I toni della mozione congressuale sono così duri da far sembrare la "rottamazione" una carezza. I big del Pd entrano nel mirino dei lettiani capitanati da Francesco Boccia a metà documento. E ne escono solo parecchi capoversi dopo. Il partito di via del Nazareno è descritto come "conservatore", guidato da una "classe dirigente che non serve più" e che vive "in un regolamento di conti perenne". È l’intero campo della sinistra a finire sotto processo: "Una classe dirigente imbevuta di questa "vecchiezza" può sopravvivere, e bene, sino alla pensione ma non costruisce nulla, non mette nemmeno un mattone, riesce a malapena a perpetuare una vita dorata per sé, i suoi familiari e i compagni di merenda. Nulla di più". Non tutti i firmatari sono lettiani, perché l’obiettivo è raccogliere parlamentari e dirigenti in modo trasversale. Né Enrico Letta gioca un ruolo nell’operazione, trapela da Palazzo Chigi, perché non ha partecipato alla stesura dellabozza. Di certo le sette pagine hanno l’effetto di un pugno nello stomaco. Ad esempio quando si punta il dito contro chi ha scelto la conservazione "per tuffarsi nella svolta a sinistra". E invece "che senso ha la conservazione dei protagonisti del tempo che fu?". Ma non basta. La mozione si appella al mondo democratico per mettere fine alla "gara grottesca" di chi vuole dimostrare di essere il "meno compromesso con quel sistema sempre contestato, ma del quale si apprezzano tutte le comodità". Non è più il tempo, insomma, di "fuggire dal paese normale alla ricerca di un paese delle favole". Boccia, comunque, non sembra spaventato dagli effetti dell’accelerazione impressa. "Innanzitutto non è un documento per le larghe intese", precisa. Piuttosto, è un modo per ricordare a tutti che "sarebbe una follia non sostenere lo sforzo di Letta". Quanto al partito, il braccio destro del premier è netto: "Dobbiamo riflettere sul perché non abbiamo vinto. Ciascuno ha fatto la propria stagionee ha dato un contributo al Paese. Però si apre una fase nuova. C’è chi avrà il suo posto nel Pantheon del Pd, ma certo non si vive nel blasone dei capicorrente". Emerge chiara l’intenzione di sfidare Matteo Renzi sul terreno a lui più congeniale. "Ma il contributo è aperto a Matteo come a Cuperlo e Pittella", precisa Boccia. Eppure le parole d’ordine lasciano pochi dubbi. Si evoca "un’Italia riformista" da costruire in nome di "pari diritti e pari doveri", ma anche di una "meritocrazia vera", con l’obiettivo di contrastare "l’ingiustizia sociale" e superare "un mercato del lavoro medievale" che "si preoccupa di garantire i già garantiti". L’invito, costante, è al mea culpa della classe dirigente. Innanzitutto per quello che sarebbe potuto essere e non è stato: "Un tema su tutti: il conflitto d’interessi di Berlusconi, e non solo. Questo immobilismo ha reso poco credibile un’intera generazione politica". Nulla è risparmiato, neanche la conquista grillina della classe operaia:"Perché offrire a questi pezzi di società delle alternative che partono dalla difesa dello status quo (dai sindacati, a pezzi interi di politica spesso percepiti come "casta" e non come rappresentanti delle Istituzioni)?". La stella polare dei firmatari resta il Capo dello Stato. È colui che ha "salvato l’Italia". Ora tocca al Pd sostenere l’esecutivo. E utilizzare "fino in fondo il "tempo di questo governo" per rifondare questo partito".Tommaso Ciriaco-repubblica
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