Non bastando quel che dice Matteo Renzi, a dare un’idea di come sarebbe il Pd se cadesse in mano al rottamatore fiorentino ha provveduto il suo suggeritore-consigliere Giorgio Gori in una memorabile intervista a "Sette-Corriere della sera". L’intervista contiene anche risposte intelligenti, tipo quella sulla totale incompetenza in materia televisiva dei due candidati della società civile spediti dal Pd nel Cda Rai e dei due nominati da Monti alla presidenza e alla direzione generale. E poche altre. Il resto è un misto di banalità e bugie che fanno dubitare del "rinnovamento" sbandierato tanto da Renzi quanto da Gori, che rischiano di somigliare paurosamente ai vecchi leader. E fanno sospettare di volerli rottamare solo per prenderne il posto e poi fare esattamente le stesse cose. BERGAMASCO, CRAXIANO, già a 18 anni, Gori ha diretto una o più reti Mediaset fino al 2001, quando fondò Magnolia producendo programmi rivoluzionari come "Il GrandeFratello", sempre per Mediaset. Ma questo è il meno: il peggio è quel che dice e pensa oggi. Vittorio Zincone domanda: si cita il suo passato a Mediaset per attaccare Renzi. Gori risponde: «Fu D’Alema a definire quell’azienda "un patrimonio del Paese"». Appunto: Mediaset era ed è un patrimonio dei suoi azionisti, soprattutto uno; il Paese non c’entra, a parte quel che ci sono costati vent’anni di favori a Mediaset con decine di leggi ad aziendam. SAREBBE INTERESSANTE SAPERE che ne pensa Gori di quella sciocchezza dalemiana, anche perché D’Alema è in cima alla lista dei rottamandi. Invece l’efebico spin doctor se la cava dicendo «ho lasciato Mediaset nel 2001, ben 11 anni fa, ma sono fiero di averci lavorato». E, dopo aver auspicato «un profondo rinnovamento a partire dal Pd», fa i nomi dei tre suoi preferiti alla guida della Rai: Maurizio Carlotti, Paolo Vasile e Marco Bassetti. Il primo era dirigente di Telecinco (Mediaset), il secondo è il capo di Telecinco (sempre Mediaset), ilterzo è il marito di Stefania Craxi ed è stato l’amministratore delegato di Endemol (ancora Mediaset fino a qualche mese fa). Sicuro di aver lasciato Mediaset 11 anni fa? Sicuro che il problema della Rai sia la penuria di ex dirigenti Mediaset? In realtà Gori non ha ancora fatto i conti con i sette anni trascorsi ai vertici del network berlusconiano (1994-2001) quando Berlusconi era al governo o comunque in Parlamento. Ecco come li racconta a "Sette": Berlusconi nel ’94, oltre a Retequattro e a Italia1, «pensò di schierare anche Canale5, ma incontrò la resistenza mia, di Mentana, di Costanzo sostenuti da Gianni Letta e Fedele Confalonieri. Non ne fu contento. Trascorso quel periodo, e fino al 2001, ho lavorato senza problemi. Lui, il Dottore, non s’è più fatto sentire». EVIDENTEMENTE PERCHE’ era contentissimo: con Montanelli, di cui era molto scontento a causa della sua indipendenza, si fece sentire eccome, e prim’ancora di scendere in campo, nel gennaio ’94, mettendolo alla portadel "Giornale" che aveva fondato. Gori intanto mandava in onda le dichiarazioni di voto di Mike Bongiorno, Vianello, Elia, Zanicchi, i telemanganelli Sgarbi, Liguori e Fede. Nel 1995, alla vigilia dei referendum televisivi per ridurre la pubblicità e il numero delle reti Fininvest, in ossequio alla norma antitrust sancita dalla Corte costituzionale nel novembre ’94, fu ancora il Biscione made in Gori a lanciare la campagna a reti Fininvest unificate per il No, con tutte le star mobilitate. Ci pare ancora di vederli, i tupamaros Costanzo, Letta, Confalonieri e Gori che si battono come un sol uomo in clandestinità nella strenua resistenza contro il vergognoso schierarsi delle reti dirette da Gori, ovviamente a sua insaputa. Ora Renzi dice "basta con l’antiberlusconismo". Forse non sa che, anche se vincesse le primarie del Pd e diventasse il candidato premier del centrosinistra, si ritroverebbe di fronte un centrodestra armato, per la sesta volta in 19 anni, di tre reti Mediaset e dueRai. Già che c’è, Gori potrebbe spiegargli l’effetto che fa. Marco Travaglio
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