Come fermare la fuga dei laureati
 











Venticinque anni fa a lasciare l’Italia, spinti dal desiderio di continuare a studiare oltre ai limiti di quello che l’università italiana poteva offrirci, eravamo in pochi. Pianificavamo tutti di tornare, anche se poi per molti le cose sono andate in altro modo. Oggi ad emigrare sono in tanti. Non solo per ricerca, ma per lavoro, per ottenere quelle prospettive di carriera che sono negate loro nel nostro Paese. È una fuga che si preannuncia senza ritorno. Perché quella che era una goccia si è trasformata in un fiume in piena?
Paradossalmente, uno dei motivi è l’integrazione europea. La libertà di movimento e di lavoro all’interno dell’Unione europea facilitano la migrazione. Ma è la stessa integrazione monetaria a rendere la migrazione necessaria. Prima della moneta unica, quando solo alcuni dei Paesi dell’eurozona erano colpiti dalla recessione, la differenza tra domanda ed offerta di lavoro in questi Paesi veniva risolta con un aggiustamentodei tassi di cambio o con una politica monetaria differenziata, che stimolasse la domanda di lavoro nei Paesi in recessione e la raffreddasse nei Paesi in boom. Oggi che c’è una moneta e una politica monetaria comune per l’eurozona l’unica forma di aggiustamento possibile di fronte a shock asimmetrici è la migrazione.
Da questo punto di vista la migrazione è un bene perché riduce la caduta dei salari necessaria per riassorbire la disoccupazione in Italia e riduce l’inflazione che la domanda di lavoro in Germania potrebbe produrre. Ma questa migrazione sembra avvenire in una direzione sola. Quando era il sud d’Europa in fase di boom, non molti tedeschi migravano a sud. Ora che è la Germania in fase di boom (almeno in termini relativi) sono tantissimi gli spagnoli, i greci, e gli italiani ad emigrare lì.
Questa migrazione non è neppure equamente distribuita a diversi livelli di abilità. Migra la crema dei laureati, che sa le lingue ed ha una cultura che rende più facilel’adattamento in un Paese straniero. E migrano i muratori ed i gelatai che possono facilmente lavorare all’estero anche senza la piena conoscenza della lingua. Nel mezzo della distribuzione dei talenti, dove risiede la maggior parte della popolazione, la migrazione è difficile e permane la disoccupazione.
La migrazione è anche il prodotto del nostro sistema pensionistico, che concede generose pensioni ai vecchi, finanziate con il prelievo sui giovani. A fronte dei loro contributi questi stessi giovani non riceveranno pensioni altrettanto generose. Si tratta a tutti gli effetti di un’imposta sui giovani. Quando si tassano le sigarette, il consumo di sigarette scende. Quando tassiamo i giovani lavoratori in Italia, dobbiamo forse stupirci se il numero di giovani lavoratori nel nostro Paese scende?
Ma la fuga dei giovani è dovuta soprattutto alla mancanza di prospettive che il nostro Paese offre alle nuove generazioni. Mia nipote, neolaureata in Farmacia a Milano, è andata in visitaall’University of Illinois. È rimasta stupita non solo del livello di preparazione dei farmacisti clinici, ma soprattutto della diversa attitudine che gli anziani mostravano per i giovani. Quando c’è da prescrivere dei medicinali al paziente, il chirurgo chiede consiglio al farmacista, anche se ha metà dei suoi anni. I professori consigliano ed indirizzano i neolaureati, invece di rifuggirli quasi fossero delle pesti. I giovani di talento fanno carriera rapidamente e non solo per anzianità. Lei vorrebbe poter vivere e lavorare in Italia. Ma vorrebbe anche poter avere un lavoro retribuito e delle prospettive di carriera. È troppo chiedere entrambe le cose?
In questo momento in Italia sembrerebbe di sì. A suon di proteggere tutti i diritti “acquisiti”, abbiamo finito per lasciare i nostri giovani senza speranza. È giunta l’ora di ridiscutere tali diritti, non per sostituirli con un giovanilismo disperato, ma per rimpiazzare all’anzianità il merito. Speriamo che il più giovanepresidente del Consiglio della nostra storia sia in grado di effettuare questa trasformazione. Non solo per il bene della sua generazione, ma per quello di tutto il Paese. Luigi Zingales,l’espresso

 









   
 



 
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