I politici italiani, populisti e poco coraggiosi Matteo Salvini
 











Tra le tante riflessioni che si fanno in questi anni di crisi, nel mondo occidentale, in Europa e in Italia, vi è quella sul grave deficit di leadership. Pare tramontata l’epoca in cui la storia ci restituiva figure come De Gaulle, Adenauer, Churchill, Roosvelt, De Gasperi. Ma all’orizzonte non intravediamo nemmeno dei Reagan, delle Thatcher, dei Kohl, dei Mitterrand. Nemmeno un gentile, ma risoluto, Tony Blair.
Il deficit di leadership si manifesta soprattutto nella mancanza di direzione, nell’assenza di personalità capaci di far intravvedere soluzioni che siano coerenti con una data visione del mondo. E nella politica domina l’inseguimento degli umori popolari, che in giro per l’Europa fanno oggi la fortuna dei movimenti populisti e nazionalisti e con i quali sono costretti a fare i conti anche i partiti più tradizionali.
Così è certamente in Italia. Dopo il tramonto della stella berlusconiana, è stato soprattutto Beppe Grillo che hacercato, con un altalenante, ma indubbio successo, di convogliare frustrazione, delusione e malessere in un progetto politico fatto di retorica “anti-politica” (ovvero di una retorica fondata sull’individuazione di categorie di nemici e avversari irriducibili), ma con una pars construens oscillante tra l’assenza e l’inverosimiglianza (la democrazia diretta via web, ad esempio).
Oggi Grillo è sfidato da Matteo Salvini e dalla Lega nella cattura di quell’opinione fluttuante, non più necessariamente ancorata alla dimensione destra-sinistra, mossa soprattutto da sentimenti di insicurezza e paura, o ancora di frustrazione e esasperazione per un contesto politico ed economico che demotiva e paralizza l’intrapresa e l’iniziativa.
E così abbiamo visto il capace ed efficace – oltre che ormai star mediatica - leader della Lega intervenire sulla ragione sociale del partito da lui conquistato alla vecchia leadership in disarmo. Salvini ha messo in ombra la dimensione prevalentementeterritoriale, di rivendicazione delle ragioni di un territorio contro un centro “rapace”, inefficiente e sprecone, per accentuare e potenziare la difesa “nazionalista” contro l’Europa della moneta unica, dei “tecnocrati”, della Merkel e così via, così come ha cavalcato con rinnovato vigore la difesa “populista” contro le conseguenze, reali o narrate, dell’afflusso di immigrati dal Sud (ma non solo) del pianeta (e non a caso guarda esplicitamente a Marine Le Pen).
L’uno – Grillo – e l’altro – Salvini – sono accomunati da un discorso fatto di nemici e responsabilità che stanno altrove e che assolve un popolo comunque e sempre buono e innocente.
Questa struttura del discorso, in realtà, non è presente solo all’opposizione. Con contenuti suoi propri la troviamo anche al governo. E’ recente il riferimento del presidente del Consiglio Matteo Renzi alle famiglie che hanno per anni fatto le formiche e la classe politica che ha svolto il ruolo della cicale, come se alla formazione deldebito pubblico non avessimo partecipato anche noi cittadini italiani, quei cittadini che nel discorso renziano sono sempre i “buoni” che chiedono il cambiamento, come se nei decenni le risorse dilapidate anche per creare consenso fossero andate ai marziani.
Così come è continuo il riferimento ai gufi e ai frenatori, ai burocrati e ai tecnici, compresi quelli dell’Europa, che anzi hanno un posto in prima fila tra i responsabili delle cose che non vanno. In prima fila perché ascoltando le parole provenienti dall’esecutivo, talvolta sembrerebbe che invece che ristrutturare radicalmente e limitare la nostra spesa, il problema sia soprattutto poter continuare a spendere.
Un’opposizione che si nutre solo di un discorso populista e manicheo non è particolarmente utile al buon funzionamento della democrazia, perché surriscalda il confronto e non si pone come una seria alternativa di governo. Ma anche un governo che cerca di continuo avversari, indica colpevoli e si rivolge ad unpubblico “innocente” viene meno al suo dovere di responsabilità, creando aspettative illusorie nei cittadini, ovvero la possibilità di un cambiamento senza pagare pegno, senza mutare i comportamenti tutt’altro che “civici” e i vizi profondamente radicati nella nostra società, e ponendo la propria azione al riparo dalle critiche, attraverso l’alibi dei nemici del cambiamento (una strategia, come si ricorderà, cara a Silvio Berlusconi).
“Metterci la faccia”, come si usa dire di questi tempi, richiederebbe invece un discorso più coraggioso, anche se, certamente, sarebbe un discorso meno popolare. Sofia Ventura,l’espresso

 









   
 



 
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