Le spiagge italiane sono in svendita La lobby dei gestori può festeggiare
 











Cambiano i governi ma la vendita delle spiagge prima o poi torna d’attualità. Un documento riservato dell’Agenzia del demanio, diretta da Roberto Reggi, fissa i criteri del nuovo disegno di legge sulle concessioni balneari. La privatizzazione dei lidi è mascherata dal linguaggio tecnico ma stabilita senza equivoci. “Le aree appartenenti al patrimonio dello Stato”, si legge al comma 11 dell’articolo 6, “sulle quali alla data del 30 settembre 2014 siano stati realizzati da privati immobili o manufatti sono alienate a cura dell’Agenzia del Demanio mediante vendita diretta in favore del soggetto legittimato che ne faccia richiesta”.
Per rendere tecnicamente possibile la privatizzazione, si sposta la linea dividente del demanio marittimo, incedibile, e lo si trasforma così in patrimonio, che può essere venduto al concessionario.
Non è l’unico provvedimento previsto a vantaggio dei padroni della costa italiana in modo da eludere la direttivaBolkestein, che ha imposto una gara europea. Nella bozza normativa preparata dall’Agenzia la durata della concessione è fissata fra un minimo di sei e un massimo di trent’anni in base agli investimenti e alle opere realizzate dal concessionario. Più si costruisce, più si gestisce, in contraddizione con l’indicazione di “contenere il consumo del suolo” avanzata dal ministero dell’Ambiente.
I criteri di affidamento ribadiscono che “gli investimenti immobiliari durevoli” saranno un vantaggio decisivo in sede di gara insieme all’accessibilità offerta ai disabili, “alla qualità e pregio dei manufatti”, a una “corrispondenza con le tradizioni locali” che inquieta se applicata a località dove la più radicata tradizione locale è l’abusivismo. Faranno punteggio anche il mantenimento dei livelli occupazionali, sebbene il grosso degli addetti del settore sia composto da stagionali, e per il 20 per cento del totale la professionalità acquisita.
E l’aumento dei canoni? Sulle scarsissimerendite che lo Stato incassa dalle 30 mila concessioni marittime (102 milioni di euro all’anno), il disegno di legge parla chiaro: “il canone della concessione demaniale non può costituire criterio di valutazione dell’offerta”.
Non solo. Chi sarà rimasto indietro con i pagamenti alla data del primo gennaio 2015 potrà estinguere il debito “mediante il versamento diretto in un’unica soluzione di un importo pari al 50 per cento delle somme medesime”. Fra i beneficiari del condono ci saranno molti concessionari messi in ginocchio dalla crisi ma anche i furbetti che non hanno dichiarato nulla e per anni non hanno pagato. È il caso, scoperto di recente dalla Finanza, dei lidi del litorale veneziano, incluso il prestigioso Excelsior e la “Venezia spiagge” controllata dal Comune, che devono 6 milioni all’Erario fra concessioni, Ici e Imu.
Un altro provvedimento molto discutibile nel piano del Demanio riguarda il mantenimento della subconcessione, che permette a molti concessionari dipagare un canone di poche migliaia di euro e subaffittare il lido per somme a cinque zeri, come accade in Versilia con il Twiga di Flavio Briatore. Sempre a favore dello status quo è il mantenimento dei canoni di classe B che già oggi sono applicati alla stragrande maggioranza degli stabilimenti, inclusi alcuni fra i più lussuosi e decisamente di serie A. L’unico intervento a vantaggio dello Stato è la fissazione di un canone annuale minimo a quota tremila euro che dovrebbe cancellare i fitti da poche centinaia di euro.
Anche la maggiore discrezionalità concessa alle Regioni e ai Comuni nella valutazione delle offerte lascia perplessi. Nelle località che vivono di turismo il peso elettorale della lobby balneare è spesso decisivo e anche a livello nazionale la pressione dei concessionari e dei loro sindacati è affidata a uno schieramento trasversale di politici che va dalla senatrice Pd Manuela Granaiola, al deputato Ncd Sergio Pizzolante fino al presidente dei senatori forzisti,Maurizio Gasparri. Gianfrancesco Turano,l’espresso

 


 









   
 



 
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