismo, mettendo in campo anche le forze armate. Si stabilì non solo di destinare i soldati alla sorveglianza dei possibili bersagli di mafie e fondamentalisti, in modo da avere piùpoliziotti e carabinieri, ma anche di schierare le ronde nelle città. Per questo il decreto aveva concesso ai militari il potere di compiere arresti e fermi, una misura revocata pochi mesi dopo che aveva obbligato a creare pattuglie miste: fanti, alpini o bersaglieri erano sempre accompagnati da un agente, in grado di applicare la legge.
I risultati di questa missione, prolungata da tutti i governi successivi se pur con una graduale diminuzione degli organici, sono stati molto controversi. I sindacati della polizia l’hanno contestata fin dall’inizio, criticando l’impiego di personale addestrato per i conflitti armati in attività di ordine pubblico. E il bilancio concreto in termini di arresti e fermi è stato abbastanza magro. Non esiste però una valutazione su quanto i soldati abbiamo contribuito ad aumentare la percezione della sicurezza tra i cittadini, soprattutto nelle stazioni ferroviarie o in alcune zone periferiche. E diversi sindaci adesso stanno protestando per la scelta ditogliere i soldati dalle strade: il primo è stato Flavio Tosi a Verona, durissimo contro il governo.
Il taglio del governo Renzi e la sua applicazione disposta dal Viminale rischiano ora di venire messi in discussione dal terribile assalto contro Charlie Hebdo. Tutte le prime analisi indicano come l’attacco di Parigi sia stato condotto da miliziani molto esperti, quasi sicuramente veterani dei conflitti in Siria o in Iraq. Dove migliaia di arabi residenti nelle nazioni europee e anche in Italia sono andati a combattere in nome della guerra santa. L’allarme in tutto il continente è concentrato proprio sul pericolo che numerosi fanatici dello Jihad stiano compiendo il viaggio inverso, per colpire l’Occidente. E il nostro Paese – schierato nella coalizione che si oppone allo Stato islamico e ancora attivo con un contingente in Afghanistan – è stato più volte indicato come un bersaglio dall’armata di Al Baghdadi. Gianluca Di Feo,l’espresso

 









   
 



 
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