E’ nota la grave crisi finanziaria, prodotta dall’usura internazionale, nella quale si dibatte in queste ore la Repubblica Argentina. Un girone infernale, lascito delle politiche monetarie inventate oltre un decennio fa dai governi del presidente Menem e del suo ministro per l’economia Cavallo, con l’accollo di un pesante debito internazionale gravato da interessi insostenibili, aggravato da emissioni di obbligazioni (bond) sulla piazza di New York e da un suicida parallelo aggancio del peso al dollaro Usa. I successivi governi di Buenos Aires di Nestor e Cristina Kirchner, con atti di imperio per salvaguardare la sovranità dello Stato nazionale argentino, dopo la dichiarazione di insolvenza, pur inizialmente osteggiati da Fmi e Banca Mondiale, erano comunque riusciti a percorrere una strada di risanamento, ottenendo in due fasi, nel 2005 e nel 2010, l’adesione del 93 per cento circa dei creditori ad una formula transattiva di concambio deicosiddetti “tango bonds” (le obbligazioni di Stato in insolvenza) con nuove obbligazioni pubbliche emesse ad un valore del 30 per cento rispetto alle precedenti e con un impegno temporale più graduale nella restituzione. Senonché tale raggiunta quasi complessiva soluzione del disastro compiuto dalla “finanza creativa”, rischia in questi giorni di essere azzerata da varie pronunzie giudiziarie ottenute, ai danni di Buenos Aires – e di un popolo di 41 milioni di persone – dall’irriducibile volontà della minoranza del 7 per cento dei creditori – fondi speculativi per la gran parte e un pugno di banche e di piccoli risparmiatori - di ottenere non soltanto la restituzione integrale dei capitali investiti, ma anche sia degli interessi relativi nominali e sia di enormi risarcimenti. Alcuni esempi. Nel momento della crisi economica argentina, fondi speculativi di varia estrazione avevano acquisito a prezzi stracciati i bonds argentini insolventi (non a caso definiti“spazzatura” o tangobonds). La “Elliot Management” Usa dello speculatore-“filantropo” Paul Elliot Singer, è il caso più sintomatico, rastrellò per poco più di 40 milioni di dollari obbligazioni argentine per 182 milioni di dollari (tra valore nominale dei titoli e interessi maturati). Intenzione della “E.M.”, fondo avvoltoio, era quella di ottenere per vie giudiziarie, negli Usa, il riconoscimento non solo dei 182 milioni di dollari ma di uno sproporzionato risarcimento. Il fondo Elliot era già aduso a tale pratiche usuraie: con lo stesso metodo creativo di “alta finanza” giudiziaria aveva ottenuto, sia una simile sentenza contro il Perù e sia una sentenza contro il Congo che, per archiviare un investimento di 10 milioni di dollari, lievitati con gli interessi e danni a 400, si era visto condannare ad un “risarcimento a stralcio” per 127 milioni di dollari. In breve, con un’azione comune ad altri fondi “avvoltoi”, NML, Aurelius, banche, privati, specializzati inspeculazioni estreme sui fondi a rischio, l’Elliot è riuscito ad ottenere il 18 giugno scorso, dopo una serie di pronunzie giudiziarie di prima istanza favorevoli, il rigetto di un ricorso argentino che paventava il pericolo di una nuova insolvenza di Buenos Aires se condannata a stratosferici risarcimenti, da parte della Corte Suprema degli Stati Uniti, giudice distrettuale Thomas Griesa. E quindi il pagamento integrale – valore nominale, interessi, danni - di oltre 1,4 miliardi di dollari. L’Argentina ora, con il presidente Cristina Kirchner che ha dichiarato la sentenza un’ “ignobile estorsione” che rivaluta addirittura al 1600 per cento un credito di fatto inesigibile, rischia di bucare le scadenze (la prima a fine mese per 950 milioni di dollari e di veder fallito il piano di ristrutturazione del debito e la normalizzazione dei rapporti con i mercati che speculano sui debiti sovrani. Perché il precedente della sentenza della Corte Suprema Usa apre una voragineche mette a rischio dieci anni di trattative e di accordi tra l’Argentina e tutti i suoi creditori, e colpirà – a boomerang gli “irriducibili”: anche quelli che su altri fronti (Tribunale di Ginevra, Club di Parigi, Icsid (Banca Mondiale), tribunali nazionali, come quello italiano di Mantova) avevano fin qui ottenuto o stanno ottenendo parziali vittorie di risarcimento. La sentenza Griesa è infatti prodroma di rivalse (pignoramenti, sequestri, su beni mobili e immobili dell’Argentina) a 360 gradi. Per semplificare: è possibile addirittura sia il sequestro delle tranches di progressiva restituzione del debito fondato sui nuovi bonds al 93% degli investitori che avevano accettato la ristrutturazione e sia una ripetizione dei blocchi di beni pubblici, come già accaduto per la fregata-scuola della Marina Argentina “Libertad” un paio di anni fa sequestrata per tre mesi in un porto del Ghana con l’intero equipaggio e che soltanto un intervento giudiziario-diplomatico a Ginevra, conl’avvenuto annullamento della sentenza relativa, era riuscito a sbloccare. Tra l’altro rimette in gioco l’accordo del 29 maggio tra Argentina e Club di Parigi, per 9,7 miliardi di dollari, con restituzione scaglionata in più anni e con una prima rata in scadenza a luglio per 650 milioni di dollari. Una sentenza – quella della Corte Suprema Usa - che erode alle basi anche il buon diritto di quelle migliaia di risparmiatori italiani che avevano preferito intentare causa, piuttosto che allo Stato argentino, alle banche e ai brokers di mediazione che avevano imposto nei loro pacchetti di cosiddetto “investimento” anche i bonds argentini e altri titoli-spazzatura. E che avevano già raggiunto sentenze favorevoli nei tribunali nazionali (ricorre come precedente quella del 18/3/2004 del Tribunale di Mantova, sezione II, che aveva condannato la B.A.M. (Banca Agricola Mantovana) a restituire, ad una coppia di coniugi, i soldi investiti in obbligazioni argentine. La sentenzaaveva concluso per la nullità dell’ordine di acquisto di ben 315.000 obbligazioni Argentine, con conseguente condanna alla restituzione di quanto investito oltre agli interessi da corrispondersi, al tasso legale, dal momento dell’investimento) E che costituisce un precedente – con un gioco al massacro – per quella che sarà la decisione, in questo fine mese, presso il quartier generale della Banca Mondiale, a Washington, del tribunale arbitrale dell’Icsid (Centro sulle dispute da investimenti) e che riguarda circa 50 mila piccoli risparmiatori italiani rappresentati da associazioni come la Tfa - Associazione per la Tutela degli Investitori in Titoli Argentini, presieduta da Nicola Stock - e dalle banche intermediatrici. Per sovrappiù, al rischio argentino di un ritorno al default, di fatto manovrato dagli avvoltoi della finanza speculativa si è aggiunta subito la decisione delle nefaste agenzie di rating di dichiarare il debito di Buenos Aires “a rischio fallimento” (CCC-) con laconseguente vergognosa ascesa dello spread tra titoli argentini e Treasury bond Usa a 880 euro e più… : all’incirca lo stesso ricatto politico operato nel 2011 contro l’Italia con l’artificioso balzo del divario tra titoli italiani e bund tedeschi. Un gioco di artifizio al massacro sulla pelle di una nazione e a tutto profitto degli investitori che vedono aumentate d’un botto le loro “rendite”. Una nazione da spolpare, l’Argentina, infilata in una gabbia di usura finanziaria, a tutto e (quasi) esclusivo vantaggio degli avvoltoi della finanza che specula sui debiti sovrani. Con un "mediatore" - l’avvocato Usa Daniel Polack, noto alle cronache, guarda caso come "difensore delle banche" contro le politiche di contenimento dell’usura accennate da Washington... - nominato dal giudice Griesa per imporre una soluzione "cash + rateizzo" per il saldo di 1,4 miliardi di dollari della condanna. Un rischio che la Grecia ha già amaramente subìto e che attende l’Italia, nonostante ivaniloqui di Renzi & Co., dietro l’angolo. Tanto più e peggio se il semestre italiano di presidenza Ue – oltre a ottenere allentamenti dei nodi scorsoi sul bilancio e sul rapporto debito-pil ma in cambio di tasse e di tagli sociali e occupazionali… - convergerà, come annunciato, sulla firma Ue-Nafta (Usa, Mexico, Canada), del cosiddetto Trattato Transatlantico che sancisce addirittura, in un suo esplicito articolo normativo, la non legittimità di sentenze giudiziarie o di leggi nazionali che possano ostacolare i “buon diritti” delle speculazioni finanziarie internazionali. Con buona pace della sovranità delle nazioni e del benessere dei popoli sudditi.Lorenzo Moore
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