"Una Rai finalmente libera dai partiti e dal governo di turno». Matteo Renzi l’intenzione l’ha dichiarata più volte. «Al termine dei mille giorni» ha ribadito nell’ultimo discorso alle camere, «ci sarà una riforma della Rai in cui la governance sarà sottratta ai singoli partiti. Lo dico io che sono il capo del partito più grande in Italia e che rivendica con orgoglio di non aver mai incontrato l’Ad dell’azienda pubblica". Su quella riforma ora Renzi sembra voler accelerare. Martedì mattina si riunirà il gruppo di lavoro, con i vertici del partito presenti e i capigruppo Pd di Camera e Senato, che deciderà come e dove incardinare il disegno di legge su cui sta lavorando l’esecutivo. Sul piatto c’è l’idea del canone in bolletta, sì, ma anche una riforma dell’assetto della Rai. Il tempo per l’accelerazione però non è dei più felici. E se è vero che Matteo Renzi non ha mai incontrato l’Ad Luigi Gubitosi, il vertice arriva a ridosso della polemicasull’ultimo voto del cda della Rai che si è messo di traverso rispetto alla decisione del governo di stornare una parte del canone ,150 milioni, nel calderone del decreto Irpef, per gli 80 euro. Con un voto a maggioranza il consiglio ha dato mandato all’Ad Gubitosi di ricorrere contro il decreto, fino alla Corte Costituzionale, per verificare che sia stato lecito che il governo abbia usato diversamente, in corso di esercizio, i proventi di quella che è una tassa di scopo: il canone Rai. La reazione del Pd è stata durissima e in apparente contrasto rispetto alla ricercata «autonomia». Il presidente del partito Matteo Orfini ha detto «non può più funzionare così. Cambiamo la governance subito». Più esplicita è stata la renziana Lorenza Bonaccorsi, responsabile cultura del partito e soprattutto componente della commissione di vigilanza. Bonaccorsi mira ai consiglieri più vicini al centrosinistra, rei di aver votato «contro il governo», e ne chiede le dimissioni. I consiglieri nelmirino sono Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi, nominati nel cda quando segretario del Pd era Pier Luigi Bersani. Sono accusati di aver votato un ordine del giorno che porta la firma di Antonio Verro, consigliere di area berlusconiana. Colombo, intervistato dal Corriere della Sera, si meraviglia: «Mi stupisce il fatto che proprio mentre immaginiamo di cambiare la governance della Rai per sottrarla all’influenza dei partiti, quando si prendono decisioni indipendenti succede il finimondo». Prova a spiegare («L’ordine del giorno porta la firma di Verro ma è il frutto di un confronto collettivo approfondito e serio. Abbiamo chiesto il parere di quattro costituzionalisti»), ma non serve a molto. Tobagi rifiuta l’idea che le venga richiesta lealtà al socio di maggioranza della Rai, cioè al ministero dell’economia e al governo: «È una concezione padronale quella secondo cui il consigliere dovrebbe obbedire all’azionista. È molto grave. Così si torna alla Rai com’era prima della riforma del75, controllata dall’esecutivo, dalla Dc, da Ettore Bernabei». Colombo, ex magistrato di Mani pulite, ricorda poi come lui e Tobagi siano «stati eletti su indicazione della società civile dopo che l’allora segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, aveva dichiarato di non voler indicare i membri del cda Rai che sarebbero stati di spettanza del Pd». Ma è proprio interpretando il voto come l’ultimo colpo di coda della vecchia guardia, che nel Pd chiedono le dimissioni dei due: «Ormai tutti i mezzi sono buoni per sparare sul conducente... Che tristezza» è un altro tweet di Bonaccorsi. «Cosa sarebbe successo se al governo ci fosse stato Berlusconi?» si chiede allora Tobagi. Sia chiaro, «non stiamo vivendo i tempi dell’editto bulgaro, per fortuna», ma «proprio per questo però rimane da tutelare il principio della certezza delle risorse della Rai che deriva dal canone». «Non bisogna approfittare di un momento di malessere del Paese» ha detto la scrittirce, intervistata da Repubblica, «perfar passare l’idea che bisogna solo obbedire all’azionista». «Nel mio tweet dell’altra sera a commento del voto sul ricorso contro il prelievo dei 150 milioni voluto dal governo» è la replica di Bonaccorsi, «ho auspicato un passo indietro di coloro che sedendo in Consiglio di amministrazione sono i rappresentanti dell’azionista, ma non è stata certo messa in discussione l’autonomia del ruolo». «Non era un diktat». E non lo era, bisogna immaginare, anche quello del sottosegretario Antonello Giacomelli, ex margherita, Pd, nominato da Renzi. Per lui quello del Cda è stato «un voto determinato solo da logiche politiche e personali, all’insegna del tanto peggio tanto meglio». «Sia ben chiaro, comunque, che tutto questo non indebolisce affatto, semmai rafforza, la volontà del governo di liberare la Rai e il servizio pubblico dalle vecchie logiche» dice il sottosegretario che però poi dice anche che «la decisione dei consiglieri Rai di votare per un ricorso contro il governo, azionista dimaggioranza Rai, è veramente sorprendente». La Rai, pare, debba quindi non rispondere ai partiti, ma al governo sì. Non solo. Michele Anzaldi, altro renziano, membro della commissione vigilanza Rai, ha rilanciato: «A questo punto, visto il suo comportamento lineare, verrebbe da chiedere alla consigliera Luisa Todini di ripensarci e ritirare le dimissioni». Anzaldi è lo stesso che qualche mese fa aveva scritto alla presidente della Rai, Anna Maria Tarantola, lamentandosi per l’imitazione che la comica Virginia Raffaele aveva fatto del ministro Maria Elena Boschi per Ballarò. Luisa Todini, invece, è un’altra consigliera Rai, eletta in quota centrodestra e Lega Nord. Ex europarlamentare di Forza Italia, la Todini è però poi anche stata nominata da Matteo Renzi presidente di Poste Italiane. Anzaldi la porta come esempio di «comportamento lineare» perché in polemica con il voto del cda ha annunciato le sue dimissioni. Dimissioni che però, ricordano dal Movimento 5 stelle, «Todiniaveva più volte promesso», per via del doppio incarico che dura ormai sei mesi. A schierarsi con Tobagi e Colombo, è invece Corradino Mineo, ex direttore di Rainews24, e senatore del Pd, spesso dissidente: «Hanno fatto benissimo» dice all’Espresso. «I renziani sono un fenomeno di auto esaltazione, l’unica cosa che hanno in mente e “non disturbare il manovratore”» è il commento: «Ma il punto è che non sanno cosa fare della Rai. Non hanno idea», dice Mineo, «di come rilanciarla. Parlano di governance e mai di piano industriale. Anche l’idea di accorpare le redazione dimostra che non sanno di cosa parlano perché senza identità i Tg vanno peggio, i programmi vanno peggio, i giornalisti stessi lavorano peggio». Luca Sappino,l’espresso
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