Meno uomini, ma molto più armati
 











Meno uomini ma molto più armati. E’ la sintesi del Nuovo Modello di Difesa che il governo Letta varerà a fine Luglio in base alle deleghe che lo scorso Parlamento gli aveva affidato con la legge 244 del 31 dicembre 2012. A Camere già sciolte il vecchio Parlamento si disfaceva delle prerogative fondamentali del nuovo Parlamento in materia di difesa. L’ammiraglio Di Paola ministro del governo Monti andava orgoglioso di aver bruciato le tappe e di avere in mano poteri straordinari in materia di difesa. Così i decreti attuativi sono pronti ed approvarli nella seduta del Consiglio dei Ministri a fine Luglio significa anche sottrarre al parlamento tutto agosto ai due mesi previsti dalla legge dalla possibilità di poter proferire parola. I militari corrono, più veloce di quanto fece il Ministro Rognoni nel 1991, quando elaborò il primo Nuovo Modello di Difesa. C’era da passare dalla leva obbligatoria alle forze armate interamente professionale. C’era dasdoganare la guerra dal purgatorio in cui l’aveva cacciata la Costituzione repubblicana. C’era più che altro da rilanciare la Nato e il suo concetto strategico di gendarmeria globale invece di scioglierla, come sarebbe stato giusto e logico, alla luce della caduta del muro di Berlino e del patto di Varsavia. Forze Armate – come ebbe a scrivere il primo dei militari/ministro di un altro governo tecnico, quello del banchiere Lamberto Dini- composte da uomini che dovevano semplicemente essere disposti “ad uccidere e morire”. Il modello Rognoni dava una nuova missione alle Forze Armate: traslava il principio di difesa a tutto il pianeta. Difesa degli interessi nazionali ed occidentali in primo luogo. Difesa dall’accesso alle fonti energetiche .Difesa del libero mercato e via dicendo. Tutto solo con un po’ di pudore che avrebbe fatto aggettivare in vario modo il ricorso alla guerra : umanitaria, per la pace, per la democrazia, per i diritti delle donne e via dicendo. Venti anni di guerredal Golfo, alla Jugoslavia, all’Afghanistan , alla Libia in cui si è fatto strame dell’art.51 della Carta delle Nazioni Unite. Tanto più dell’art.11 della Costituzione letteralmente rimosso dal Ministro Di Paola nella suo ultimo capolavoro ideologico : il “Documento Programmatico Pluriennale per la Difesa per il triennio 2013-15”. Qui lo Stato sovrano può legittimamente utilizzare la forza delle armi contro altri Stati sovrani. La guerra infinita di Bush ha lasciato adepti qui e là nei vari dicasteri della difesa di innumerevoli Paesi. Eppure la guerra è un fallimento sotto tutti i punti di vista specialmente per il bagno di sangue e l’olocausto umanitario ed ambientale che esse hanno prodotto e che continuano a produrre. A ben pensare però fallimento è una parola sbagliata. Chi l’ha pianificata, voluta, prodotta con mille pretesti (non ultimo armando quasi sempre fino ai denti il dittatore o fondamentalista di turno poi improvvisamente trasformato in nemico da abbattere) ha fattoottimi affari. I mercanti di morte festeggiano ogni anno l’aumento delle spese militari e guardano con orgoglio i grafici dell’import/esport di armamenti che sembrano non conoscere la parola crisi. Anche in Italia le spese militari sono le uniche del bilancio dello Stato ad essere in crescita (nel triennio saliranno dell’1,308%) e cd’è chi ventila l’ipotesi di metterle fuori dal Patto di Stabilità.
L’enorme potere attribuito dal parlamento al Governo è passato dall’ammiraglio Di Paola al suo successore Mauro. Questi da un lato non perde occasione per lamentarsi del rischio default che correrebbero le forze Armate se non adeguatamente sostenute finanziariamente. Dall’altro si spertica nel difendere il faraonico piano di acquisizione di 90 cacciabombardieri F35, progetto difeso con le unghie e con i denti da Pd e Pdl a dispetto delle dichiarazioni elettorali di Bersani e Berlusconi che ne proponevano la chiusura.
Le nostre Forze Armate sono attualmente costituite da 177.000militari, dei quali 94mila graduati e 80 mila di truppa:: una assurdità tutta italiana con più comandanti che comandati.. La legge delega vorrebbe portare in equilibrio le spese della Funzione Difesa destinando il 50% delle risorse al personale (che dovrebbe ridursi a 150mila militari e a 20mila civili entro il 2024) ripartendo l’altro 50% a metà tra esercizio e investimento. L’idea di Mauro è che i fondi risparmiati dal taglio del personale e alle strutture non servano a ripianare il deficit dello Stato ma debbano rimanere a disposizione della difesa per l’acquisto di nuovi sistemi d’arma. Secondo il governo il ridimensionamento del numero dei militari e dei civili dovrebbe portare a regime un risparmio di 2,2 miliardi di euro da spostare nell’operatività e nell’investimento. In verità , allo stato dell’arte, il ridimensionamento del personale della difesa, non comporterà veramente un risparmio per il bilancio dello Stato, ma il transito di questo personale ad altra amministrazionepubblica. L’ipotesi che si affaccia, ovvero mettere in aspettativa retribuita del 95% dello stipendio i militari in esubero ci pare un controsenso, perché il risparmio sarebbe solo del 5%. Allora meglio parlare di un progetto di riconversione di parte dello strumento militare – magari potenziando la protezione civile, del suolo, del contrasto agli incendi boschivi non disperdendo professionalità- Ma per farlo questa riconversione deve essere finanziata, non si possono destinare le risorse risparmiate tramite tagli alle armi e alle missioni. Ma è l’idea da vero “corpo separato” dello Stato quella che muove Di Paola prima e Mauro oggi, nell’assurda pretesa di mettere in vendita – tramite Difesa Spa – caserme, poligoni, strutture militari per fare cassa per la Difesa. Addirittura le prestazioni per l’emergenze (terremoti, alluvioni, nevicate) saranno messe nel conto degli enti locali sul cui territorio saranno chiamate ad intervenire le nostre Forze Armate. Non solo. L’art.48 del decretolegge sul “Fare” prevede un articolo che trasforma i nostri militari in piazzisti di armi made in Italy nel mondo. Ovviamente i ricavi delle provvigioni rimarranno in casa, sempre per finanziare i nuovi e sofisticati sistemi d’arma.
L’unico segnale positivo viene dalla ricostituzione, dopo anni in cui si erano perse le tracce, alla Camera e al Senato dell’intergruppo sulla Pace. In gran parte parlamentari del M5S e di Sel ma anche qualche presenza in casa Pd. Rispetto alla caserma del lo scorso Parlamento questa volta nelle aule istituzionali una presenza pacifista c’è ed anche – scusate il gioco di parole – ben agguerrita. Ma senza una mobilitazione nel Paese su questi temi il parlamento è destinato ad accodarsi ai voleri governativi che coincidono, in larghissima parte con quelli del Colle e dei vertici militari. Alfio Nicotra









   
 



 
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