Due settimane di sciopero, quasi la metà dei voli cancellati, una perdita stimata dalla società in 15 milioni di euro al giorno. La protesta dei piloti di Air France non è la prima nella storia del gruppo. Nel 1993 l’allora presidente del vettore, Bernard Attali, fu costretto alle dimissioni per fermare una mobilitazione che durava da otto giorni. Quella volta, però, sul tavolo c’era la proposta di tagliare quattromila posti di lavoro, mentre oggi l’azienda promette di investire un miliardo di euro. La contraddizione è solo apparente: quei soldi non serviranno infatti a potenziare la compagnia di bandiera, ma a rafforzare Transavia, una piccola low cost controllata dalla stessa Air France-Klm. Nel piano strategico annunciato l’11 settembre, infatti, il colosso dei cieli francesi ha detto di voler raddoppiare la flotta di Transavia, passando dagli attuali 53 a 115 aerei. La paura dei piloti della capogruppo, che guadagnano in media il 20 per centoin più rispetto ai colleghi del vettore economico e volano circa 200 ore in meno all’anno, è che alla fine Transavia sostituirà Air France nei voli a corto raggio, e così i dipendenti di quest’ultima verranno messi con le spalle al muro: o continuare a lavorare per la low cost, con relativo taglio della paga, oppure restare a casa. Lo scontro che ha paralizzato gli aeroporti transalpini nelle ultime settimane è la manifestazione locale di un fenomeno molto più ampio, che coinvolge tutte le grandi compagnie di linea del Vecchio Continente. Per inquadrare la questione bisogna tenere a mente un dato. Secondo una ricerca di Morgan Stanley, a giugno di quest’anno la quota del mercato europeo in mano ai vettori low cost era pari al 36,7 per cento, mentre nel 2001 non arrivava al 5 per cento. Grazie ai prezzi scontati, che hanno reso accessibile a tutti i viaggi aerei, in meno di 15 anni società come Ryanair ed Easyjet sono diventate dominatrici nei voli a corto raggio. La conseguenza,per compagnie di linea come Air France Klm, è che questo segmento di mercato è diventato motivo di perdite costanti. Ma abbandonarlo non si può. Spostare passeggeri da Lione a Parigi, per esempio, resta fondamentale per la società transalpina, perché solo così può riempire al meglio i propri voli intercontinentali (quelli, sì, ancora redditizi). Per questo, negli ultimi anni, i grandi vettori hanno provato a stringere la cinghia: biglietti scontati, pasti a pagamento, eliminazione di tutti i servizi considerati non essenziali. Battere chi sulle tariffe stracciate si è costruito un nome non è però facile. E infatti la sfida è stata persa. Ecco perché, da qualche tempo, Air France e le altre hanno imboccato una nuova strada: invece di imitarle, le low cost, compriamole e trasferiamoci una parte dei dipendenti. La compagnia francese, una delle poche in Europa ad essere ancora controllata dal governo nazionale, è l’ultima delle grandi società del settore ad aver deciso di puntare sulproprio vettore economico. «Una mossa obbligata», l’ha definita Alain Vidalies, il ministro dei Trasporti transalpino. Nonostante gli sforzi degli ultimi anni, la compagnia di bandiera continua infatti a perdere soldi. L’amministratore delegato, Alexandre de Juniac, in meno di tre anni ha tagliato i costi di oltre un miliardo, lasciando a casa circa ottomila persone su un organico che a fine 2013 ne contava 97 mila. Le perdite si sono assottigliate (614 milioni nel primo semestre di quest’anno contro i 796 del 2013), ma anche quest’anno non ci sarà profitto, come annunciato a luglio dal gruppo. Da qui la decisione di puntare su Transavia, una piccola compagnia olandese comprata nel 2003 e che, prevede de Juniac, entro il 2017 «dovrebbe imporsi fra i low cost leader del settore in Europa, con oltre 20 milioni di clienti». I sindacati non hanno messo il bastone fra le ruote solo ai francesi. A Francoforte, quartier generale della Lufthansa, nell’ultimo mese i dirigenti dellacompagnia tedesca hanno già dovuto gestire tre scioperi. In questo caso il motivo ufficiale della discordia sono i piloti, i quali attualmente possono andare in pensione a 55 anni percependo il 60 per cento dello stipendio. Una regola interna che l’azienda vorrebbe modificare, alzando l’età pensionabile a 65 anni, come concesso dall’Unione europea. Il Vereinigung Cockpit, sindacato che rappresenta quasi due terzi dei piloti della Lufthansa, finora non ha però ceduto alle richieste della società, e così la questione è rimasta irrisolta. Dietro la lite per i benefici riservati ai pre pensionati si nasconde un piano ben più rilevante. La strategia, annunciata per la prima volta nel 2012, prevede di trasferire buona parte dei voli attualmente operati in Europa da Lufthansa a un’altra compagnia: la Germanwings, low cost controllata dalla stessa Lufthansa, che ha il suo aeroporto di riferimento a Colonia. «In Europa registriamo perdite da diversi anni», aveva detto l’allora numero unoChristoph Franz, «vogliamo riportare in utile i nostri voli a corto raggio». Il travaso è già iniziato e, anche in questo caso, il timore dei lavoratori è di vedersi ridurre lo stipendio e aumentare le ore di volo. «Nei prossimi due anni», si legge oggi sul sito di Germanwings, «la compagnia rileverà gradualmente tutte le rotte di Lufthansa che non passano dai due hub di Francoforte e Monaco». L’obiettivo è chiaro: ridurre i costi e contenere l’emorragia di passeggeri che scelgono di volare con Ryanair o Easyjet. Nonostante gli sforzi, i risultati economici per ora sono stati deludenti. La compagnia tedesca, prima in Europa per ricavi (14,1 miliardi nel 2013), negli ultimi due anni ha perso quasi 300 milioni di euro, e a luglio anche lei ha dovuto lanciare un allarme sull’andamento dei conti, annunciando che il risultato operativo a fine anno sarà di 1 miliardo e non, come previsto, di 1,3-1,5 miliardi. La fiducia nel futuro di Lufthansa e Air France si basa però sull’esempio diInternational Airlines Group (Iag), l’altro grande vettore europeo, frutto della fusione tra la spagnola Iberia e l’inglese British Airways. L’anno scorso il gruppo ha acquistato la compagnia Vueling, che controlla il 7 per cento del mercato low cost europeo ed è fortissima a Barcellona. Nel primo semestre di quest’anno il gruppo ha registrato un utile netto di 96 milioni di euro, in deciso miglioramento rispetto al mezzo miliardo perso nei primi sei mesi del 2013. «Dopo l’acquisto di Vueling», spiega James Halstead, analista di Aviation Strategy, «Iag ha iniziato a fare bene e le concorrenti cercano perciò di imitare il modello». Mentre i vettori tradizionali tentano di reinventarsi, Ryanair e Easyjet, che insieme hanno il 40 per cento del mercato economico europeo, non stanno però a guardare. Pur potendo vantare dati di bilancio invidiabili (entrambe nel 2013 hanno aumentato il fatturato e registrato utili nell’ordine del mezzo miliardo di euro), le due low cost pianificanoinvestimenti per portare via altri passeggeri alle compagnie di linea. La strada l’ha indicata ancora una volta il numero uno di Ryanair, l’irlandese Michael O’Leary, che a inizio settembre ha ordinato 200 nuovi Boeing 737. L’obiettivo è di portare la flotta, che attualmente conta su 300 aerei, a 520 mezzi entro il 2023. Un incremento che significa risparmi: i nuovi velivoli permetteranno infatti di far salire a bordo otto passeggeri in più rispetto ai mezzi attuali, con lo stesso numero di dipendenti in servizio e un taglio del 20 per cento sui consumi di carburante. Risparmi sui costi che dovrebbero permettere a Ryanair di abbassare ulteriormente le tariffe per i passeggeri e, prevede O’Leary, di aumentare il numero dei passeggeri annuali dagli attuali 81 ai 150 milioni nel 2023. «Grazie a questo atteggiamento aggressivo», dice Nadejda Popova, analista di Euromonitor International, «nei prossimi anni le grandi low cost aumenteranno ulteriormente la loro quota di mercato e farannoaltre vittime in Europa». L’ultima a subire gli effetti della concorrenza a basso costo è stata Meridiana, la compagnia italiana controllata dal principe Aga Khan. Nei giorni scorsi, dopo anni di perdite, la società ha annunciato di voler mettere in mobilità 1.600 dipendenti sui 1.742 totali. Se sul fronte europeo le società come Meridiana devono vedersela con le low cost, a cui si sono da pochi anni aggiunti i treni ad alta velocità, sulle tratte intercontinentali i margini restano buoni, ma anche qui si stanno affacciando nuovi sfidanti: Emirates, Qatar Airways, Etihad. Rispetto alle concorrenti europee (e americane), le compagnie del Golfo, tutte controllate dai rispettivi governi, possono beneficiare di regimi fiscali vantaggiosi, costi di finanziamento più bassi e di un modello di business che integra l’attività del vettore con quella del suo aeroporto di riferimento. In questo contesto s’inserisce la nuova Alitalia, il cui 49 per cento del capitale è stato rilevatoproprio da Etihad. Dal piano industriale annunciato dopo la firma dell’accordo con la compagnia di Abu Dhabi, si capisce che il tentativo della nuova gestione non sarà quello di battagliare con le low cost, come invece avevano fatto, senza peraltro avere successo, i “capitani coraggiosi”, il gruppo di imprenditori chiamati nel 2008 a rilevare l’allora compagnia statale. L’obiettivo degli arabi è rivolto ai voli intercontinentali, segmento di mercato in cui l’Italia, situata a metà strada fra il Medio Oriente e le Americhe, oltre che meta turistica sempreverde, rappresenta uno snodo naturale. Tra il 2015 e il 2018 la nuova Alitalia dovrebbe disporre di sette nuovi aerei a lungo raggio con destinazione Shanghai, Pechino, Città del Messico, Seul, San Francisco e Santiago del Cile. Resta il problema di come far arrivare i passeggeri provenienti dal resto d’Europa a Fiumicino, scalo prediletto da Etihad per il lungo raggio. L’esperienza della low cost interna, tentata con AirOne, è finitamale, e Etihad non ha al suo interno una vera compagnia a basso costo. Il colosso di Abu Dhabi ha però partecipazioni rilevanti in diversi vettori europei, come Air Berlin e la svizzera Etihad Regional. I passeggeri del centro Europa potrebbero dunque arrivare a Fiumicino volando con queste compagnie, per poi proseguire con Alitalia o Etihad verso le Americhe, l’Asia o l’Africa. «Questa strategia», dice Ugo Arrigo, docente di Finanza pubblica all’università Bicocca di Milano, «rischia di dare fastidio soprattutto a Lufthansa, che riesce oggi ad attirare molto traffico italiano verso i suoi hub. Non è un caso che sia proprio la compagnia tedesca quella più preoccupata dall’ingresso di Etihad in Alitalia».Stefano Vergine,l’espresso
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