Ancora tredici anni dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 la storia del terrorismo è tutt’altro che finita. Secondo i dati del Global Terrorism Database dell’università del Maryland, appena resi noti, nel 2013 c’è stato un numero senza precedenti di attacchi e vittime del terrorismo: 12mila attentati che hanno causato in tutto 22mila perdite. Di nuovo: un numero senza precedenti, e non è un’iperbole. Una cifra così elevata non era mai stata raggiunta, anche tornando indietro di diversi decenni. Che siano le politiche sbagliate dell’occidente o lo sconvolgimento interno di paesi che non riescono a trovare un equilibrio politico, su un punto non ci sono dubbi: qualcosa sta andando nel verso sbagliato. I primi segnali c’erano stati nel 2012, quando attacchi e vittime avevano già raggiunto un livello mai visto prima. Eppure le cose sono riuscite a peggiorare ancora fino ad arrivare al culmine di quest’anno – ammesso che culmine siadavvero. I luoghi dove il terrorismo ha causato più vittime sono familiari: Afghanistan, Pakistan, Siria, Libano, Libia e – soprattutto – Iraq. Tutti nomi che negli ultimi anni si sono sentiti più e più volte nelle cronache e quasi mai associati a buone notizie. Anche questa volta è così. E se proprio si dovesse scegliere un paese che gli attacchi stanno mettendo a ferro e fuoco, quello sarebbe proprio l’Iraq. Già in Siria, fra guerra civile e intervento dello Stato Islamico, la situazione è grave; ma nulla in confronto a quanto sta avvenendo nell’ex dominio di Saddam Hussein dove le vittime, rispetto alla grandezza del paese, sono più del triplo. Un numero difficile anche da mettere in scala. Prendiamo i primi anni 2000 in Italia, al tempo delle nuove Brigate Rosse e dell’omicidio di Marco Biagi: ci vorrebbero 350 volte quegli attentati per arrivare al livello dell’Iraq recente. Nonostante tutto, invece, in occidente la situazione non sembra affatto grave. Negli ultimi anninessuno stato europeo ha avuto un livello elevato di attacchi o vittime – nulla di neppure lontanamente comparabile ai più colpiti. Lo stesso vale per gli Stati Uniti, dove non si arriva neppure a qualche decina in entrambi i casi. Eppure resta, anche a distanza di anni, la memoria delle tremila vittime degli attacchi dell’11 settembre, o quella dei 50 che hanno perso la vita nella metropolitana di Londra il 7 luglio 2005. Non potrebbe essere altrimenti. Quella del terrorismo in Iraq è una storia che comincia proprio con l’invasione americana. È anche una storia che conta, perché da lì prendono le mosse le vicende dell’ISIS, lo Stato Islamico. Prima del 2003 era il pugno di ferro di Saddam Hussein a reprimere le opposizioni, e con ogni mezzo. Più avanti, con la sua caduta, si aprono i depositi: esplosivi e armi invadono il territorio. Ad approfittare dell’instabilità è un gruppo terroristico che opera con il riconoscimento di Osama Bin Laden, chiamato Al Qaida in Iraq e guidatoda Abu Musab al-Zarqawi fino al 2006. Con la morte del suo leader, il gruppo cambia: Al Qaida in Iraq si auto-trasforma da organizzazione terroristica in uno stato vero e proprio. Si forma così lo Stato Islamico dell’Iraq, antesignano dell’ISIS e poi dello Stato Islamico di cui oggi si sente parlare ogni giorno e, in particolare, da quando ne ha preso il comando Abu Bakr al-Baghdadi, che sfrutta la guerra civile in Siria come trampolino di lancio per ottenere fondi e visibilità internazionale. Il resto è cronaca di questi mesi. Davide Mancino,l’espresso L’autore ringrazia Andrea Plebani, ricercatore dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, e Matteo Villa, dell’Università di Milano, per l’assistenza durante il lavoro di ricerca per questo articolo.
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