Albrecht Ritschl: ’La Germania aiuti la Grecia, così come l’Europa ha aiutato i tedeschi’ Angela Merkel
 











Per i greci è una corsa disperata per evitare la bancarotta. Hanno un debito pubblico oltre il 180 per cento del prodotto interno lordo, le casse quasi prosciugate, una fuga di capitali di circa 10 miliardi di euro tra dicembre e gennaio, prestiti da rimborsare ai creditori, un’economia da far ripartire e soprattutto milioni di cittadini alla fame. Le colpe sono dei precedenti governi, che hanno addirittura falsato i bilanci, ma alcune responsabilità toccano anche alla cosiddetta Troika tecnica (Unione europea, Banca centrale e Fondo monetario internazionale) che, per la stessa ammissione di un suo esponente, ha fatto male i conti peccando di ottimismo sulla ripresa economica.
La trattativa tra Atene e resto d’Europa sarà frenetica. Con alti e bassi. Annunci e controannunci. E alta tensione sui mercati. L’ipotesi di un’uscita della Grecia dall’euro non è da escludere anche se avrebbe conseguenze rischiose per l’intero sistema. Nel primo tourpost-elettorale nelle capitali europee, il premier Alexis Tsipras e il ministro delle Finanze Yanis Varoufakis sono stati accolti con curiosità ma anche con prudenza se non freddezza. Soprattutto il ministro, “duro” e descamisado, è stato protagonista di gaffe o battute che non sono piaciute né agli interlocutori tedeschi né a quelli italiani.
In gioco c’è una partita politica: cioè la richiesta di accantonare la sola austerità caldeggiata da Angela Merkel e da alcuni governi del Nord Europa. Sul fatto che di crescita e investimenti ora si debba parlare sono d’accordo in tanti, inclusi Matteo Renzi e il francese François Hollande. Ma c’è anche una partita economica, relativa ai 200 e passa miliardi di euro che la Grecia deve restituire ai partner, specie Germania, Francia e Italia (esposta per circa 36 miliardi).
Proprio sul debito e sui rapporti in Europa “l’Espresso” ha intervistato uno storico tedesco dell’economia, Albrecht Ritschl, che va controcorrente nel suo Paese. E chegià da qualche anno sottolinea come la Germania possa vantare il record di debiti mai rimborsati. Obblighi naturalmente legati alle guerre del Novecento e ai costi derivanti dalla riunificazione. Ritschl insegna alla London School of Economics e attualmente svolge attività di consulenza per il ministero dell’Economia guidato dal socialdemocratico Sigmar Gabriel.
La Grecia deve restituire 240 miliardi di debiti a istituzioni e Paesi europei. Ce la farà a saldare un conto del genere?
«Nessuno, neanche al governo di Berlino, si aspetta che la Grecia possa mai ripagare i suoi debiti fino all’ultimo centesimo. Se volessimo ottenere questo, noi europei dovremmo andare in vacanza per i prossimi 40 anni esclusivamente in Grecia e trasformare il Paese in una sorta di Hotel Florida dell’Unione europea».
Alexis Tsipras si ritrova in una situazione simile a quella del cancelliere Heinrich Brüning, strangolato da una marea d’impagabili debiti negli ultimi annidella Repubblica di Weimar?
«Il paragone storico più calzante è semmai quello tra la crisi di Weimar e il governo greco precedente di Lucas Papademos. Il quale, come Brüning, provava a onorare i debiti contro il volere dei greci. Brüning fu poi travolto dagli estremisti di destra ed allora per le strade di Berlino dominava il terrorismo, mentre Tsipras è un premier democraticamente eletto da cittadini stanchi di sopportare l’austerity loro imposta da Troika e Unione europea».
Il rischio è che, rigettando le condizioni della Troika, la Grecia dichiari bancarotta. Non sarebbe certo la prima volta...
«Nella storia dell’economia greca sarebbe anzi la quinta. Già dopo il crac del 1893 furono inviati nella banca centrale e al ministero delle Finanze di Atene ispettori stranieri a gestire la crisi. Dal punto di vista storico questa ferita è sempre aperta».
Il risentimento che oggi ad Atene si prova viene dunque da lontano?
«Certo. Dopola Grande Guerra e il crollo dell’impero ottomano, la regia economica dello Stato greco è sempre stata diretta dalle forze europee e in particolare da Berlino. Non è un caso se i greci sentono lo Stato come un nemico e le politiche economiche come un diktat, non importa se imposto da burocrati di Bruxelles o dai clan corrotti delle dinastie greche. In teoria, i programmi di Tsipras aspirano a dare un taglio a questa lunga storia di sudditanza».
In pratica invece è realistico da parte di Tsipras pretendere un taglio dei debiti?
«Con i suoi programmi, le sue dichiarazioni e pretese radicali Tsipras non aiuta certo a migliorare la sua posizione nei confronti dei creditori. Un taglio del debito greco comporterebbe perdite e crisi per le banche tedesche, francesi ed inglesi. Il programma elettorale sbandierato da Tsipras, poi, non incrementa la fiducia».
Intende le sue rivendicazioni sul salario minimo e sui nuovi posti nel settorestatale?
«Sono tutte promesse o piani che vanno nella direzione sbagliata, dato che Atene non ha la forza per sostenere questi pubblici investimenti. È un programma che spinge la Grecia all’ennesima bancarotta».
Un crac ad Atene quali ricadute avrebbe sulla stabilità dell’euro?
«Dal punto di vista strettamente tecnico la bancarotta di una piccola economia come quella greca non comporta il collasso dell’euro. Il rischio sta nel contagio politico, e cioè che anche Spagna, con movimenti come Podemos, segua l’esempio di Atene. Al momento anche in Italia la situazione economica non è affatto stabile».
Varoufakis ha detto che anche l’Italia sarebbe sull’orlo della bancarotta, anche se poi ha sostenuto di essere stato frainteso. Per il ministro Pier Carlo Padoan invece «la situazione è stabile». Chi ha ragione?
«L’Italia è minacciata da una montagna di debiti e al momento è la Bce di Mario Draghi ad aiutare il vostro Paese asostenerli, con la sua politica monetaria. È necessario quindi che Renzi realizzi urgentemente i suoi piani di riforma per ridar slancio all’economia e fiducia agli investitori. Oggi in Italia occorrono riforme di ampio respiro come quelle introdotte in Germania da Ludwig Erhard nel dopoguerra o da Gerhard Schröder con la sua “Agenda 2010”».
Riforme che hanno consentito al governo Merkel di presentare un bilancio a zero deficit. Perché in Germania si ha un’attrazione quasi magica per il “Null-Bilanz”, il bilancio senza deficit?
«Perché la Germania, e questo è un punto che non viene quasi mai notato, ha fatto un’esperienza traumatica con i suoi debiti non solo dopo le guerre mondiali, ma anche più di recente con i costi della riunificazione nazionale. Dopo il crollo del Muro il governo, cioè il contribuente tedesco, ha investito somme gigantesche nei nuovi Länder dell’Est, senza che sino ad oggi si sia visto un reale sviluppo. Questa è la vera paura che tormentaoggi Berlino: di ripetere al Sud d’Europa la traumatica esperienza fatta in Germania dopo l’unità nazionale».
Ma il trauma degli anni Novanta non è certo l’unica catastrofe economica subita dai tedeschi nel ventesimo secolo.«Al contrario, nel corso del XX secolo la Germania s’è rivelata la nazione con le bancarotte più disastrose. Ma al contempo è stato anche il Paese che, dopo due guerre mondiali scatenate da Berlino, è stato ogni volta salvato dai programmi finanziati dagli americani. Atteggiarsi quindi a primi della classe nell’Ue è un comportamento che i tedeschi dovrebbero rivedere».
La prima bancarotta è stata quella seguita alla Grande Guerra, con gigantesche ondate d’inflazione...
«Esatto, a partire dalla prima ondata inflazionistica del 1922 si arrivò l’anno dopo a pagare 320 miliardi di marchi per un uovo. Dal ‘24 al ‘29 la Repubblica di Weimar, sfiancata dalle enormi riparazioni di guerra, si stabilizzò grazie ai crediti americani. Chi andò poi alpotere dopo la crisi economica degli anni Trenta è storia nota».
Anche dopo la tragedia del nazismo e della seconda guerra mondiale la Germania è stata salvata dai capitali americani.
«Dopo il ‘45 l’amministrazione americana non voleva ripetere in Germania gli errori fatti dopo il 1918, con le esorbitanti riparazioni di guerra e impose a ogni paese europeo che accettava il Piano Marshall la rinuncia ai risarcimenti da parte tedesca. Nel 1947 quindi la Germania, approfittando di questo secondo taglio, ripartiva con un nuovo Stato e una nuova valuta».
Poi, nel 1953, si arriva alla Conferenza di Londra, dove si fissarono le condizioni per il miracolo economico tedesco.
«Sì. Vennero regolati, in modo più che conveniente per la Germania, solo i debiti contratti da Berlino sino al 1939. Ma l’accordo decisivo spuntò all’articolo 5, nel quale si pattuì che tutti i debiti e le riparazioni di guerra sarebbero stati regolati solo dopo un’eventualeriunificazione tedesca».
Non risulta però che nel 1990, riunificata la Germania, Helmut Kohl abbia mai onorato i patti di Londra...
«Nei trattati Two Plus Four, siglati a Mosca il 12 settembre 1990, non si fa menzione alcuna di debiti di guerra: una mossa geniale per neutralizzare l’articolo 5 di Londra. E questo è stato il terzo, formidabile “taglio” ottenuto dai tedeschi nel Ventesimo secolo per rilanciare l’economia».
Dunque i tedeschi soffrono di qualche amnesia?
«In Germania c’è una sistematica rimozione della propria storia economica. Certo, dal dopoguerra ad oggi i tedeschi e il “made in Germany” hanno realizzato enormi affari commerciali con i loro partner europei, ma se si dovesse riaprire il capitolo debiti di guerra, l’economia tedesca collasserebbe all’istante».
È possibile quantificare i debiti che Berlino si troverebbe a fronteggiare se tutti gli europei reclamassero riparazioni?
«Solo per far fronte aicrediti di guerra nei Paesi occupati come la Francia e il Benelux la Germania dovrebbe versare dai 700 ai 1.400 miliardi di euro».
Per la Grecia a quanto ammontano?
«La stima oscilla tra gli 11 e i 13 miliardi, una goccia nel mare del debito greco. Ma anche se si decidesse a versarne una parte ad Atene, Berlino non ammetterà mai che sta pagando riparazioni di guerra perché ciò comporterebbe la bancarotta della Germania».
Il suo consiglio alla cancelliera Merkel è quindi di mostrarsi più generosa e tollerante verso Atene?
«Consiglio alla Merkel di fare il possibile perché la Grecia non esca dall’euro. E di riuscire a trovare un accordo per ridurre o diluire nel tempo i debiti accumulati dai Paesi del Sud Europa. Nel loro attuale volume questi debiti sono un pericolo di deriva politica fatale per l’intera Ue. E la storia tedesca ha dimostrato nel modo più tragico quanto sia facile, a causa dei debiti, far saltare le fondamenta di uno Statodemocratico».Stefano Vastano,l’espresso









   
 



 
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