Dai traffici agli omicidi Così crescono i "nipotini di Riina"
 











La Repubblica italiana è stata colpita al cuore. Le notizie che arrivano da Brindisi sono confuse e piene di dolore. Immenso dolore. Nonostante ciò bisogna ragionare e prima che arrivino dati oggettivi non si può che fare congetture. Un modo per fronteggiare l’ansia generata da questa tragedia è cercare di capire il territorio, usare la ragione anche là dove non è sufficiente.
Un attentato contro una scuola, contro degli studenti. Inermi, indifesi. Non esiste ferocia paragonabile. E di fronte a questi orrendi atti ogni momento di lucidità vacilla. È davvero criminalità organizzata? È solo criminalità? È eversione? E l’eversione perché colpirebbe in una scuola di Brindisi? Qualcuno parla di un colpo alla scuola. È la Sacra Corona Unita? I dubbi di queste ore sono moltissimi.
La Sacra Corona Unita che da sempre ha rapporti con le organizzazioni balcaniche e quindi può utilizzare tritolo e plastico perché dovrebbe usare una bomba cosìrudimentale? Il pentito Gaetano Costa dichiara addirittura che l’esplosivo per uccidere Paolo Borsellino fu dato a Cosa Nostra dalla Sacra Corona: allora, perché usare bombole del gas? Eppure questo non è sufficiente per escludere la Scu da questo attentato. Anche la ’ndrangheta, che possiede plastico e tritolo, quando si trattò di colpire la Procura Generale nel gennaio 2010 usò un esplosivo collegato a una bombola del gas facendolo esplodere alle 5 di mattina davanti al portone
del tribunale di Reggio Calabria. La ’ndrangheta poteva fare molto di più, poteva far saltare in aria l’intera città, si disse in quelle ore. Ma ci sono alcune scelte precise che vengono affidate magari a livelli bassi, a ’ndrine minori, scelte autorizzate piuttosto che ordinate. E per colpire ci sono diverse declinazioni di attacco.
Da Mesagne a Brindisi e a Lecce in molti scrivono sui social network che con la Sacra ci convivono da decenni. E dicono che l’organizzazione di lì non agirebbe con questemodalità, anche perché quella scuola è frequentata anche da nipoti o figlie di sacristi (cosa a ora non confermata). In molti affermano in piena coscienza che è impossibile che si tratti di mafie, che se la Sacra cerca consensi bruciando bambine si autodistrugge. Altri rispondono che, anche se non fosse stata la Sacra, comunque in quelle terre non c’è foglia che non si muova senza un sì da parte dei criminali di Mesagne. E poi che, quand’anche non fosse opera della Scu, si tratta ugualmente di un comportamento mafioso, una prassi che deriva dalla criminalità.
Eppure è un caso che l’ordigno sia stato messo su un muretto all’entrata della scuola Morvillo Falcone? È un caso che sia esploso proprio di mattina? È un caso che, come ha notato lo scrittore pugliese Mario Desiati, arrivato sul posto, quella scuola sia un posto strategico, proprio vicino al Tribunale, e che proprio quella strada sia stata la via di comunicazione utilizzata per il contrabbando anni fa?
Qualcuno parla dierrore. Un attentato che doveva essere dimostrativo e invece è stato contro le persone. Un timer impostato a un’ora sbagliata. Possibile che sia stato davvero un errore così marchiano? Tutto è ancora da valutare e decidere. E la prudenza si mescola alla rabbia e alla incontenibile voglia di capirci subito qualcosa.
Vale la pena fare la mappa della criminalità in Puglia, in questa precisa fase storica. La Sacra Corona Unita è certamente la più sottovalutata delle organizzazioni, la quarta mafia, velocemente liquidata. Conflitti interni ce ne sono stati molti, al punto che si sono strutturate in modo distinto la Sacra Corona Libera e la Nuova Sacra Corona Unita, di cui parla il pentito Tafuro. Ma in fondo sono solo nuove sigle. Descrivono la stessa organizzazione con prassi diverse (affiliazioni di minori, decisioni prese in modo federale).
Uno dei terreni di scontro è rappresentato dai capitali derivanti dal contrabbando di sigarette. Capitali immensi, colossali e non abbastanzacercati dopo la fine dell’emergenza del contrabbando. Quando è finito il mercato delle "bionde" è finita anche la caccia alle ricchezze che aveva prodotto. O quasi. Quando l’antimafia pugliese inizia a mettere le mani sui capitali illegali accumulati dal contrabbando, iniziano le tensioni nelle terre della Sacra. In più la vecchia guardia sacrista, che ha messo soldi ovunque (supermercati, autofficine, bingo, punti di scommesse, imprese edili, rimessaggi, autotrasporti, ponpe di benzia, imprese di rifiuti), si scontra con la borghesia pugliese nata dal contrabbando. Non vuole riaprire un fronte criminale che invece le nuove leve cercano di attivare. Queste ultime non vogliono vedere la Puglia spartita tra ’ndrangheta nel Leccese e camorra nel Foggiano.
Di terrorismo mafioso non c’era traccia in Puglia nell’ultimo decennio. A ben vedere ci sono episodi, però, assai inquietanti. A San Pietro Vernotico, nel Brindisino, c’era un gruppo chiamato dai media locali "inipotini di Riina" proprio perché usavano una violenza sempre esagerata, ispirata appunto al boss di Corleone. Una strategia frontale, terroristica, quella di Riina, che scalò i vertici di Cosa Nostra unendo l’astuzia a una ferocia senza precedenti e senza limiti. Nel Brindisino gli esponenti di questo gruppo, arrestato due anni fa, hanno assunto le pose della strategia corleonese diventando nel tempo sempre più pericolosi. Arroganti, violenti, senza freni: li descrive così anche Mara Chiarelli in La Sacra Corona Unita (Editori Internazionali Riuniti). Incendi per vendicare gli arresti, rapine continue, estorsioni a tutti i commercianti e ai cantieri, furti d’auto, oltre trenta auto bruciate a scopo d’intimidazione. Tentarono anche di sparare alle finestre della casa di un assessore (piano che poi non fu messo in atto), designando a compiere l’agguato un ragazzo non affiliato.
Usano metodi violenti, simbolici come teste di coniglio mozzate. Due le inviano all’ex sindaco Rollo ilgiorno prima di un vertice sulla legalità. Non hanno paura del carcere, anzi gli vanno incontro. Nell’ordinanza di custodia cautelare del 2009 del gip di Brindisi c’è un dialogo: "se ce ne portano (ci arrestano, ndr) tutti insieme stiamo, che cazzo ce ne fottiamo... la galera serve, ti fa diventare molto più potente... quando stai là dentro capisci tante cose". Si ispirano alla fiction Capo dei Capi, tra loro si chiamano Totò (come Riina) Calogero (come Bagarella), rivedono assieme le puntate e commentano: "Non guardavano in faccia, bum e sparavano" (come scritto nell’ordinanza del gip di Brindisi del maggio 2009). Fanno esplodere un ordigno davanti a una pizzeria e danno fuoco ai negozi che non si piegano al racket.
Con la collaborazione dell’ex boss Ercole Penna si sono comprese le dinamiche della nuova Scu. I suoi ex affiliati lanciarono una bomba a mano davanti alla casa della moglie di Penna per fermarlo. È lui a descrivere il grado di autonomia dei gruppi sacristi, e questopotrebbe essere utile se si crede che la bomba sia di matrice mafiosa. Il pentito nel 2011 dichiara: "L’affiliazione non voglio dire che non esiste più. Voglio dire non è tutto bianco o nero, cioè ci sono casi dove le affiliazioni si fanno... io ho fatto fare affiliazioni a Mesagne e in altri casi affiliazioni non ne ho fatto fare, però erano lo stesso organizzati al gruppo, voglio dire, si muovevano per conto nostro ugualmente, anche senza essere affiliati voglio dire". Quindi c’è un’alta possibilità che esistano gruppi non chiaramente affiliati che circolano nell’ambiente sacrista senza che questi siano direttamente controllati. È sempre Penna a dichiarare: "In passato tutto quello che si faceva o che si doveva fare sul territorio doveva passare dai vertici... Oggi, portando l’esempio di Lucio Annis (boss di San Pietro Vernotico, terra dei nipotini di Riina, ndr), si può fare anche omicidi senza per questo informarmene, posso dire parliamo di capiclan veri e propri sulterritorio...". Ercole Penna parla di "autonomia decisionale sul basso vertice" anche se "la politica che si segue è di noi mesagnesi ciò che fanno riferimento a noi mesagnesi sono affiliati a noi". Annis e i suoi potevano decidere da soli su tutto, dalle estorsioni agli omicidi, con l’unica condizione di pagare gli stipendi ai detenuti. La Sacra ha continuamente necessità di dare un’immagine di sé grandiosa e letale. Come dichiarò in una intervista il pm Cataldo Motta "la loro pericolosità è legata principalmente alla capacità d’immagine ma anche a quella aggregazione di tutti quei piccoli malavitosi rimasti in circolazione. Oggi la Sacra Corona Unita non è in difficoltà, ha subito un cambiamento di pelle...".
I dubbi sono tanti, tantissimi. Le parole delle madri di Beslan in queste ore fanno venire la pelle d’oca. Ci ricordano come un Paese che permette che le proprie scuole non siano al sicuro, che i propri bambini diventino bersagli, è un Paese che si sta smarrendo. Bisognapazientare e capire cosa è accaduto a Brindisi. Per ora c’è solo lo strazio per la  piccola Melissa Bassi e l’apprensione per tutti i feriti. Se dovesse esser confermata  la pista sacrista, questa sarebbe una nuova Capaci.  E a vent’anni di distanza dalla morte  di Falcone una nuova, tragica dimostrazione di come, sulle mafie,  appena  si  abbassa  l’attenzione  tutto  precipita. (...) I talk show e il reporter Mo - Innanzi tutto una questione di metodo. Quando scrissi della Tav, invitavo i pro e i contro a fare un passo indietro rispetto ai torti e alle ragioni. Prima ancora di dividersi, invitavo a riflettere se nell’Italia dove le organizzazioni criminali detengono il monopolio (o quasi) dei subappalti, la Tav non potesse essere una miniera per i cartelli criminali. Una questione di metodo, appunto. Prima di essere pro o contro, ci dovrebbe essere riflessione. Così ora, suggerisco di applicare il metodo a una questione ditutt’altra natura, ai cambiamenti nella grammatica della comunicazione politica.
Prima di appoggiare Grillo, di criticarlo, seguirlo, demonizzarlo, prima ancora di ascoltarlo, ignorarlo, indignarsi o sostenerlo, varrebbe la pena osservare il tipo di comunicazione politica che ha scelto di utilizzare. Tutto è persona e non si presta attenzione al metodo, eppure io non posso fare a meno di notare una cosa: ciò che ha caratterizzato la "presenza" di Beppe Grillo in questi anni è stata la sua pressoché totale assenza. Un’assenza talmente presente da essere sfuggita. Grillo non è andato in televisione, ha concesso poche interviste-fiume, si è sottratto ai salotti tv che la politica utilizza per creare consenso e che propongono una politica per spettatori: il berlusconismo ha dato il colpo di grazia ai talk show politici, sepolti dalle urla dei suoi colonnelli e delle sue pasionarie. Ecco perché ha invitato i candidati del Movimento cinque stelle a non partecipare a quei salotti che liavrebbero costretti ad accettare regole vecchie, che li avrebbero fagocitati in una comunicazione lontana dagli elettori, ad uso e consumo di spettatori. Una politica da divano, da pancia piena dopo pranzo, da fine giornata. Da cervello che si spegne, stanco di una giornata di lavoro, disposto a cercare un nemico più che il dibattito.
Il messaggio che è passato è che per Grillo politica vuol dire partecipazione, presenza, quella vera fatta di urla e persino cadute di stile. Il vero successo del Grillo-metodo lo si intravede nei telegiornali e i talk show politici, costretti ad andare in piazze di paesi mai raccontati, a riprendere un contesto politico ormai inusuale.
Dinanzi a una modificazione profonda del tessuto politico, al sisma economico, i media non riescono a produrre nuove narrazioni in Italia. Questo si avverte maggiormente perché è finita la stagione in cui il talk show poteva contare sugli uomini del governo. Impresentabili, arroganti, ignoranti, la cui presenzagenerava una commistione tra avanspettacolo e politica, una dialettica a metà strada tra denuncia, litigio e messa in scena del ridicolo. Tutto questo era profondamente triste, ma garanzia di ascolto: in una parola era "spettacolo", quello stesso che raramente la politica democratica, con le sue compostezze, rigori e discipline riesce a garantire. E ora che tutto questo sembra finito per noi, per chi resta, è ancor più complesso ricostruire una grammatica della comunicazione in grado di decodificare ciò che sta accadendo e raccontare questa fase di passaggio. La vera rivoluzione, la vera novità sono i social network, le tv on line, le tv digitali, i media basati sullo share parcellizzato e quindi non soggetti alla dittatura dello share. Quindi vincenti.
La nuova narrazione parte da Mo. Mo era il soprannome di Mohammed Nabbous, giornalista libico che aveva fondato la sua televisione on line Libya Al-Hurra, la prima stazione televisiva privata a Bengasi. Mo aveva contribuito ainnescare la scintilla della rivoluzione ed è stato ucciso dalle forze fedeli a Gheddafi soprattutto perché raccontava le contraddizioni del Paese, perché smascherava le menzogne del Rais."Non ho paura di morire, ho paura di perdere la battaglia!", queste le sue prime parole in diretta tv. E in diretta tv è stato ucciso, mentre diceva al mondo intero che la tregua non veniva rispettata. In sottofondo una telecamera fissa, la sua voce, poi spari. Poi silenzio.
La possibilità di comunicare in sé non è garanzia di democrazia. Le notizie sono infinite, immesse senza filtro e di continuo sul Web. L’unica garanzia è fermare questo rullo continuo, isolare un segmento, e condividerlo. Roberto Saviano









   
 



 
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