Rottapharm in Borsa: farmaci e conflitto d’interessi
 











Rottapharm sbarca in Borsa e mette in vendita azioni per 400 milioni. È un’operazione di tutto rispetto, almeno per le dimensioni del mercato italiano. Ma prima di valutare se l’azienda farmaceutica controllata dalla famiglia Rovati ha le carte in regola per vincere la sfida del listino, bisogna affrontare una questione preliminare. Come verrà impiegato il denaro incassato con il collocamento pubblico? L’ideale, in questi casi, è che i proventi siano destinati allo sviluppo dell’impresa. E sviluppo può significare investimenti produttivi, ricerca oppure acquisizioni, anche di marchi e brevetti.
Nel caso di Rottapharm sembra che i piani del socio di controllo e delle banche che lo assistono (in prima fila Banca Imi) siano diversi. Gran parte dei proventi serviranno infatti a pagare i debiti del gruppo. Anzi,
in prima battuta, il denaro finirà nelle casse di Fidim, la holding dei Rovati. Quest’ultima, in un secondo tempo, girerà quei soldi aRottapharm. Negli anni scorsi, infatti, la famiglia azionista ha prelevato dalle casse dell’azienda farmaceutica circa 260 milioni. Di conseguenza Fidim è indebitata con la propria controllata e per saldare il debito vende il 25 per cento del capitale  della stessa Rottapharm, che così approda al listino.
Ecco, quindi, una prima risposta al quesito iniziale. I proventi del collocamento non serviranno per lo sviluppo del gruppo che si quota in Borsa, ma per saldare i debiti del suo proprietario. Che cosa è successo? Semplice: i Rovati hanno deciso di puntare sulle energie rinnovabili e il denaro necessario è stato fornito dall’azienda farmaceutica di famiglia. Adesso la holding Fidim è tra i soci principali di Greentech, azienda quotata alla Borsa di Copenaghen, ma attiva soprattutto in Italia. Gli altri azionisti di controllo della società danese sono Marco Tronchetti Provera e la famiglia Sigieri Diaz. I Rovati nei mesi scorsi hanno investito decine di milioni ai piani altidella catena di controllo della Pirelli. In sostanza, la famiglia lombarda, tramite Fidim, ha dato una mano a Tronchetti Provera per mantenere la presa sul gruppo del cinturato. Anche in questo caso Rottapharm ha fatto la sua parte, sborsando circa 35 milioni di euro.
Non solo farmaci, quindi. L’aspirante matricola di Borsa ha investito anche nell’energia e nella finanza. In casi come questi è evidente il conflitto d’interessi tra proprietari e azienda. Poi ci sono le banche. Rottapharm ha debiti per 100 milioni con Mediobanca, per 35 milioni con Intesa che guida il collocamento tramite Banca Imi (altro conflitto d’interessi) e per 15 milioni verso Ubi. Con i proventi della vendita di azioni verrà saldato il conto con gli istituti di credito. Gli oneri finanziari quindi caleranno, anche se restano da pagare interessi per almeno 25 milioni l’anno sui bond per 400 milioni emessi a fine 2012. Rottapharm non ha problemi di redditività.
Nel 2013 i profitti sono leggermente calatirispetto al 2012, ma l’utile prima delle tasse ha comunque raggiunto i 56 milioni su ricavi stabili a quota 540 milioni. Insomma, la liquidità non manca. Tra tutti gli investimenti possibili, l’azienda farmaceutica ha però impiegato parte della cassa per finanziare gli affari dei Rovati. Per lo stesso motivo sono aumentati i debiti. Sarebbero  questioni di famiglia, se non fosse che ora Rottapharm vuol quotarsi in Borsa. Per chiudere i conti con il passato.Vittorio Malagutti,l’espresso









   
 



 
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