Trattativa Stato-mafia. Le oche starnazzano solo quando c’è di mezzo Napolitano
 











Sulla trattativa Stato-mafia emergono sempre fatti nuovi. Nei giorni scorsi Martelli, ex ministro della Giustizia negli anni caldi delle stragi mafiose, ha indicato nell’ex capo dello Stato Scalfaro il dominus della brutta storia. Vero che ogni Stato tratta con i nemici ma è anche vero che quella stagione di sangue con ammazzamenti di uomini in prima linea nella lotta alla mafia andava interpretata diversamente. Uno Stato serio non può scendere a patti con chi si macchia di crimini orrendi. Invece Oscar Luigi Scalfaro, inquilino del Colle proprio nel momento più drammatico di quegli anni, aprì alla trattativa con la complicità di altri esponenti di primo piano della Prima Repubblica. Con il suo insediamento al Quirinale, nel maggio del ’92, il presidente Scalfaro dette il via, come argomentato da Martelli, all’operazione della cosiddetta trattativa. E il ministro della Giustizia Conso ne fu l’esecutore, probabilmente con la complicità di altridemocristiani doc. Non per niente nella recente inchiesta della procura di Palermo c’è stato il rinvio a giudizio per diversi esponenti politici, tra cui l’ex ministro dell’Interno Mancino e uomini di primo piano delle forze dell’ordine incaricati di avviare contatti con l’ex sindaco Ciancimino, uomo d’onore.
L’eliminazione di politici mafiosi dell’area andreottiana che non erano stati ai patti e successivamente le bombe di Capaci e di Via D’Amelia con la morte dei due giudici Falcone e Borsellino, simbolo della lotta alla mafia rappresentarono l’apice dell’assalto delle cosche allo Stato. Nei mesi precedenti le stragi erano già finiti al 41 bis un bel numero di uomini di spicco delle cosche in rottura con il governo Andreotti. Poi con l’uccisione di Falcone ci fu il trasferimento degli d’onore che brindarono alla sua morte. Ma la faccia dura dello Stato durò poco anche a seguito del documento della mafia del luglio del ’92 in cui si chiedeva una detenzione meno pesante per i capi.Poi arrivarono le bombe del ’93 di Roma, Milano e Firenze per spingere lo Stato a concludere la trattativa aperta. Alla fine lo Stato abbassò la guardia cedendo al ricatto delle cosche. Non per niente circa 300 mafiosi furono tolti dal 41 bis e messi ad una detenzione normale. E Conso ministro della Giustizia del primo governo Amato, del giugno del ’92 e dell’esecutivo Ciampi, dell’aprile del ’93, ne fu l’artefice. Naturalmente sotto la regia di Scalfaro, il vero dominus dell’intricata trattativa. Sta di fatto che dopo le bombe nelle tre città d’arte la mafia ha abbandonato la strategia del terrore. Sarebbe ora, a distanza di 20 anni, che sulla trattativa si facesse finalmente chiarezza. Ma difficilmente sarà possibile, anche per le note vicende legate all’intercettazione di Mancino e Napolitano. La sollevazione da parte del capo dello Stato del conflitto di attribuzione dinanzi alla Consulta ha finito per accendere lo scontro con la procura di Palermo. A fianco di Napolitano ci sonotutti i principali partiti che sorreggono il governo Monti. Ovviamente il Pd, partito che ha antichi legami di sangue con l’inquilino del Colle, è il paladino di questa difesa. Addirittura è arrivato ad attaccare proprio quei giudici, a cominciare da Ingroia, tenuti fino a ieri in pianta di mano. Certo il fuoco “amico” nei confronti del Colle è stato inaspettato, mettendo a dura l’antico legame. Non per niente anche Violante, ex magistrato, e uomo simbolo di questa nidiata di toghe rosse non è stato tenero con gli “amici” che hanno saltato il fosso. Ora fin quando si trattativa di intercettare Berlusconi tutto andava bene, anzi si affondava il coltello, ora che tocca a Napolitano allora è lesa maestà. 
Napolitano nel “registro” degli indagati
Il capo dello Stato finisce nel “registro” degli indagati. Naturalmente non in quello di una procura ma del Comitato parlamentare per i procedimenti d’accusa che riguardano il presidente della Repubblica. Sul capo dell’inquilino delColle pende infatti una denuncia dell’avvocato Taromina per attentato alla Costituzione. Casus belli la vicenda delle telefonate incorse tra Mancino e Napolitano per sollecitare un suo intervento nella presunta trattativa Stato-mafia. In pratica si sostiene che nella telefonata tra il Colle e il procuratore della Cassazione sia avvenuta una sorta di invasione di campo, ledendo i diritti di autonomia della magistratura.
“Essendo stati violati non solo precetti costituzionali, ma principi strutturali e portanti della Costituzione Repubblicana -si legge nell’esposto di Taormina- non è dubbia la configurazione del delitto di attentato alla Costituzione da parte del Presidente della Repubblica”. Nella denuncia si fa rifermento anche al ruolo di Loris D’Ambrosio, braccio destro di Napolitano, che mai avrebbe preso l’iniziativa senza il consenso del capo. E la telefonata al procuratore della Cassazione per sollecitare una sua pressione sui pm palermitani affinché Mancino venissesalvaguardato comproverebbe questo illecito. Addirittura sulla morte del braccio destro di Napolitano, l’avvocato lancia gravi accuse. “Forse morto per la vergogna di aver eseguito un ordine illecito, forse il primo della sua vita”. Ora spetterà al tribunale del Parlamento decidere. E’ quasi certo che la denuncia di Taormina finirà nel cestino.michele mendolicchio









   
 



 
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