Sforbiciatine piccole piccole, mani avanti, pensioni che aumentano, tagli che non si vedono o si vedono poco, ritocchini verbali che rendono oscuri i vari capitoli (persino quello relativo alle spese per la carta igienica), ordini del giorno che fanno titolo, come quello che vorrebbe legare la retribuzione dei senatori a vita alla loro effettiva presenza in Aula, ma che allo stato sono poco più che buone intenzioni. Il Senato insomma rispecchia anche nel proprio bilancio interno il ruolo che la tradizione gli ha consegnato: tutto avviene in maniera meno roboante che alla Camera, si direbbe quasi di soppiatto tra tappeti e boiserie. Meno evidenti i tagli, meno evidenti le spese: del resto è il ramo del Parlamento con meno riflettori addosso, e si comporta di conseguenza. Non è per forza un male: stando un po’ lontani dai riflettori ci si muove in maniera più naturale, le intenzioni sono più chiare. Per quanto riguarda il bilancio del 2013,fresco di approvazione in Aula, è per esempio senza molti salamelecchi che i Questori spiegano come in realtà non ci sia trippa per i gatti che vadano cercando grandi riduzioni di spesa: “Appare evidente come, ad oggi, non siano facilmente ipotizzabili cambiamenti di una qualche significativa consistenza e incidenza sul bilancio corrente”, “il bilancio del 2013 si configura, allo stato, come un quantum difficilmente suscettibile di modifiche sostanziali di immediato impatto finanziario”, spiegano nella relazione introduttiva. Mani avanti per giustificare la sostanziale invarianza delle spese rispetto all’anno scorso. Alla faccia degli sbandierati 34 milioni d’euro che pure Palazzo Madama fa attualmente risparmiare allo Stato, ma che derivano in gran parte da alcuni tagli decisi a partire dal 2010 (il blocco dell’adeguamento degli stipendi dei dipendenti, ad esempio) che ogni anno puntualmente danno il loro frutto, consentendo al Senato di dire a ogni bilancio che ha speso meno diquanto avrebbe speso se non avesse prorogato quei tagli. Il che naturalmente è vero, ma meno virtuoso di quanto appaia dal titolo. Del resto, ad ascoltare i Questori, addirittura il 90,48 per cento degli esborsi sono “obbligatori”, cioè necessari: una percentuale-monstre a fronte della quale perdono ulteriormente credibilità le pur vaghe affermazioni sui prossimi tagli da operare (“strumenti di incremento della produttività e revisione di ferie, orari e turnazioni; riorganizzazione delle strutture del Senato”, e già si immaginano fuochi e fiamme dei dipendenti), e quasi strappano un sorriso le promesse di “integrare” con la Camera dei deputati i “servizi di documentazione”, ma “informatica, logistica”, e persino “gare e contratti”. E quando un ramo del Parlamento chiama in ballo l’altro, è il segnale in codice che non accadrà nulla. In attesa di quelli e di “altre misure di contenimento delle spese che potranno essere messe allo studio e impegneranno l’Amministrazione neiprossimi mesi” - meglio non impelagarsi in affermazioni precise - i Questori propongono dunque di accontentarsi di quel che si è fatto. E, per renderlo più incisivo, invitano a comparare i dati di quest’anno non con l’anno scorso (i numeri sono più o meno gli stessi, perché si passa da una spesa complessiva prevista di 541,5 milioni di euro del 2012 a 540, 5 milioni di euro per il 2013) ma con dieci anni fa (“se si guarda alle dinamiche misurate in termini reali delle previsioni pluriennali di spesa, avendo subito una fortissima contrazione dagli oltre 527 milioni di euro del 2004 ai circa 454 milioni di euro del 2013”), mentre consigliano caldamente di aspettare “gli anni a venire” per poter apprezzare in numeri l’attuale “processo di revisione delle dinamiche di spesa”. I pensionati dilagano Ad oggi, invece, si può apprezzare per esempio che, nelle previsioni, rispetto al 2012 la spesa corrente del Senato risulta però aumentata di circa quattro milioni e mezzo di euro (da 533,7a 537,1 milioni). Colpa, in gran parte, del ricambio generazionale: paradossalmente, infatti, i 113 senatori che non sono stati rieletti continuano a pesare sul Senato sul fronte pensionistico. La voce “trattamento senatori cessati dal mandato” è infatti aumentata da 77,2 milioni a 82 milioni tondi tondi (+6,22 per cento). Vale a dire che il Senato spende per gli ex quasi il doppio di quel che spende per pagare lo stipendio (“competenze”) agli attuali senatori (42,8 milioni di euro), oppure la stessa cifra che spende per i 315 eletti a Palazzo Madama se si considerano anche i rimborsi (37,2 milioni). Analogo sconfortante discorso per il personale: i dipendenti (compreso chi ha un contratto a termine) costano 130,8 milioni (3,2 milioni in meno del 2012), gli ex dipendenti 115,2 (cioè 9 milioni di euro in più dell’anno scorso). Sono proprio questi dati che, sommati ai soldi per i gruppi parlamentari (21,5 milioni), e ai compensi per il “personale di segreteria e consulenza per i senatoricon incarichi istituzionali” (14,3) concorrono a formare il famoso 90 per cento di spese “obbligatorie”. Fatalmente destinate a crescere, col progredire delle legislature e delle conoscenze medico-scientifiche. Scure sulle Commissioni Sempre ad oggi, si può apprezzare che quattro milioni di tagli riguardano invece il 10-12 per cento per cento delle restanti spese, quelle che per esclusione si dovranno definire “non obbligatorie”, ma che nel bilancio sono - giustamente - chiamate spese di “funzionamento”. E che totalizzano circa sessanta milioni di euro: briciole, rispetto ai quasi 500 milioni della parte obbligatoria, ma comunque briciole consistenti. In effetti, è proprio in questa parte di spese che saltano all’occhio le maggiori schizofrenie. Tagli tra il 37 e il 70 per cento riguardano le attività delle Commissioni parlamentari (quelle d’inchiesta passano, non si sa come, da 1,6 milioni a 650 mila euro; quelle speciali da 1 milione a 392 mila euro), mentre non un euro di menoè stanziato per “cerimoniale e rappresentanza”, crescono i costi di studi e ricerche, calano di poco i pasti (da 1,72 a 1,69 milioni), e sale del 60 per cento l’acquisto di beni e materiali di consumo (a leggere la relazione, è tutta colpa delle elezioni). Se 840 vi sembran pochi Spulciando poi nel dettaglio il bilancio si scopre come, per esempio, il Senato, pur contando la bellezza di circa 840 dipendenti, sia costretto a spendere quasi 22 milioni per personale non di ruolo: fra l’altro, quasi 4 milioni di euro per “consulenze e prestazioni professionali”, 3,5 milioni per personale di “altre amministrazioni ed enti che forniscono servizi in Senato”, 2,4 milioni per i contratti a termine. Oltre che naturalmente il “personale addetto alle segreterie particolari”, che costa circa 12 milioni. Né per ora si riesce a rinunciare alla carta. Stampare gli atti parlamentari costa tre milioni di euro (trasmetterli in formato elettronico: 60 mila), riprodurre atti o documenti (cioèristamparli, si presume) un altro milione, di carta e cancelleria si spendono “soltanto” 256 mila euro, 250 mila per i servizi di posta, 110 mila per il noleggio di fotocopiatrici. Non che sul fronte computer si spenda poco: in totale, 8,3 milioni per i “sevizi informatici”, di cui i tre quarti se ne vanno in “noleggio e manutenzione delle attrezzature” (3,8) e assistenza tecnica (3,6). L’arte dell’inabissare la carta igienica (e l’ufficio stampa) Ma, per la verità, sfogliando le varie voci risulta un paradosso. Alla faccia della sventolatissima trasparenza, che si supporrebbe presente in maniera crescente vista la richiesta, molti capitoli scivolano via piuttosto oscuri. Paiono mancare molte voci che invece sono chiaramente presenti nel bilancio della Camera . Ma bisogna arrivare fino in fondo alle 75 pagine che compongono il rendiconto, fino all’ultimo allegato, per capire esattamente perché: c’è stata una “riclassificazione delle voci”, e dunque le cose si chiamano in mododiverso da prima. In effetti non manca nulla: è che le spese sono nominate con un linguaggio più accorto e diplomatico, talune sono confinate nella sezione a parte dei “contratti in corso”, e moltissime sono accorpate fino a raggiungere un grado estremo di vaghezza. Ad esempio, non ci sono spese di viaggio: ci sono i “servizi di mobilità” (6,6 milioni), che accorpano in un’unica voce e sostituiscono le diciture “trasporti per i senatori in carica” e “trasporti per i senatori cessati dal mandato” (e sì che la distinzione sarebbe apprezzabile). Non si sa più quanto spenda in consulenze l’Amministrazione o quanto i vari presidenti di commissione (cioè cariche ricoperte da politici): perché è un’unica voce. Non ci sono più capitoli distinti per le spese di “acqua”, “energia elettrica”, “gas”: formano tutti insieme la dicitura unica di “utenze”, dentro la quale peraltro ci sono pure le spese telefoniche (“canoni di servizi e telefonia”). Per andare a scoprire quanto si spenda perciascun tipo di bolletta a bisogna trasferirsi in un’altra sezione, quella appunto dei contratti “in corso di validità”: ma anche da lì non si deriva il dettaglio 2013, perché per ciascuna voce l’anno in corso è sommato a un vago “documenti di spesa anni precedenti”. Pare una sciocchezza, ma non si può più sapere quanto il Senato spenda in lavaggio auto e quanto in lavanderia, perché anche qui la voce è unica: “altri servizi di pulizia e smaltimento rifiuti” (sì, anche lo smaltimento rifiuti). Tutti insieme appassionatamente pure i costi per la “rilegatura” e quelli per la “manutenzione ordinaria automezzi”: macchine e libri si fanno compagnia, sotto la voce “manutenzione altri beni”. Non è possibile sapere quanto si spenda in tende e quanto in medicine, perché l’unica dicitura “materiali di consumo vari” adesso comprende: “carburanti”, “prodotti igienico sanitari” (la famosa carta igienica), “biancheria, tende, guide e simili”, “strumenti di utensileria varia”, “posate e stoviglie”,“vestiario di servizio”, “tessere di riconoscimento”, “prodotti medicali per le strutture sanitarie”. Accorpati pure, e ci sarà certamente un motivo, i “contributi al circolo di Palazzo Madama” e quelli per “l’acquisto del nuovo magazzino del Senato”. Ma il capolavoro è forse sulla “comunicazione istituzionale”: una sola voce per le “pubblicazioni della Biblioteca”, i “discorsi parlamentari e pubblicazioni dall’archivio storico” ma anche l’”attività dell’ufficio stampa del Senato” - i cui costi sono tradizionalmente meno digeribili per il cittadino di quelli sostenuti per la nobile Biblioteca . E menomale che, nell’introduzione, i questori tenevano a “sottolineare” che tutto questo rinominare è stato “realizzato in conformità con gli indirizzi già a suo tempo fissati in occasione dell’approvazione di diversi precedenti bilanci, nell’ottica di una trasparenza delle informazioni sempre maggiore”, e addirittura di una migliore “leggibilità” frutto di un quadro “meno frastagliato”.Insomma sulla carta le intenzioni erano, come sempre, le migliori. Ma la chiarezza è un’arte difficile. A Palazzo più che mai. Susanna Turco,l’espresso
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