Sfigati, bamboccioni e schizzinosi…
 











Chi sa fa, chi non sa insegna, dice un vecchio detto. Ed eccoci da qualche giorno a questa parte, in tutta Italia, a commentare proprio una frase di chi insegna (e che si trova seduta al ministero del Lavoro).
Suvvia perdoniamo loro ché non sanno quello dicono. Generalmente ci si divide in teorici e pratici (tecnici). I primi a teorizzare, i secondi ad attuare. Ma se al governo ci hanno messo i teorici (quelli che insegnano e non conoscono la realtà), perché li han definiti tecnici (capaci di fare)? Già, perché, chi sapendo ben fare (rubare e sprecare), non aveva più niente da fare e voleva precostituirsi un alibi. Giusto per dimostrare una tesi: da sempre siamo solo presi in giro e pure ne godiamo, anzichè ribellarci e buttar giù tutti dal carrozzone. L’apatia e l’accidia generale dei cittadini ti smonta, la collusione e la codardia delle vittime ti scoraggia. E la politica. I borghesi conservatori posso capirli, ma i cosiddetti comunisti, chesi definiscono progressisti, ma che in realtà sono solo restauratori?
“Giovani siete sfigati”! Giovani siete “bamboccioni”! “Giovani non siate schizzinosi”! Poverini non è colpa loro, (anche perché i loro figli schizzinosi non lo sono affatto, non avendone ragione. In un paese dove il 78% dei lavori si trova per «segnalazione» (dato Eurostat), i figli di banchieri, professori universitari, rettori, presidenti di Cda, prefetti, manager pubblici, magistrati, principi del foro, tutti futuri (attuali) ministri, non hanno tempo per essere choosy, «schizzinosi». Anche a chi scrive, in gioventù, i vecchi dicevano: “aspetta, sei giovane, non hai esperienza. Devi farti le ossa”. Bene: oggi, a 50 anni, i giovani dicono: “fai largo, sei vecchio, da rottamare”.
Ergo, la nostra è una generazione a perdere. In attesa di un turno che non arriverà mai.
Così questo pensiero è dedicato a chi, ignavo, non si ribella a cambiar le cose, se non per sé, almeno per i suoi figli. Per non destinare loril destino di esuli per fame o per onor.
«Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale.» Il canto diciassettesimo del Paradiso di Dante Alighieri si svolge nel cielo di Marte, ove risiedono gli spiriti di coloro che combatterono e morirono per la fede; siamo alla sera del 13 aprile 1300, o secondo altri commentatori del 30 marzo 1300.
Giustissimo prendersela con gli scandali della politica. Ma il problema è che l’Italia è divisa in due: chi è privilegiato (per conoscenze, relazioni familiari, corporazioni etc) e chi invece è abbandonato a se stesso. «Io faccio il senatore e so per esperienza che quando le persone si rivolgono a uno di noi è sempre per chiedere un aiuto personale, una promozione, un favore. E’ questa la cultura che alimenta i privilegi e uccide il merito». Dice Ignazio Marino. Ha ragione e lo dico io, Antonio Giangrande, uno che si è laureato a 36 anni, sì, ma come?
A 31 anni avevo ancora la terzamedia. Capita a chi non ha la fortuna di nascere nella famiglia giusta.
A 32 anni mi diplomo ragioniere e perito commerciale presso una scuola pubblica, 5 anni in uno (non gliene frega a nessuno dell’eccezionalità), presentandomi da deriso privatista alla maturità assieme ai giovincelli.
A Milano presso l’Università Statale, lavorando di notte perché padre di due bimbi, affronto tutti gli esami in meno di 2 anni (non gliene frega a nessuno dell’eccezionalità), laureandomi in Giurisprudenza.
Un genio, no, uno sfigato, sì, perché ho fatto sacrifici per nulla: fuori dall’università ti scontri con una cultura socio mafiosa che ti impedisce di lavorare. Pago caro il denunciare il malaffare ed i concorsi truccati di quelle istituzioni che pretendono rispetto, senza meritarlo.
Mio figlio Mirko a 25 anni ha due lauree ed è l’avvocato più giovane d’Italia (non gliene frega a nessuno dell’eccezionalità).
Primina a 5 anni; maturità commerciale pubblica al 4° anno e non al 5°,perché aveva in tutte le materie 10; 2 lauree nei termini; praticantato; abilitazione al primo anno di esame forense.
Un genio, no, uno sfigato, sì, perché ha fatto sacrifici per nulla: fuori dall’università ti scontri con una cultura socio mafiosa che ti impedisce di lavorare. Alla fine si è sfigati comunque, a prescindere se hai talento o dote, se sei predisposto o con intelligenza superiore alla media. Sfigati sempre, perché basta essere italiani nati in famiglie sbagliate.
Schizzinosi no! C’è da far umili lavori. Si va. Padre e figlio accomunati da identico destino. Fa niente che a parità di laurea il popolino appella il titolo di dottore solo a chi va in cravatta (immeritata) e non a chi va con le braghe sporche.
Certo è che nessuno va a chiedere ispezioni ministeriali per vagliare le risultanze dell’esame di abilitazione di avvocato o di notaio o di professore universitario, ovvero di verificare la legalità delle procedure di accesso alla magistratura. Compiti noncorretti? Per le commissioni d’esame: Fa niente, conta il nome e l’accompagno. Il TAR, intanto, da parte sua sforna sentenze antitetiche tra loro su domande aventi lo stesso oggetto: dipende dall’avvocato che le presenta.
L’ho messo nero su bianco quale presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie”, www.controtuttelemafie.it, e scrittore-editore dissidente che proprio sul libro “Concorsopoli”. Libro della collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo” pubblicata su Amazon in E-Book e su Lulu in cartaceo.  Antonio Giangrande









   
 



 
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