I grillini pronti a occupare il Parlamento. Prove d’intesa tra Vendola e Grillo Nella situazione di stallo politico in cui siamo impantanati, i partiti cominciano ad annusarsi in vista di alleanze future. Se Pdl e Pd hanno da tempo intavolato trattative più o meno segrete in vista del cosiddetto governissimo, anche tra Sinistra Ecologia e Libertà e Movimento 5 stelle il dialogo è sempre più serrato anche perché Vendola e si suoi seguaci vedono come fumo negli occhi una possibile intesa con Silvio Berlusconi. La convergenza sul sì alle commissioni parlamentari, a cui il presidente del Senato Grasso ha posto subito l’altolà, si potrebbe allargare sia alla legge elettorale sia ai diritti civili. Sul primo punto, il capogruppo di Sel Gennaro Migliore ha depositato alla Camera la proposta di legge per l’abrogazione del cosiddetto Porcellum. Una modifica che consentirebbe al sistema politico di tornare con una sola votazione delle Camere al modelloprevigente, il Mattarellum. Un ritorno al passato che però ai grillini non dispiace affatto. Sul secondo fronte invece non è un mistero che i due partiti convergano sull’introduzione dei matrimoni tra omosessuali e sul sì a norme stringenti contro l’omofobia e la transfobia. Proprio in queste ore infatti il Movimento 5 Stelle presenterà tre disegni di legge su questi temi. Da Sel, in questi giorni è arrivata la frenata di Gennaro Migliore che ha respinto la nascita di un’intesa politica coi grillini: ’Non c’è un asse tra Sel e M5S sull’avvio del lavoro delle Commissioni. Sel propone di dare operatività al Parlamento istruendo alcuni provvedimenti nelle Commissioni, ma al contrario del Movimento Cinque Stelle pensa che sia urgente avere un governo perché la permanenza di Monti è un problema’’. Con il M5S, ammette, ’’non lavoriamo attraverso canali informali’ ma ’abbiamo avuto più occasioni in cui abbiamo trovato punti di convergenza". Intanto il capogruppo in Senato delMovimento 5 stelle Vito Crimi, conferma che i grillini occuperanno il Parlamento proprio per dare operatività alle commissioni permanenti: “Occupare simbolicamente l’Aula è un invito esteso a tutti i rappresentanti degli altri partiti. Alla prossima conferenza dei capigruppo chiederemo con forza l’avvio delle commissioni permanenti e cercheremo di portare in Aula la discussione sulla costituzione delle commissioni ogni volta che ce ne sarà la possibilità".Daniele Riosa Grillocostretto a incontrare "i suoi": il dissenso è ormai una cosa seria Altro che "Troll". Il dissenso nel M5S è una cosa seria e Beppe Grillo sta tentando di impedire che si trasformi in una frana. Il padrone del movimento abbandona dunque il vezzo autoritario di parlare attraverso il blog e decide di incontrarsi con i "suoi"parlamentari. La riunione potrebbe tenersi a Roma o fuori dalla capitale, forse in Abruzzo. La località è top secret anche per tenere a distanza la stampa. Si era parlato dell’Abruzzo anche perché, domani sera, una delegazione grillina parteciperà alla fiaccolata a L’Aquila per l’anniversario del terremoto del 6 aprile 2009. La tensione si taglia con il coltello, dopo la dura contestazione capeggiata dall’imolese Mara Mucci che avrebbe voluto far partire un dialogo con gli altri partiti, in particolare il Pd. Ipotesi su cui Grillo e gli ’integralisti’ del Movimento sono assolutamente contrari. Almeno 30 parlamentari avevano proposto di esplicitare i nomidi un candidato al Quirinale, e ci sarebbe persino una gruppo di loro pronto a votare un esecutivo non a 5 Stelle. Fra i più agguerriti c’è il deputato Tommaso Currò, molto esplicito nel rifiutare il clima dittatoriale imposto da Grillo e altrettanto deciso a rivendicare il proprio diritto ad un autonomo pensiero. "Non credo che siamo pronti per governare da soli, bisogna avere la forza di riconoscerlo", ha affermato, intervistato dal quotidiano La Stampa. "Col Pd la sensibilità è comune su molti temi. Penso agli immigrati, all’ambiente, ai diritti civili", mentre "purtroppo in questo Paese la destra non ha un respiro europeo". Poi, la stoccata sul tema sensibile della democrazia interna: "Noi parlamentari non siamo automi, e nemmeno bambini. Nessuno ci può svuotare della nostra personalità politica, diversamente diventiamo schiavi di un manovratore", e "se andiamo avanti così questo dubbio si cristallizzerà. Con Grillo e soprattutto con Casaleggio. Io non sono uno schiaccia bottoniper conto terzi". "I nostri elettori - ha aggiunto - non sono diversi dai venti milioni di uomini e donne che hanno votato Pd o Pdl. E se non usi il buonsenso poi finisci per non stringere la mano alla Bindi. Una reazione distruttiva". Currò spiega di "rifiutarsi" di andare a incontrare Grillo. "E’ surreale che 163 persone si muovano per andare incontro a una sola. Venga lui da noi, qui in Parlamento. Saremo felici di confrontarci". Fra ’i dissidenti’ non ci sarebbero solo grillini del Sud, siciliani e campani, e nelle ultime oresi sarebbero aggiunti parlamentari eletti in Emilia Romagna. Nel movimento 5 Stelle non c’è solo l’ala dei frondisti, pronti a dare la fiducia al Pd. Da affrontare durante la riunione, raccontano alcuni parlamentari ’scontenti’, la posizione di coloro che si dicono "stanchi" dei metodi "dittatoriali" di Grillo e del guru Gian Roberto Casaleggio. Dalle riunioni convocate sempre all’ultimo minuto e in luoghi "lontani dalla sede di lavoro", con relative spese acarico di deputati e senatori su cui pesa il taglio degli stipendi fino ai dictat diramati via internet senza tenere conto del parere degli altri esponenti del partito. Un fronte che ha fatto sentire la sua voce e nei 5 Stelle ha chiesto che che l’incontro, voluto fortemente da Grillo, si tenesse a Roma e di venerdì. In poche parole sul luogo di lavoro e durante la settimana parlamentare. Caccia alle streghe nel M5S Il Pd attende l’esito dell’incontro di Grillo con i suoi parlamentari per capire se il ’caso Curro’’ possa creare delle crepe nel movimento. Grillo e Casaleggio, riferiscono fonti parlamentari di M5S, stanno passando al vaglio le storie politiche di tutti gli eletti, per verificare se ci siano sul serio degli ’infiltrati’, se c’e’ qualcuno che sia stato legato a Sel o addirittura al Pd. "Una sorta di database", spiega un grillino che non nasconde come il M5S sia spaccato al proprio interno. Chela fronda stia prendendo consistenza è noto anche ai vertici del Movimento. Tanto che è già partita la conta interna: sarebbero nove i parlamentari a rischio, pronti a votare la fiducia e a traslocare al gruppo misto. Più ampia la fascia dei generici insoddisfatti dall’intransigenza, quota che oscilla tra i 30 e i 40 parlamentari, su 163. I bersaniani non hanno gradito la sortita di Matteo Renzi, la giudicano come un tentativo di sbarrare la strada per palazzo Chigi al segretario del Pd. "Bersani teme che io imiti Berlusconi? Vede fantasmi", risponde il sindaco di Firenze dai microfoni del tg1. Ma tra i fedelissimi del ’rottomatore’ c’e’ la convinzione che Bersani punti ad eleggere un Capo dello Stato per poi ottenere l’incarico per la presidenza del Consiglio. "Noi vogliamo che Bersani chiarisca la linea, tocca a lui indicare la strada, non a noi. L’importante e’ che ci sia chiarezza, che non ci siano inciuci", sottolinea un renziano. Bersani ha visto Mario Monti e, dicono isuoi, e’ sempre piu’ vicina un’intesa tra i due per un accordo di governo. Il passaggio cruciale resta la nomina del prossimo Capo dello Stato. C’e’ chi nel centrodestra (oggi ci ha riprovato Ignazio La Russa), continua a volere la permanenza di Giorgio Napolitano al Colle, il Pdl ha intenzione - spiegano fonti parlamentari - di indicare nelle prime votazioni proprio il nome dell’attuale presidente nella scheda, ma il presidente della Repubblica ha piu’ volte manifestato la sua indisponibilita’, anche considerando il fatto che il prossimo Capo dello Stato potrebbe essere costretto a sciogliere le Camere. E allora i fari sono puntati sul 18 aprile. Silvio Berlusconi vuole fortemente un nome condiviso per la presidenza della Repubblica. Non per forza Gianni Letta, andrebbero bene anche Franco Marini o Giuliano Amato. Ma il Cavaliere (ai suoi ha spiegato di non aver gradito la proposta di Mara Carfagna di lanciare Emma Bonino, "non e’ la linea del partito") seppure esprima, ancor piu’di prima, sincera ammirazione per Matteo Renzi plaudendo alla sua iniziativa di apertura al Pdl, chiede un confronto serio a Pier Luigi Bersani. E’ un passaggio ineludibile, ha spiegato, Bersani deve pensare agli interessi del Paese altrimenti - questo il ragionamento - meglio il voto, converrebbe anche a lui. Dunque nessun ’abbraccio’ al sindaco di Firenze, individuato come un potenziale ’competitor’ qualora si andasse alle urne a ottobre. Al momento gli ambasciatori di Pd e Pdl sono al lavoro per un incontro tra l’ex premier e Bersani. Ma il colloquio resta in forse. Ci sara’ soltanto se l’accordo verra concluso prima dagli ’sherpa’, dicono dal Pdl, "non ha senso farlo se non c’e’ prima un’intesa". Proprio per questo motivo il faccia a faccia e’ previsto non prima della fine della prossima settimana. Le trattative sono in corso e ci potrebbero essere delle convergenze sul nome del Quirinale (sarebbero decadute le pregiudiziali su alcuni nomi da parte sia di Pd che di Pdl). Restapero’ l’ostacolo, non da poco, di un’intesa sul governo. Via dell’Umilta’ dice no ad ’accordicchi’ o ad uscire dall’Aula. Bersani, dal canto suo, e’ convinto di portare dalla sua parte un numero sufficiente di grillini per riuscire nell’impresa di formare un esecutivo. Il Cavaliere intanto in privato ’bacchetta’ Onida per le sue esternazioni e gioisce, invece, per le dichiarazioni di Ruby. Ora e’ chiaro che c’e’ atto un attacco dei giudici. "Accordo in nome della legalità. C’è una fronda tra i Cinque Stelle" E’ la fronda della legalità. Meglio, una fronda in nome della legalità. Ci stanno lavorando da giorni quindici, venti parlamentari grillini. Raccoglie un malessere trasversale nel M5S, ma coinvolge soprattutto senatori e deputati meridionali - siciliani, campani, marchigiani - con l’obiettivo di spezzare l’inossidabile fronte del no a qualunque governo. Pronti, se la trincea dell’intransigenza dovesse silenziare ogni dissenso, a valutare anche una scissionecon il passaggio al gruppo Misto e votare una clamorosa fiducia a un esecutivo con il Pd. L’area del dissenso mantiene un filo diretto con il Pd e Sel, ma si confronta costantemente anche con l’eurodeputata dell’Idv Sonia Alfano, paladina dell’antimafia. Tutto si muove ancora sottotraccia. Uscendo allo scoperto, d’altra parte, i margini di manovra dei grillini inquieti si ridurrebbero ulteriormente. Ma dell’operazione è a conoscenza anche Bersani, che continua a sperare in un "miracolo" a cinquestelle. Molto dipenderà, naturalmente, dal nome che il Pd proporrà per un esecutivo, perché il modello Grasso resta un precedente certamente positivo. Anche Beppe Grillo ha iniziato a fiutare l’aria. E a correre ai ripari, alzando il tiro giorno dopo giorno. L’obiettivo è mantenere altissima la tensione, far cadere una pietra tombale sul dibattito interno e anticipare pericolose fughe in avanti. Per bloccarle, il leader arringherà i parlamentari nel corso di una riunione plenaria che -secondo le ultime indiscrezioni - potrebbe tenersi già Sonia Alfano è considerata interlocutore credibile da parecchi esponenti del movimento. Agisce su un binario parallelo rispetto al Pd, che anzi guarda incuriosito al suo contributo. Lei, interpellata, si limita a spiegare: "Serve un governo. Senza il Pdl. Occorre aprire il confronto con il M5S. Devono fare le loro proposte e sono certa che il Pd non potrà sottrarsi". Non fa numeri, mantiene il riserbo dell’ambasciatrice. Ma svela un dettaglio che sembra rivelatore: "Serve un esecutivo per dare risposte. Non solo sull’economia e sulle riforme, ma anche sulla legalità e l’antimafia. C’è il rischio che Di Matteo (il pm minacciato di morte, ndr) sia l’ennesimo Falcone o Bersellino". La pattuglia grillina, intanto, attende inquieta i prossimi, decisivi passaggi parlamentari. Si riunisce, litiga, vota per decidere le sfumature di dialogo da (non) concedere al Pd. Ma la tensione fatica a restare nei binari. Due giorni fa la deputataMara Mucci ha versato lacrime (lei però nega) mentre si decideva di non proporre una rosa di nomi per un premier grillino. Quella rosa che i frondisti continuano a sollecitare. E ieri, in Transatlantico, un intenso faccia a faccia con la collega Giulia Sarti segnalava un crescente disagio. Grillo continua a stroncare ogni vagito di dialogo. Lo ha fatto ancora ieri, chiudendo con un gelido post sul blog a un confronto con i saggi del Quirinale. In molti, dietro anonimato, manifestano imbarazzo per l’assenza di piani B: "Se si torna alle urne, cosa posso raccontare ai miei elettori? Che ho saputo solo dire di no?". Intanto, per uscire dall’angolo, il movimento valuta un Aventino al contrario per reclamare l’insediamento delle commissione: potrebbero occupare l’Aula nelle due ore successive a ogni seduta. TommasoCiriaco,repubblica "Volete il governo col Pd? Avete sbagliato a votarci" La tensione sale; le pressioni crescono. Al punto che qualche grillino deve vedersela con le contestazioni in piazza (è accaduto davanti Montecitorio) di chi chiede al Movimento Cinque Stelle di fare un accordo col Pd. Il movimento è in subbuglio, qualcuno parla addirittura di due linee. Di sicuro la situazione è in evoluzione, se è vero che la deputata Mara Mucci sottolinea che la linea è del "no" a collaborare in qualsiasi forma «nonè un no in assoluto. In futuro ci saranno probabilmente nuove consultazioni e non possiamo escludere che vengano prese di volta in volta decisioni diverse» e lei stessa si dice convinta «che sia giunto il momento di fare un passo concreto verso una reale proposta di governo attraverso una serie di personalità a noi gradite. Linea coerente con l’attesa dei nostri elettori che ritengono giusto influenzare le scelte della politica». Tentennamenti, dubbi e crisi di coscienza per stoppare le quali ancora una volta scende in campo Grillo in persona. E si rivolge direttamente agli otto milioni di elettori a cinque stelle: «Perché hai votato il M5S? Per spartire poltrone e posti di comando a partire dalle presidenze di Camera e Senato? Per autorizzare l’esproprio del Parlamento che, dopo un mese, non ha ancora nominato le commissioni? Per fare la Tav, la Gronda e gli inceneritori di Bersani? Per legittimare una classe dirigente che ha fatto fallire il Paese? Per seppellire MPS sotto iltappeto pdimenoellinno, il più grosso scandalo finanziario della Repubblica? Per delegare qualcuno al tuo posto e stare alla finestra e vedere l’effetto che fa? Per mantenere i finanziamenti elettorali ai partiti? Per erogare i contributi diretti e indiretti ai giornali di propaganda che infettano il Paese? Per mantenere il segreto su chi ha usufruito dello Scudo Fiscale? Per non fare nessuna legge anti corruzione? Per non fare nessuna legge contro il conflitto di interessi? Per partecipare a riunioni extra parlamentari di 10 saggi che sono parte del problema? Per non mandarli tutti a casa? Per mantenere una televisione pubblica indecente e mantenuta dalle tasse degli italiani, controllata dai partiti e in perdita di 250 milioni di euro? Per permettere l’ingresso nel Tribunale della Repubblica di Milano dei parlamentari del Pdl a difesa di Berlusconi, un atto inaudito non sanzionato dalle Istituzioni? Per vedere ogni giorno le solite facce degli esponenti dei partiti che hanno rovinatoil Paese? Se hai votato per il M5S anche soltanto per uno di questi punti, allora hai sbagliato voto. Mi dispiace. La prossima volta vota per un partito». Governo, M5S: “Da noi nessun nome”. Bersani: “Se serve mi faccio da parte” Nessuna rosa di nomi da proporre per un eventuale governo. I parlamentari del Movimento Cinque Stelle, riuniti a Montecitorio, hanno deciso che non forniranno liste di personalità per un eventuale esecutivo “a cinque stelle”. Una linea decisa a maggioranza durante un’assemblea plenaria che avrebbe avuto anche toni accesi. Non sono mancate, infatti, opinioni divergenti. Il clima è apparso teso al punto che, raccontano le agenzie di stampa, una giovane deputata bolognese è uscita dalla sala in lacrime. In questo modo si allontana anche l’ipotesi di un governo formato da personalità che il Movimento sentirebbe più vicino alle proprie posizioni e che sarebbe sostenuto senza dubbio dall’intero centrosinistra. Nei giorni scorsi,d’altronde, si erano fatti i nomi di Zagrebelsky, Rodotà, Settis e Onida (poi peraltro nominato tra i “saggi” del Quirinale). D’altronde la decisione dei parlamentari Cinque Stelle è arrivata dopo che Beppe Grillo ha ribadito la posizione di sempre: ”Il M5S non accorderà nessuna fiducia, o pseudo fiducia, a un governo politico o pseudo tecnico (in sostanza di foglie di fico votate dai partiti). Bersani non è meglio di Monti, è semplicemente uguale a Monti, di cui ha sostenuto la politica da motofalciatrice dell’economia”. Dal blog del leader del Movimento, dunque, si è richiuso così il pertugio aperto dopo le dichiarazioni di Vito Crimi. Il capogruppo al Senato dell’M5S aveva criticato la scelta di Giorgio Napolitano per la nomina dei “saggi” (definendoli “un finto governo a tutti gli effetti”) aggiungendo che “a questo punto, era meglio l’altro scenario che il presidente ci aveva prospettato: Bersani poteva andare avanti, ottenere la fiducia alla Camera, non averla al Senato, marestare in carica per gli affari ordinari”. Poi però la “correzione” in corsa di Grillo. Bersani: “Dai 5 Stelle un disimpegno conclamato, congelati 8 milioni di voti” Ancora una volta era stato Pier Luigi Bersani a ribadire la necessità di una “corresponsabilità”, confermando il no al governissimo. Dal leader del centrosinistra è arrivato anche qualche colpo basso al Movimento Cinque Stelle, protagonista – secondo il segretario del Pd – di un “disimpegno conclamato”, attraverso il quale “si tengono nel congelatore 8 milioni di voti”. In realtà Bersani è sembrato trasmettere ancora messaggi ai Cinque Stelle: al Paese serve un governo, certo, ma non servirebbe un esecutivo che non fosse “di cambiamento”. Tuttavia a fronte della linea scelta dal Pd (“Siamo il primo partito e dobbiamo avanzare una proposta utile al Paese”) ”ci siamo trovati di fronti al disimpegno conclamato del M5S”, una forza politica “scelta da 8 milioni di elettori che intende mettere nel frigo. Non c’èinsulto o acrobazia che cancelli questa drammatica verità”. Il segretario democratico riserva ai Cinque Stelle un’altra critica: “Il Movimento mi pare siamo qui a interpretarlo tra dichiarazioni e smentite”, ma resta il fatto che “chi ha avuto il 25% dei parlamentari ha voluto partecipare alla vita parlamentare e non renderla effettiva perché per partire ci deve essere il governo” che loro impediscono. ”Le commissioni che servono per sostenere interventi urgenti e per l’ordinaria amministrazione sono un conto e noi ci siamo” – chiarisce – ma l’idea di far partire tutte le commissioni senza un governo “mi pare un’idea che allude a una prospettiva utopica: qui ci vuole un governo!”. In ogni caso la soluzione non è il ritorno anticipato alle urne: “Io la considero un’ipotesi disastrosa, così come gran parte del Parlamento – afferma il segretario democratico – Purtroppo l’incrocio con il semestre bianco è stato un’ulteriore difficoltà perché può lasciare spazio a tatticismi”. Bersanidice di essere pronto a un passo di lato: se “serve per questa strada”, bene; altrimenti “se Bersani fosse un ostacolo, è a disposizione perché prima di tutto c’è l’Italia”. La posizione è la stessa delle ultime settimane: ma non è ostinazione, spiega il capo del centrosinistra, è solo perché c’è un’idea per una possibile soluzione per il Paese. ”C’è profonda preoccupazione per la situazione reale del Paese – aggiunge il segretario democratico – C’è un’esigenza evidente di cambiamento, il Paese chiede una guida, ma manca di fiducia ed è con questa profonda convinzione che ci siamo messi all’opera per cercare una risposta”. Certo è che il Pd dice ancora no a un governissimo. “Sarebbe un governo immobile – ribadisce Bersani – la politica in una zattera sempre più piccola in un mare molto agitato. Con Berlusconi abbiamo già un’esperienza alle spalle, il governo Monti e abbiamo già visto l’impasse”. Spetta, secondo il segretario Pd, a chi ha la maggioranza “il ruolo di fare in modo chein Parlamento si avvii un governo per avviare la legislatura e affrontare le cose essenziali da fare sul fronte sociale”. Un incontro con Berlusconi per una convergenza sul nome del presidente della Repubblica? “Certo, non ad Arcore o a Palazzo Grazioli, ma certo che sono pronto a incontrare Berlusconi”. Le parole di Bersani attirano le critiche del segretario del Pdl, Angelino Alfano che come l’intero partito continua a vedere due sole strade: o grande coalizione o voto. “Se questo stallo prosegue – dice Alfano – perché il Pd pensa più alla fazione che alla Nazione, c’è solo la strada delle urne già a giugno prossimo. Nel nostro ordinamento costituzionale, il Parlamento ha il dovere di esprimere una maggioranza e un Governo. Se non lo fa, la parola deve tornare agli elettori. Non ci sono altre vie”. ”Ho ascoltato l’onorevole Pierluigi Bersani con doverosa attenzione e anche con la viva speranza” – prosegue Alfano – e “invece, devo dire con grande rammarico, ho ascoltato oggi lestesse parole ostinate, chiuse, fuori dalla realtà dei numeri del Parlamento, che l’onorevole Bersani ripete da 36 giorni”. Insomma, se lo stallo continua si voterà di nuovo a giugno, secondo l’ex ministro della Giustizia. “Ho ascoltato oggi le stesse parole ostinate, chiuse, fuori dalla realtà dei numeri del Parlamento, che l’onorevole Bersani ripete da 36 giorni – chiarisce Alfano – cioè dalla chiusura delle urne, tempo che la sinistra ha usato solo per occupare le Presidenze delle Camere (come ora spera di fare anche per la Presidenza della Repubblica), per impedire ogni dialogo nella direzione della governabilità, e per proporre inutili commissioni per riforme che il Pd ha sempre osteggiato. Per parte mia, ancora una volta, ribadisco una disponibilità a collaborare nell’interesse dell’Italia. Ma se Bersani vuole occupare tutte le istituzioni, non c’è alcuno spazio per il dialogo”. Per fare un’analisi della situazione politica, peraltro, i vertici del Pdl si sono riuniti adArcore. Presenti, oltre a Silvio Berlusconi, anche il segretario Angelino Alfano, i capigruppo e i coordinatori del partito. Al centrodestra la scelta fatta da Napolitano con le commissioni di “saggi” continua a non piacere perché sembra solo una perdita di tempo, d’altronde. “A Roma – dichiara Roberto Maroni – sono impegnati in bizantinismi, ci sono queste trattative estenuanti per formare una maggioranza che non c’è”. I 10 saggi al lavoro: “Hanno tempo 8-10 giorni” Dopo le critiche e la difesa di Napolitano, i 10 “saggi” hanno intanto cominciato il proprio lavoro, tra le polemiche. “Per essere utili, il tempo giusto è tra otto e dieci giorni”, precisa in una nota il Colle. Con lo scopo di facilitare la formazione di un nuovo governo, come ha chiesto loro il presidente della Repubblica, nel tentativo di guadagnare tempo in attesa dell’elezione del suo successore. Ma i gruppi di lavoro non ”indicheranno un tipo o un altro di soluzioni di governo. Indicheranno quali sono,rimettendo un po’ al centro dell’attenzione problemi seri, urgenti e di fondo del paese, le questioni da affrontare”, si legge nella nota. Napolitano torna anche sulle critiche piovute da più parti sui nomi dei 10 saggi: “Sabato ho proceduto in condizioni di particolare urgenza e difficoltà” alla scelta di persone che “potessero dare il contributo richiesto. L’indubbio valore dei nomi da me subito resi noti, non mi ha messo al riparo da equivoci e dubbi circa i criteri della scelta o la non presenza di altri nomi certamente validi”. “E’ del tutto ovvio che qui non si crea nulla che possa interferire né nell’attività del Parlamento, anche in questa fase in cui lavora nei limiti noti, né nelle decisioni che spettano alle forze politiche” puntualizza Napolitano. “Io mi sono trovato in una condizione di impossibilità – spiega – a proseguire nella ricerca di una soluzione alla crisi di governo, data la rigidità delle posizioni delle principali forze politiche. E ho detto chiaramente cheattraverso questi gruppi si può concorrere almeno a creare condizioni più favorevoli allo scopo di sbloccare una situazione politica irrigidita in posizioni inconciliabili”. E si scusa per l’assenza di donne nei gruppi di lavoro. “Mi dispiace e me ne scuso, pur trattandosi – precisa – di organismi non formalizzati e di breve durata cui ho dato vita con obbligata estrema rapidità. Per nomine più sostanziali e di lungo periodo, come quelle che mi è spettato fare per la Corte Costituzionale e per il Cnel, ho dato il giusto peso alla componente femminile. E ai gruppi di lavoro ora istituiti saranno certamente ben presenti gli apporti venuti su molteplici temi da personalità femminili”. Intanto sono iniziate al Quirinale le riunioni dei due gruppi, all’indomani di un’altra nota del capo dello Stato che già aveva parlato di un incarico a tempo limitato. E che oggi era tornato sull’argomento in un colloquio con il Corriere della Sera in cui, tra l’altro, rispondeva a chi lo ha accusatodi non avere selezionato nessuna donna tra le dieci personalità. I partiti al bivio e la paralisi del M5S Nunc dimittis servum tuum: comincia così il cantico di Simeone, l’ebreo giusto, appena vede Gesù presentato al Tempio. La prima parola chedice, rivolgendosi a Dio, è dimissione. Antiche consuetudini si sfanno, l’attesa messianica finisce perché il messia è lì, lo sta tenendo fra le braccia. Si entra in un’altra orbita, un cammino affatto diverso inizia all’insegna di quella che Roland Barthes ha chiamato: disoccupazione di spazi, peregrinatio in stabilitate. Oltre il Tevere, proprio questo sta accadendo nella Chiesa. Scossa dalla corruzione, orfana di luce, ridotta a lobby, la Chiesa tasta come cieca le vie e scopre che non ce ne sono due ma solo una, perché l’altra s’inabissa: la via è il trono vuoto, perché lo occupi chi sappia far proprio il nunc dimittis, spogliandosi di potere e di mitre maestose. Un unico filo lega le dimissioni di Benedetto XVI il 10 febbraio e la nomina, il 13 marzo, di Papa Francesco: un mese, tutto all’insegna della "disoccupazione di spazi". È significativo che il nuovo Pontefice disdegni gli ori di cattedrali e paramenti. Il papato girava a vuoto, e il ricominciamento è possibile acondizione di mettere in questione se stessi, radicalmente. "Quaestio mihi factus sum", diceva Agostino: io stesso son divenuto per me problema, peso. Memore della semplicità oltre che della povertà di San Francesco, il Papa parla ai cristiani con parole inattese, non di padre pontificante ma di servo: "Pregate voi per me". Non si sa quali effetti sortirà questo mese di ostentato trono vuoto; si può solo intuire che per sopravvivere, la Chiesa doveva passare di qui. È strano come certe parole in certi momenti colorino ogni pensiero, ogni dire. In queste ore sono come un metro, che permette di misurare la cecità della politica, delle sue istituzioni: in Italia e anche in Europa. La stasi di ambedue cos’altro è, se non incapacità di distinguere il bivio che hanno di fronte, e attaccamento alle inerti abitudini descritte da Beckett: "L’abitudine è un patto sottoscritto dall’individuo col suo ambiente. È la garanzia di una tacita inviolabilità, il parafulmine della sua esistenza.L’abitudine è il ceppo che incatena il cane al suo vomito". Si chiama anche routine: letteralmente vuol dire piccola via, ripetutamente percorsa quando non si osa la grande. Imboccare viuzze significa non rinunciare al potere, starsene immobili, non tollerare l’incursione di sfide o giudizi: tenerselo stretto, il potere, come il Presidente del Senato che ritiene inammissibili le critiche d’un solo giornalista. In Germania Est si racconta che tale fu l’ordine che le autorità sovietiche diedero ai governanti comunisti, quando cadde il muro di Berlino: "Rientrate in voi stessi, fatevi di ghiaccio". L’Italia fa questo, da anni: ha congelato Mani Pulite, e ogni chiarimento, correzione, pur d’evitare la trasformazione di sé. Anche il movimento Cinque Stelle, che pure ha vinto chiedendo una mutazione della società e dei partiti, è preda di una sorta di paralisi. Ilvo Diamanti ha spiegato, lunedì su Repubblica, l’impasse di una convivenza tra anime contrarie, innovative e conservatrici.L’uscita dal sistema prevale su ogni miglioramento concreto, ottenibile subito, svigorendo la forza stessa che fece nascere, attorno al bene pubblico, il movimento. È il rischio del M5S: occupare un trono-postazione, in attesa dei tempi in cui il Messia verrà col suo Regno. Non lo sfiora il sospetto che il Regno sia già qui, che l’attesa sia un escamotage. Che le vie non siano due ma una: rinunciare all’isolamento splendido del trono, aprire un varco, proporre a chiare lettere il nome di un suo papa Francesco. Altrimenti ti chiamerai movimento ma vecchio partito rimarrai: con le sue abitudini da recinto, con la sua sconnessione dalla cittadinanza attiva che ti ha fatto re. Quel che urge non è la prorogatio dell’esistente - una delle tentazioni di Cinque Stelle - ma la declaratio con cui Benedetto XVI ha innovato, spogliandosi del proprio scanno: le forze che ho "non sono adatte a esercitare in modo adeguato il ministero". Alcuni hanno detto: "è la fine". Era un inizio invece, erarinuncia a parte di sé per far spazio al nuovo. Così per i politici: sono a un bivio, e chi serve i propri ideali diminuisce un po’ se stesso, coglie il momento se si presenta. Apprende la destrezza astuta che prolunga il carisma: fin da subito mostra che entrare in un’altra orbita politica è possibile. E se non a Dio, chiede alla coscienza: "Dimettimi, esiliami dall’istinto abitudinario che mi abita". Secondo l’economista Albert Hirschmann, è così che le istituzioni si riformano: mescolando l’energia ultimativa dell’uscita, dell’exit, al lievito della parola (voice), che sbalestra la politica da dentro. Proprio di quest’amalgama hanno bisogno gli italiani per superare la stasi, e l’Europa per vincere una crisi che rivela la propria cecità, compresa la cecità alla democrazia. Anche nell’Unione si tratta di indicare il trono vuoto, i sovrani finalmente politici e i parlamentari forti che devono riempirlo. Da quando l’Euro trema, l’Unione s’aggrappa alla viuzza di cure che lasquilibrano, l’avvelenano. Sbagliamo bersaglio accusando i mercati-padroni: sono i politici a non essere padroni di sé. A non vedere che loro sono la quaestio, il problema e l’onere. Non è l’Euro traballante che viviamo ma un più vasto sisma. I politici l’occultano, passano il tempo disputando su dilemmi esistenziali: esiste l’Unione? siamo contro? per? In tempi prosperi la domanda serviva, ma oggi lo spettro che s’aggira e impaura è la crisi, non l’antieuropeismo che la crisi secerne. Oggi la disputa che conta, e però è elusa, deve concernere il da fare, le alternative da tentare, perché l’Unione funzioni e ritrovi l’idea originaria di una comunità di cittadini padrona di sé. Come l’Italia del dopo-voto, l’Europa è prigioniera di quella che gli inglesi chiamano politics (il gioco fra partiti, poteri) ed è impreparata alla policy, alla scelta fra molte opzioni di una linea: in economia, nella ridefinizione della statualità, anche in politica estera. Il caso dei marò è statorivelatore. Un governo d’Europa ha mostrato di non sapere cosa sia l’India, oggi: con i suoi tribunali, con una democrazia più che sessantenne. Ha reagito come la vecchia Europa colonialista, giocando a birilli con Nuova Delhi come Chamberlain quando disse dei cecoslovacchi invasi da Hitler: "È una nazione lontana di cui non sappiamo nulla". Così enorme è la svista, che l’esercito si ribella al timone politico. È bene che il ministro Terzi si sia dimesso. Lo stesso dovrebbe fare il capo di stato maggiore della Difesa, Luigi Binelli Mantelli: con inaudita prevaricazione, forte probabilmente dell’appoggio di Terzi, ha preteso sabato che "la farsa si concluda quanto prima, e i nostri fucilieri, funzionari in servizio di Stato, siano al più presto riconsegnati alla giurisdizione italiana". Nessun accenno al fatto che i marò sono pur sempre accusati d’aver ucciso due marinai indiani scambiati per pirati, e che all’India fu promesso di non tenerli in Italia. È uno dei tanti casi diinsipienza dei sovrani europei. L’Unione sta nel mondo con una propria moneta, ma solo con questa. Ha ricette economiche distruttive, e fuori casa oscilla tra annosi riflessi coloniali, dipendenza dagli Usa, fedeltà a una Nato che fa e prolunga guerre che gli Europei non decidono né discutono. Nel Mediterraneo, il nostro mare, non siamo udibili. Di altro si dibatte: Sei in Europa, o fuori? Mai vi fu, se non alla fine dell’impero romano, routine mentale più sterile. Da questa paralisi si esce riconoscendo che il posto di comando è vacante, tutto sta a pronunciare il dimittis che prepara il nuovo. Non sarà facile, ma chi ha detto che debba esser facile edificare nuovi ordini politici, o spirituali. Chi ha detto che la soluzione sia quella impartita dai sovietici: chiudersi e farsi ghiaccio, per poi ricominciare come se nulla fosse le abitudini di ieri. Barbara Spinelli, da Repubblica M5S diventi protagonista! Secondo la logica della democrazia parlamentare, oratocca al M5S. La coalizione che ha ottenuto più parlamentari ha potuto svolgere il suo tentativo, analogo tentativo spetta ora al partito che per la Camera, singolarmente preso, ha ricevuto più voti dopo il Pd. Il M5S, appunto. Che ha già avanzato una sua proposta per il governo, ma monca. Ha infatti indicato la “formula” (un governo senza ministri di partito) e il programma (i venti punti) ma non ancora il nome di chi tale governo dovrebbe guidare. Senza quel nome la proposta resta virtuale, addirittura impalpabile, poiché è il presidente del Consiglio che indica i ministri, e le personalità non di partito possono essere le più diverse per orientamento ideale, qualità professionale, credibilità morale. Ed è sempre il premier che stabilisce intensità e priorità programmatiche anche all’interno di una identica “ricetta”. Beppe Grillo, Gianroberto Casaleggio e gli eletti del M5S quel nome farebbero bene a deciderlo a tambur battente, dando così corpo alla loro proposta di “governo a 5stelle” e mettendo le altre forze politiche (e in primo luogo il Pd) di fronte alla responsabilità di rifiutare una personalità di alto profilo e di adamantina passione per i valori di giustizia e libertà che informano la nostra Costituzione. Anziché aspettare che un altro nome, probabilmente assai diverso e di establishment, venga avanzato da Napolitano, che magari lo ha già in mente. Solo diventando protagonisti, cioè proponendo subito una soluzione alla crisi, Grillo renderebbe stringente la sua proposta (sacrosanta) che intanto il Parlamento lavori, e realizzi le misure (altrettanto sacrosante) che ancora ieri ha riproposto nel suo blog: “l’ineleggibilità di Berlusconi, l’approvazione di una legge sul conflitto di interessi della cui assenza si gloriò Violante alla Camera, l’abolizione della legge Gasparri, la rinegoziazione delle frequenze nazionali generosamente concesse a Berlusconi da D’Alema nel 1999” (e anche sulla legge elettorale, il M5S inchiodi gli altri con laproposta del doppio turno, come per i sindaci). Altrimenti anche questo apparirà a un numero crescente di cittadini come un escamotage con cui il M5S si limita a guardare, anziché agire, in una deprimente passività (che la propensione al turpiloquio non riscatta, anzi sottolinea) e autoreferenzialità che è l’opposto di quello “tsunami” costruttivo che quasi nove milioni di italiani gli hanno affidato come mandato. Mantengano le promesse, siano protagonisti, propongano un nome. La loro credibilità nel paese farà un balzo in avanti. Oppure... Paolo Flores d’Arcais, da Il Fattoquotidiano M5S. Passo dopo passo si arriva alla meta Per far riprendere il Paese occorre ridare ossigeno a chi produce lavoro. Anche Grillo è di questa opinione. “Oggi le PMI sono senza armi. Il baratro dove stanno sprofondando lo hanno creato i partiti, quelli che ora si stracciano le vesti. La ricostruzione delle PMI deve iniziare subito per evitare il fallimento del Paese”. Sono mesi che si chiede diintervenire, aprendo i rubinetti del credito ma finora si è fatto davvero poco. La crisi è anche dovuta al crollo delle piccole e medie imprese che vengono lasciate senza credito. E nemmeno i suicidi ripetuti di imprenditori e lavoratori riescono a scuotere il pachiderma politico. Se parliamo di responsabilità dei sinistro-centro-destro non possiamo non dire che il primo sbaglio è stato quello di entrare nella moneta unica. Da allora le nostre imprese, i lavoratori e le famiglie italiane sono finite su un crinale pericoloso. E la colpa è di Pd, Pdl, Udc, Sel e dei cosiddetti padri dell’euro, tra cui Ciampi, Prodi, Andreatta e il “compianto” Padoa Schioppa. Da allora solo degrado e disoccupazione. “Un primo passo è l’abolizione dell’IRAP che ammonta a circa 20 miliardi l’anno di tasse sulle imprese, anche se in perdita. Perdono e pagano le tasse sulla perdita, lo Stato si comporta come chi davanti a uno che affoga gli lega un masso al collo”. In effetti iltaglio dell’Irap, la cancellazione dell’Imu e la riapertura del credito alle piccole imprese potrebbe servire a ridare nuova linfa al Paese. Naturalmente ad ogni proposta del genere c’è sempre chi obietta: dove si trovano i soldi? E giustamente Grillo bolla questa osservazione come un modo per non fare nulla. “L’IRAP -così si legge sul suo blog- coincide grosso modo ai maggiori costi della politica in Italia comparati con i maggiori Paesi europei. Sarebbe sufficiente tagliare questi costi per eliminare l’IRAP e dare ossigeno alle imprese. Se si misura la spesa per la politica in funzione della popolazione, l’extra costo italiano rispetto ai Paesi con dimensione equivalente è circa un punto di PIL, pari a 16 miliardi, un terzo del deficit”. Non c’è dubbio che lo spreco di questi anni, soprattutto nella voragine delle Regioni, abbia raggiunto livelli enormi e inaccettabili. Poi se ci mettiamo gli scandali del magna magna che ha coinvolto quasi tutti i partiti, senza distinzione di colorepolitico, è chiaro che la cosa non è più tollerabile. “Dal 1990 -spiega il leader del M5S- vi è stato un raddoppio dei costi della politica di circa 20 miliardi, dovuto in massima parte alle amministrazioni centrali. Alcuni esempi. Il costo del Parlamento italiano è il doppio di quello francese (confrontabile per numero di parlamentari: 920 > 945) e inglese: 1,6 miliardi contro lo 0,9 di Francia e 0,6 di Gran Bretagna”. Ce n’è anche per l’inquilino del Colle. Le spese per il mantenimento della struttura del presidente della Repubblica sono fuori da ogni logica. E per questo Grillo fa delle comparazioni. “Il Quirinale ha un bilancio di previsione per il 2013 di 349 milioni mentre l’Eliseo costa 112 milioni. Il finanziamento pubblico ai partiti vale 100 milioni di euro all’anno, somma rinunciabile con una semplice lettera, come ha fatto il M5S per i 42 milioni che gli erano assegnati. Il taglio delle province farebbe risparmiare 2 miliardi annui”. Insomma i dati parlano da soli.Certo non si tratta di affamare i partiti e le amministrazioni locali, però è indubbio che il problema c’è. Non per niente il Pd non vuole assolutamente rinunciare al finanziamento pubblico, anche perché tutto il partito si regge proprio su questo. Altrimenti le sedi dell’ex Botteghino sono costrette a chiudere e a licenziare i propri dipendenti. “Vi sono poi i risparmi per le auto blu, circa 7.000, e delle 52.000 auto grigie senza autista e con minore cilindrata, con 19.000 addetti complessivi di cui 10.000 autisti per un risparmio di 800 milioni e altri minori”. Questo dunque il pacchetto di proposte del leader del M5S per rilanciare il Paese. Infine Grillo chiude con una massima di Lao Tse. “Un viaggio lungo mille chilometri inizia con un piccolo passo”. E’ proprio vero, passo dopo passo si arriva alla meta. Purché non ci si arrenda alla fatica. michele mendolicchio Dopo lo tsunami: quale ricostruzione ? Il terremoto politico che ha scosso il nostro paese eche ha suscitato l’interesse dei media di tutto il mondo, è legato al successo del M5S che in pochissimo tempo ha costruito una forza politica capace di imporsi sulla scena politica, con quasi un quarto di voti espressi, un quinto se si considera anche chi non ha votato. Ma, l’aspetto più interessante, la vera novità è un’altra. A differenza della Lega Nord, che aveva nel periodo 1992-94 conquistato molti seggi ed era diventata, in alcune regioni del Nord, la prima forza politica, il M5S non vuole solo vincere, ma abbattere il sistema dei partiti, quel sistema che il Msi di Almirante (qualcuno se ne ricorda?) chiamava la “partitocrazia”. Ma, l’analogia si ferma qui, perché i grillini sono convinti che quello che loro vogliono è una “vera democrazia” che nell’era del web non può che essere una democrazia digitale, dove “uno vale uno” e le scelte si fanno da casa con un Pc, oppure con un Ipad, un tablet, o solo con il telefonino da qualunque parte della terra. In questo modo, secondo igrillini, si abbatterebbe l’inutile burocrazia dei partiti, e i cittadini potrebbero esprimersi direttamente sui principali problemi della loro città o dell’intero paese in tempo reale. I rappresentanti nelle istituzioni, che loro definiscono sia come “portavoce” sia come “dipendenti”, avrebbero il compito notarile di sottoscrivere le decisioni prese dalla maggioranza sulla rete e di controllare/vigilare sulla pubblica amministrazione. Al di là della fattibilità di questo progetto, del fatto che almeno venti milioni di italiani non usano ancora la rete, quello che mi fa venire in mente questo movimento è un fenomeno che nella storia abbiamo già visto, naturalmente con altri connotati ed altre motivazioni. Mi riferisco all’abbattimento delle Corporazioni di arti e mestieri che vennero in gran parte eliminate dopo la rivoluzione di Cromwell in Gran Bretagna, e dopo la rivoluzione francese del 1789 in gran parte dell’Europa. Adam Smith ha dedicato una parte rilevante del suo famososaggio Indagine sulla natura e le cause della Ricchezza delle Nazioni proprio a questo obiettivo: dimostrare la necessità di sopprimere le Corporazioni, in quanto schiavizzavano gli apprendisti, impedivano le innovazioni tecnologiche e soprattutto la concorrenza sui prezzi. Solo il “libero mercato”, secondo il padre dell’economia politica e del pensiero liberale, avrebbe portato più ricchezza, una sua migliore ripartizione, una grande mobilità sociale ed il benessere per tutti. Sappiamo come è finita. Dopo la messa fuori gioco delle Corporazioni non è nato il “libero mercato”, ma si sono formati oligopoli e monopoli, varie forme di trust, che hanno assunto più potere di quello che avevano le Corporazioni, e i lavoratori “formalmente liberi” sono stati costretti ad organizzarsi e creare i sindacati per affrontare la lotta impari con gli imprenditori. Non a caso, anche i sindacati dei lavoratori sono stati spesso accusati di essere delle Corporazioni, e nel programma del M5S c’è anche laloro abolizione, in coerenza con l’ideologia del “libero cittadino” che non ha bisogno di rappresentanti perché è capace di curare da solo i suoi interessi. E’ la stessa idea/ideologia cara all’economia marginalista del consumatore “sovrano”, una monade calcolatrice, perfettamente razionale capace di valutare comparativamente i beni/servizi da acquistare in base al rapporto qualità/prezzo. Naturalmente all’interno di un mercato libero, trasparente, dove tutte le informazioni sono disponibili. Questo paragone storico ci serve per dire due cose semplici, ma che riteniamo essenziali. La prima riguarda il fatto che partiti e sindacati si sono staccati dai bisogni della gente, non riescono più a svolgere il ruolo importante che hanno avuto in passato, non solo in Italia, ma nella gran parte delle democrazie parlamentari. La crisi della democrazia rappresentativa non è un’invenzione di Grillo, ma è ben nota e studiata da tempo (basti leggersi l’ultimo saggio di Marco Revelli, Finale diPartito). Anche le Corporazioni di arti e mestieri quando vennero travolte dalla rivoluzione della borghesia erano arrivate alla fine di un ciclo storico, erano ormai diventate un elemento di freno a qualunque cambiamento, perdendo quel grande ruolo che avevano svolto per secoli rendendo grandi, belle, e vivibili le città europee (come ci hanno mostrato i grandi storici dell’economia da Pirenne a Braudel). La seconda questione riguarda la rete, il web come strumento fondamentale di comunicazione. E’indubbio che nella storia umana le innovazioni tecnologiche abbiano giocato un ruolo fondamentale, cambiando non solo gli stili di vita, ma anche modificando il modo con cui si esercita il Potere. Come sappiamo ogni grande innovazione tecnologica può migliorare le condizioni di vita delle popolazioni o può peggiorarle, a seconda di chi le gestisce e per quali fini. Va detto, ma è una cosa più complessa, che le stesse innovazioni tecnologiche sono il frutto di rapporti sociali diproduzione, di rapporti di forza tra le classi, di ricerca del profitto che determina il successo di alcune e l’insabbiamento di altre. In sintesi, la crisi dei partiti ci sembra irreversibile, almeno nel medio periodo, così come ci sembra inarrestabile la corsa verso una web-life. Ma, ci domandiamo: la democrazia digitale, sondaggista, è la risposta? L’esperienza del M5S ha più di qualcosa da insegnarci. Al momento di scegliere chi mandare in Parlamento, il M5S ha indetto le “parlamentarie”, a cui tutti gli iscritti potevano partecipare mandando un curriculum, come si fa con le aziende, e scegliendo tra un ristretto numero di candidati. Risultato: hanno partecipato alle “parlamentarie” qualcosa come 40.000 grillini , 90.000 per qualche altra fonte (Deaglio), ma in ogni caso un numero risibile rispetto ai voti presi. Paradossi della politica nell’era digitale: la colazione Pd-Sel ha portato al voto oltre 3 milioni di persone, ma ha ottenuto quasi gli stessi voti del M5S che ha fattopartecipare alla scelta dei candidati una parte marginale dei mitici “cittadini”. Qualcosa non torna e forse vale la pena cambiare prospettiva. Proviamo, infatti, a guardare la crisi della democrazia rappresentativa da un’altra angolazione, all’interno del processo più generale di mercificazione della politica. Cosa sono diventate le elezioni politiche se non un grande mercato elettorale, dove conta il brand, la faccia del leader, le sue battute, la sua capacità di attrarre i consumatori/elettori come fanno i testimonial delle grandi marche ? Vince chi ha la capacità di innovare, di presentare un nuovo brand , di investire nel marketing, che significa rincorrere i gusti dei consumatori, orientarli, manipolarli. Non è un caso se negli ultimi trent’anni il costo delle elezioni politiche, della macchina elettorale, sia cresciuto iperbolicamente in tutti i paesi occidentali, come dimostra Marco Revelli nel suo ultimo saggio (Finale di partito, Einaudi). E se abbattiamo i costi dellapolitica, come pretendono i grillini, con che cosa si finanzia il marketing elettorale e la politica in generale? La risposta è semplice : con la pubblicità, gli sponsor privati, le imprese multinazionali, la grande finanza, ecc., come avviene negli Usa, con tutte le conseguenze sull’autonomia della politica che conosciamo bene. Eppure, la maggioranza degli italiani vuole questo. Pensa che tagliando i costi della politica si salva il paese dal disastro. Certo, molti costi della classe politica sono insopportabili, ancor più gli scandali e le tangenti, ma ci possiamo fermare qui ? Possiamo accettare che un calciatore guadagni a vent’anni milioni di euro, o un cantante, o un comico, o un finanziere, mentre un operaio o un impiegato, se gli va bene, arriva a stento a fine mese ? Il paradosso del M5S è che esso è, ad un tempo, un fenomeno di rivolta morale ed un pieno adeguamento alla legge del mercato autoregolato, come lo definì Polanyi. La sua strategia, se dovesse risultare vincente(non è scontato) punta ad abbattere il sistema dei partiti e a costruire una new town della politica e delle istituzioni, sul modello ideale del mercato autoregolato, dove solo i più meritevoli risultano alla fine vincenti. Conosciamo bene le new town costruite in Italia dopo le catastrofi – dal Vajont a Gibellina, dai paesi alluvionati della Calabria Ultra ai paesi terremotati dell’Irpinia fino all’Aquila. L’Italia ha una triste storia di new town, progettate da grandi o piccoli architetti, ma tutte senza radici, storia, memoria e perciò invivibili. Città tristi, senza identità, come ce le racconta Monica Musolino in un bel saggio dedicato alle new town post-catastrofe (Mimesis, 2012). Tutto il contrario di quanto è avvenuto in Friuli nella ricostruzione post-terremoto del 1975, dove si è tenuto in gran conto la storia, le radici e le identità di quel popolo, attraverso un processo virtuoso di autonomia e responsabilità che ancora oggi viene studiato. Siamo di fronte noi tutti,l’intero paese, ad una grande catastrofe, nell’accezione di René Thom, che è ad un tempo sociale, culturale, morale, ambientale e politica. Abbiamo quindi il dovere di pensare ad una “ricostruzione post-catastrofe”, ma non possiamo pensare di risolverla solo pensando alla riforma della politica, all’abbattimento dei suoi costi, senza pensare ad un altro modello sociale, alla demercificazione delle relazioni umane, della natura, della stessa moneta ridotta a merce-fittizia, per cui assistiamo increduli ad una massa enorme di denaro che produce denaro, andando contro le leggi di natura, come sosteneva Aristotele. Non di “riforme” abbiamo bisogno, la parola stessa fa paura ogni volta che viene pronunciata, ma di un progetto radicale di cambiamento verso la “ricostruzione” del nostro sistema economico, sociale e politico. Una ricostruzione che deve tenere conto del passato, delle radici culturali, delle identità, su cui costruire il futuro. ToninoPerna Grillo e la Comune? Non scherziamo... Dopo aver dominato queste elezioni, Beppe Grillo ha subito messo le mani avanti ammettendo di temere una “scilipotizzazione” di qualche suo parlamentare. «L’animo umano non lo cambiamo con il movimento. Ci potranno essere quelli che faranno politica per interessi personali». È sicuramente per questo motivo che soltanto ora vede nell’articolo 67 della Costituzione un pericolo per la democrazia rappresentativa. Lo stesso dicasi del suo livore contro il voto segreto, un ostacolo a quella trasparenza che è stata il punto centrale dell’immaginario grillino. Conosciamo già le sue posizioni sul finanziamentopubblico, ma fatichiamo, a sinistra, a vedere in questi aspetti delle questioni da risolvere per ripartire. Di fronte alla sconfitta da qualche parte si è fatto riferimento ai valori comunardi vedendo in Grillo la vera novità politica che ad essi si ispira. Non scherziamo. Scegliere le forme organizzative le più trasparenti possibili (ma neanche sempre) per mantenere in vita il capitalismo è uno schiaffo a quel che la Comune fu e a quel “tempo delle ciliegie” che torneremo a cantare. Sia consentita una domanda provocatoria prima di proseguire. Un ipotetico mandato a presiedere il Copasir (come da loro richiesto) farà dei grillini dei novelli Trotsky pronti a far conoscere al mondo nuovi trattati di Londra, nuovi accordi Sykes Picot, nuove dichiarazioni Balfour? Anche qui, non scherziamo. Riprendiamo quindi la riflessione partendo dal vincolo di mandato. L’articolo 67 della Costituzione sancisce che «ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senzavincolo di mandato». La critica di Grillo è arretrata, e per un semplice motivo. Esso, così come l’articolo 67 da lui contestato, prescinde dalla divisione della società in classi differenti. Per Grillo c’è un “blocco A” che vuole il rinnovamento e un “blocco B” che vuole la continuità. Tralasciamo per ora il fatto che il blocco B sia composto anche da salariati a suo modo di vedere privilegiati. Aspettiamo pure le prese di posizione del M5S quando questi verranno pesantemente attaccati (leggasi esuberi nel pubblico impiego). E l’articolo 67? In che modo prescinde dalle classi? Se non basta l’interesse nazionale in esso citato si dia uno sguardo all’originale principio di libero mandato formulato dal “cicerone britannico” Edmund Burke nel 1774: «Il parlamento non è un congresso di ambasciatori di opposti e ostili interessi, interessi che ciascuno deve tutelare come agente o avvocato; il parlamento è assemblea deliberante di una nazione, con un solo interesse, quello dell’intero, dovenon dovrebbero essere di guida interessi e pregiudizi locali, ma il bene generale». Insomma, «siamo cittadini, punto e basta!». Vediamo quindi che nel Dna del M5S c’è ben poco di quella Comune di Parigi che fu il primo esperimento classista di democrazia operaia (preferendo tra l’altro l’appellativo “compagno” a quello di “cittadino”). Perché quindi non aprire una riflessione a sinistra e riappropriarci in maniera corretta del vincolo di mandato di matrice comunarda secondo il quale «i membri dell’assemblea municipale, incessantemente controllati, sorvegliati, discussi per le loro opinioni, sono revocabili, responsabili e tenuti a rendere conto»? Facendo un esempio generale, se un parlamentare comunista approva misure in nome dell’interesse nazionale (che, in termini marxisti, è sempre l’interesse della classe che domina una data nazione), sarebbe opportuno che l’organizzazione che lo ha messo in lista lo cacci lasciando il posto a un altro. Prescindendo ora dall’operato deicomunisti nelle scorse legislature (sul quale ci sarebbe molto da dire), questo non può succedere proprio a causa di quell’articolo. Che è inoltre la massima tutela per operazioni trasformiste: quanti parlamentari e consiglieri regionali hanno cambiato casacca, sovente organizzando scissioni, protetti dall’irrevocabilità? Persino Ferrando (che comunque - almeno per chi scrive - non è da porre sullo stesso piano degli artefici delle scissioni di destra subite da Rifondazione negli anni ’90) avrebbe voluto costruire il suo Pcl una volta eletto con il Prc... Riappropriamento simile si può e si deve fare anche per il voto segreto. Non cozza anch’esso con l’obiettivo di avere eletti «responsabili e tenuti a rendere conto»? Viviamo forse nell’epoca dei sovrani assoluti con ristretti margini di libertà tali da legittimare simili garanzie? Suvvia! Se il voto segreto ha senso nelle elezioni popolari in una società capitalista con lo scopo di sottrarre gli sfruttati all’intimidazione deglisfruttatori, che senso ha nelle aule parlamentari dove gli sfruttati hanno tutto il diritto di essere rappresentati alla luce del sole? Non ha quindi senso lasciare alla distorsione grillina anche questo argomento. E neppure l’annosa questione dei soldi. Anche qui la Comune ha avuto il merito di fissare la retribuzione di tutti gli incaricati di un servizio pubblico con uno stipendio non superiore al salario di un operaio qualificato. Sebbene il parlamento italiano non sia l’assemblea municipale della Parigi rivoluzionaria, sarebbe ora che coloro che vogliono cambiare la società non lascino questi principi ad altri. Neppure per scherzo. Mauro Piredda M5S: "Pronti a nostro esecutivo". "Siamo disponibili a un governo 5 Stelle che possa avviare iniziative legislative": così Vito Crimi ha parlato al termine dell’incontro con Napolitano. "Non accordiamo la fiducia - ha aggiunto - a un governo politico o pseudo-tecnico. Abbiamo preso atto che alla conclusione delleconsultazioni del primo mandato esplorativo di Bersani non ci sono le condizioni per una maggioranza politica. Noi abbiamo ribadito quanto già detto nella precedente consultazione. Siamo disponibili a formare un governo a 5 Stelle. Abbiamo rilanciato al presidente Napolitano questa opportunità. Nel momento in cui il presidente Napolitano dovesse dare l’incario al Movimento 5 stelle noi forniremmo nell’arco di pochissimo tempo il nome del presidente e la squadra di governo, il programmo già l’abbiamo". Stamani era circolata la notizia che nel Movimento 5 Stelle si fosse discusso se aprire a un esecutivo guidato da una figura "fuori dai partiti", un esecutivo "pseudo-tecnico". Più tardi, però, Crimi ha smentito che questa ipotesi fosse stata mai presa in esame. E anche Beppe Grillo ha smentito a Sky Tg 24 ha detto di non aver "mai parlato di governo pseudo tecnico". Il leader del Movimento ha avuto questa mattina un colloquio al telefono con Napolitano, e della telefonata ha riferitoanche Crimi durante la riunione. Ma alcuni esponenti del Movimento smentiscono la proposta di nomi e ribadiscono che la linea non cambia: "Non è una questione di società civile, di tecnici o ’psudotecnici’: noi vogliamo un Governo 5 Stelle. Se il presidente Napolitano ci darà la possibilità di crearlo ci riuniremo e anche grazie alla rete sceglieremo i nomi", ha detto Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera del M5S. M5S, la Lombardi nel mirino dei suoi. E c’è chi vuole commissariarla I grillini si attrezzano, alla Camera, sul fronte della comunicazione. Proprio per questo un gruppo di deputati avrebbe incontrato, nei giorni scorsi, Gianroberto Casaleggio. Ma nei giorni scorsi e’ stato deciso anche di scindere, ’per questioni meramente amministrative’, il ruolo di ’capogruppo’, quello previsto dai regolamenti, da quello di ’portavoce’, creato dal Movimento che non riconosce "onorevoli" ma "cittadini". E sara’ allora quella di ’portavoce’ a essere una carica arotazione, come annunciato sin dall’esordio nel Palazzo. Roberta Lombardi sara’, allora, formalmente il capogruppo del Movimento 5 Stelle alla Camera, conferma ai cronisti un deputato 5 Stelle: "E’ stato deciso settimane fa, lo abbiamo anche comunicato in streaming", sottolinea. Quindi, consumato il trimestre fissato inzialmente come data di scadenza, Lombardi conservera’ il ruolo di presidente dei deputati del gruppo M5S mentre il ruolo di ’portavoce’ sara’ ricoperto dall’attuale vice, Riccardo Nuti. La decisione, spiegano i grillini, e’ dovuta al fatto che la rotazione del capogruppo avrebbe comportato troppi problemi amministrativi, a differenza dell’avvicendarsi dei ’portavoce’ che sara’, nelle intenzioni dei grillini, il vero rappresentante del gruppo, quello cui i giornalisti dovrebbero fare riferimento. Ma dietro l’apparente unanimismo c’è chi contesta Roberta Lombardi nel mirino per i modi e le modalità d’azione. Adriano Zaccagnini, per esempio, è arrivato a chiederne ledimissioni, ed altri sono pronti a chiedere una mozione di sfiducia dopo Pasqua. La capogruppo si è sfogata coi suoi: "Questa mattina mi sono svegliata male, leggendo i giornali. Vedo queste critiche e sono stanca, quindi vi chiedo se ancora vi fidate di me oppure no". La domanda, per ora, è stata lasciata cadere anche se c’è un il vicecapogruppo Riccardo Nuti, che dovrebbe prendere il suo posto alla scadenza dei tre mesi previsti, avrebbe chiesto di commissariarla Sicilia, i grillini scivolano sull’auto blu Grilli nei guai in Sicilia per colpa di un’autoblu. L’appuntamento per discutere del Muos, si è infatti trasformato in una polemcia sulla coerenza (mancata?) dei militanti del Cinque Stelle. I quali all’incontro con il console Usa in Italia, Donald Moore, per discutere del sistema satellitare per le telecomunicazioni in corso di realizzazione a Niscemi (Caltanissetta) e contestato da comitati civici che temono per i rischi alla salute delle ondeelettromagnetiche, si sono presentati, appunto, in auto blu. Infatti, il vice presidente dall’Ars Antonio Venturino e il presidente della commissione Ambiente dell’Ars, Giampiero Trizzino, entrambi del M5S, sono arrivati a Sigonella con una vettura scura e lampeggiante, proprio una di quelle che i grillini tanto contestano. Dalle accuse Venturino si difende arrampicandosi sugli specchi: «Ovviamente siamo venuti con l’auto di servizio, chiamiamola auto aziendale dell’Ars - spiega Venturino - qualcuno dirà che era un’auto blu, ma non lo è. Siccome noi siamo venuti da Palermo e dobbiamo fare un altro giro, e siccome io la macchina non ce l’ho e a piedi sarebbe stato complicato, in bicicletta sarebbe stato un po’ difficile anche perché avrete visto lo stato fisico in cui mi trovo». Insomma, l’auto blu va bene solo se la usa un grillino. Peccato che lo stesso Venturino avesse escluso categoricamente l’uso delle auto blu La rete, si sa, non perdona e non è la prima volta che afferra per icapelli i grillini che smentiscono se stessi. Tanto più se uno dice di non avere l’auto e poi in due mesi, tra gennaio e febbraio, si fa dare dalla Regione 1.100 euro di rimborsi benzina (fonte certa: lo dichiara lui stesso sul suo blog). Bisogna stare attenti ai proclami: possono diventare boomerang. Anche Trizzino tenta una difesa (via Facebook): «Sarò onesto: io non ho una macchina e non posso permettermela (ogni tanto uso quella di mia madre, una Micra di 10 anni), Antonio Venturino ha una vecchia Multipla. Avevamo con noi il Console Generale degli Stati Uniti, il suo ufficio diplomatico (4 membri), la Digos, il funzionario della Commissione ambiente. Cosa avremmo dovuto fare? Prendere la corriera? Stiamo lavorando per risolvere i problemi più annosi della Sicilia. Sentirmi accusare che abbiamo preso l’auto di servizio per svolgere un servizio (!) mi sembra - permettimi - un po’ esagerato. Non credi?». Insomma, non lo ammetteranno nemmeno sotto tortura, ma evidentemente qualchevolta i privilegi servono. Quanto al Muos, resta la posizione del console Moore che ribadisce «il rispetto degli accordi presi». «Le antenne - garantisce - non saranno operative se la legge italiana non lo permetterà». «In base a un accordo internazionale», spiega, occorre che «l’autorità italiana certifichi che le emissioni delle antenne sono sotto ai limiti di legge, e noi - osserva - faremo in quel modo». «Sono fiducioso - rileva il console - che il Muos, che è operativo in Hawaii e in Virginia, sarà anche operativo qui» perché è dell’«ultima generazione di comunicazioni» e svolge «un servizio anche per azioni umanitarie». Per Venturino, «l’incontro è stato positivo se si considera che dopo tanti anni che si parla delle antenne Muos di Niscemi finalmente gli americani sono venuti a parlare con noi» e «questa disponibilità lascia ben sperare» visto che «si sono messi assolutamente a disposizione». Il tutto mentre all’arrivo al Municipio di Niscemi, il console è stato fischiato econtestato da circa 300 persone, per la maggior parte mamme No Muos, che gridavano «Via la base da Niscemi» e che alla fine dell’incontro si sono dette «deluse» perché si aspettavano di più. E per questo hanno confermato la protesta proclamata per sabato prossimo. M5S, senatore dalla D’Urso. Gli eletti: “Anche noi abbiamo i nostri Scilipoti” Barbara D’Urso ospita un esponente 5 Stelle a Pomeriggio Cinque. E scoppia un altro caso che potrebbe sfociare in una nuova espulsione dal Movimento, come era successo alla consigliera del Comune di Bologna Federica Salsi. Dopo Matteo De Vita, attivista che, come ha spiegato Grillo, “si arroga il diritto di parlare a nome di un movimento al quale non appartiene se non virtualmente”, è il senatore Marino Mastrangeli che finisce al centro delle polemiche, perché accusato dai colleghi di aver contravvenuto alla regola del codice di comportamento che stabilisce che i parlamentari devono “evitare la partecipazione ai talk showtelevisivi”. Anche perchè pesa ‘l’aggravante’ di aver già una volta deciso in contrasto con il gruppo, quando è stato tra i ‘dissidenti’ che hanno votato per Pietro Grasso alla presidenza del Senato. Il senatore frusinate, che nel fascione di Pomeriggio 5 diventa ‘Mastrangelo’, si fa intervistare da Barbara D’Urso senza il contraddittorio con gli altri ospiti politici della trasmissione. “Da solo”, forse per eludere il veto di Beppe Grillo sui talk show, tradotto in una norma del regolamento degli eletti 5 Stelle. Ma non basta a risparmiargli disapprovazione e possibili grane. Al Senato dell’intervista non se sanno niente: l’ufficio comunicazione e lo stesso Vito Crimi vengono informati a cose fatte. Volano urla. A nulla valgono gli ultimi tentativi di dissuaderlo dal partecipare. I deputati, l’area più dura dei 5 Stelle, si riuniscono alla Camera e guardano in tv la “performance” del senatore. Il giudizio è durissimo: “Lo sapevamo che avremmo avuto anche noi i nostri Scilipoti”,commenta un deputato. Mastrangeli spiega in tv di aver chiesto e ottenuto di essere intervistato da solo, senza altri politici in studio, per non creare l’effetto talk show. Formalmente, dunque, nessuna violazione delle regole, sembra sostenere, mentre esprime parole di elogio per Gianroberto Casaleggio (“Un genio politico”) e parla del taglio degli stipendi dei parlamentari. Poi, alla D’Urso che gli chiede se abbia chiesto un permesso per la sua partecipazione televisiva, risponde: “Non devo mica chiedere il permesso a qualcuno? Siamo tutti cittadini liberi”. Tornerà dunque in trasmissione?, chiede la conduttrice. “Se gentilmente mi invitano, io gentilmente vado”. Alla fine Daniela Santanchè compare in studio e chiede se possa fare una domanda: “No – risponde Mastrangeli – Se vuole ci vediamo in Parlamento”. Ma l’effetto è sgradevole, per i parlamentari 5 Stelle. Che non possono non notare cosa succede nello studio Mediaset quando finisce l’intervista a Mastrangeli. Inizia il talk