Il Parlamento? Veloce solo quando vuole
 











Una maratona. Più di 120 iscritti a parlare, che potrebbero riempire anche 40 ore di dibattito. Il termine ultimo per presentare gli emendamenti viene spostato di qualche ora, e fissato alle 20 di martedì. Sono puntualmente bocciate le questioni pregiudiziali presentate dal Movimento 5 stelle e dai vendoliani. Roberto Calderoli (con Anna Finocchiaro, del Pd, relatore del testo) prende la parola, in aula, e si dice soddisfatto anche se la sua riforma, quella approvata dal centrodestra nel 2005 e bocciata dal referendum, «era scritta molto meglio sia in termini di forma che di contenuti». Comincia così l’avventura in aula, al Senato, della riforma costituzionale di Matteo Renzi. Cioè di Matteo Renzi e Silvio Berlusconi.
Il premier non vedeva l’ora. Deve essere per lui un piacere vedere i senatori tutti così presi, seguir veloci il disegno del leader, con il presidente Pietro Grasso che richiama all’ordine, e con il ministro Maria Elena Boschia  coordinare, e i dissidenti a far la loro battaglia senza però anche solo pensare, ormai, di poter compromettere il risultato finale (si tenterà, al massimo, di abbassare la soglia di 800 mila firme necessarie per richiedere un referendum). Il premier è contento: «È assurdo parlare di torsione autoritaria. Qui stiamo facendo una rivoluzione che è la rivoluzione del buon senso: meno senatori, meno gente che vive di politica». «Non ho paura dell’aula», dice sicuro di sé. Matteo Renzi ne ha fatto una questione centrale del suo mandato, quasi personale: lui, contro «un paese troppo lento».
Non è il primo, però, Renzi, ad intraprendere questa battaglia. Nel 2009 l’allora presidente del Senato Renato Schifani certificò al Giornale che «il Parlamento è più lento del Paese: la sua riforma ormai è necessaria». Era già maturo il tempo di una campagna contro le «lungaggini» del parlamento. Silvio Berlusconi ne ha fatto per anni la sua scusa preferita. Non era lui a non mantenere lepromesse: «sapete quanto ci vuole in Italia per fare una legge?» chiedeva retorico al pubblico, prima dei comizi. Matteo Renzi ha ripreso la crociata, e la sua riforma, concordata con Berlusconi, è ormai al voto dell’aula, contro ogni «palude»
Ma è veramente così lento, il parlamento italiano? Dipende, possiamo dire dando uno sguardo alle statistiche. Da cosa? Dalla volontà politica di fare le leggi in questione, ovviamente. Lo deve notare lo stesso Renzi, quando, dell’iter finora rapidissimo della sua riforma. dice: «Dopo esserci abituati a una politica al ralenti, i primi a essere stupiti siamo noi». Sia chiaro, «non stiamo facendo le corse: stiamo approvando gli atti in tempi regolari», però, che bravi questi senatori quando ci si mettono, no?
Perché Camera e Senato possono esser molto lenti o molto veloci. Velocissimi, poi, per le leggi dettate dal governo. L’esempio di scuola è la legge Fornero, la riforma previdenziale del governo Monti, che ottenne il sì definitivo inappena sedici giorni. Elsa Fornero la fece approvare dal consiglio dei ministri il 6 dicembre 2011, e il 22 dicembre dello stesso anno, Camera e Senato avevano già dato l’ok. La legge fu dunque scritta in fretta (il governo Monti si è insediato il 16 novembre, neanche un mese prima) e approvata in fretta. E chissà se prendendosi qualche giorno in più, deputati e senatori avrebbero evitato il dramma degli esodati. Il governo Monti ci prese gusto con i decreti. Nel 2012 ne inviò 70 alle camere. Il Senato, per conto suo, visto l’ingolfamento, tenne una media forse non così scandalosa: duecento giorni.
Nella media incidono ovviamente le proposte che, avendo minor consenso, hanno bisogno di più tempo, perché più di qualcuno cerca di non farle proprio diventare leggi. Sono le vittime dell’ostruzionismo, per le quali però basterebbe modificare i regolamenti parlamentari. Le leggi su cui la maggioranza decide di procedere spedita, infatti, filano. Oltre alle pensioni, per l’era Monti,possiamo fare l’esempio del rinnovo delle missioni all’estero. Decreto legge del 28 dicembre 2012, approvato definitivamente il 22 gennaio 2013.
Ricordate invece il Lodo Alfano? Divenne legge in appena venti giorni. Partorita dal consiglio dei ministri il 28 giugno 2008, venne approvata dalle camere in seconda lettura il 22 luglio 2008: una legge precoce, no? Talmente precoce che ci mise poi solo poco più di un anno a maturare l’incostituzionalità. Nel 2008 il parlamento lavorò bene. Certo forse, come ormai abitudine, lavorò troppo sotto dettatura del governo, ma per i 43 compitini assegnati dall’esecutivo, il Senato ci mise in media 40 giorni, considerando, come da statistiche di palazzo Madama, l’intervallo che intercorre tra il primo esame del DDL e la sua approvazione. Non molto, no? Soprattutto se consideriamo che per l’unica legge parlamentare approvata quell’anno - l’istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta sulla mafia - al Senato ci vollero 58 giorni. Duemesi.
E sapendo che l’intera legislatura, dal 2008 al 2013, ha approvato 391 leggi, decreti e non, in 193 giorni di media, si può apprezzare il talento rivelato da Fabrizio Cicchitto che ci mise solo sei giorni per portare a casa la sua proposta sullo slittamento del referendum sulla legge elettorale, nel 2009. Sei giorni per non far svolgere il referendum sul porcellum in contemporanea alle elezioni europee, facendo fallire miseramente il primo, accorpato ai ballottaggi delle amministrative. Per alcune leggi si corre, per altre no. Dipende dalla sensibilità. Affossare un referendum è sicuramente più urgente che approvare il riconoscimento dei figli naturali, presentato da Rosy Bindi e approvato in 1259 giorni.
Openpolis per la legislatura 2008-2013 fece un po’ di conti. Con una premessa di per se già significativa: la percentuale di successo di leggi di iniziativa del governo è del 84 per cento, mentre per le leggi di iniziativa parlamentare è appena del 4,4 per cento. Spesso,insomma, il Parlamento è palude con se stesso, non certo con i governi. Chi vuole fare, insomma, fa. E anzi bisogna registrare come ormai definitivo l’uso improprio dei decreti legge. Dovrebbero servire per occasioni di «particolare necessità e urgenza», sono ormai lo strumento con cui si riforma, rapidamente, pure la Costituzione.   Luca Sappin,l’espresso

 

 









   
 



 
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