Il trucchetto è sempre il medesimo, da decenni. Sarà un po’ arrugginito, ma visto che funzionava e funziona benino, non sembrano proprio propensi a rinunziarvi. Sembrano oramai così lontani i tempi delle “Lettere luterane” pasoliniane e della circostanziata, garbata e inedita critica del distacco tra “Paese” e “Palazzo”. Oggi l’informazione e la “politichetta” viaggiano su altri binari. Seguitano a dare corda a quel vecchio trucco che ha imbrigliato intere generazioni: l’odio di classe. La riduzione di ogni movimento di popolo, di ogni lotta, di ogni tentativo di riscossa e di orgoglio nazionale a una questione di “saccoccia”. Ci provano – e ci riescono – da secoli, in tutti i modi e sotto le vesti più disparate. Cominciarono con l’esortazione del Guizot - “enrichissez-vous!” – a far credere che non erano un male il capitalismo, non era un male l’economia finanziaria, l’anti-industrialismo, l’accumulo di ricchezze sulle spalle del prossimo.Bastava “saperlo prendere”, adeguarsi, conformarsi a quella nuova “Geist des Kapitalismus”, saper sgomitare per arrampicarsi sulla piramide d’oro, novello Tempio della modernità. Oggi, la solfa è la medesima. E’ venuto il turno dei banchieri al governo e dei loro lacchè, goffi ed impacciati nella politica, alieni a qualsivoglia istanza sociale, boriosi e supponenti a ogni parola proferita, di continuare a umiliare un intero popolo, a spingerlo nel tranello secolare. Cominciò una vecchia conoscenza del mondo bancario europeo, ad avere il cattivo gusto di voler suonare la sveglia a una gioventù disperata che volle definire “bambocciona”. Poi fu la volta di un professorino in quota Aspen col patrocinio Luiss, che rimproverò quanti, a ventotto anni suonati, magari con un lavoro e una famiglia da mantenere, dovevano ancora laurearsi: “sfigati”, sentenziò. Non ne avevano abbastanza. Dovette pensarci una signora di mezza età, ministro del lavoro per grazia di un banchiere a finecarriera, che tirò le orecchie a una gioventù sull’orlo della disperazione: “suvvia, non siate choosy”. Il colpo di grazia, invece, è solo di questi giorni: inferto da un giovane industriale delle automobili, nel cui “medagliere” figura un centoquarantasettesimo posto nell’edizione 2012 della “Mille Miglia”, il quale ha ponderato un’analisi risolutiva sulla problematica della disoccupazione: i giovani stanno meglio a casa di mammà, non hanno ambizione. La politica, quella urlata nell’Ufficio Protocollo delle delibere di Bruxelles che ha ancora il cattivo gusto di auto-definirsi “parlamento”, si adegua: si prodiga in appelli, richieste di elemosina mascherate da interventi dell’Istituto di previdenza sociale, di non meglio definiti “redditi di cittadinanza”, di elargizione di “una tantum”, di sconti, di liberalità mielose. Vogliono attirarci nel vecchio inganno della rivincita di classe. “Vi aiutiamo ad arricchirvi, diventerete come noi”. Un inganno vecchio come il mondo,rilanciato dal governo della finanza per tentare, maldestramente, di sopire una voce che si fa sempre più forte anche nelle piazze, una voce che parla di sovranità, di rinascita nazionale, che comincia a individuare il vero cuore del problema: la mancanza dello Stato, il potere dei creatori di denaro, la tirannide delle banche, la dittatura dell’eurocrazia. La disperazione suicida di una nazione non potrà trovare sfogo che in questa unica strada. Non sarà l’ “odio di classe” a muovere questo popolo, non sarà il reclamo di un posticino al banchetto dei potenti: piaccia o meno a Lorsignori il motore della storia è e resterà il desiderio di affrancarsi completamente da una schiavitù imposta con ogni mezzo dai signori del denaro, è e resterà la necessità di riaffermare sotto ogni aspetto la propria sovranità e la propria indipendenza nazionale, è e resterà la “lotta di popolo”. Fabrizio Fiorini
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