Gli italiani puntano a sopravvivere per non morire
 











Una crisi del genere gli italiani non l’avevano mai vista. Una crisi che sta facendo venire meno tante certezze consolidate e che fa temere che il futuro sarà ancora peggiore del presente che stiamo vivendo.
Il 46° rapporto del Censis non offre molte occasioni per essere ottimisti. Non c’è sicurezza del posto di lavoro, le retribuzioni sono risicate e non permettono di avere un decente tenore di vita, tanto da obbligare milioni di persone a ricorrere ai risparmi di una vita per sopravvivere. Se a questo poi si aggiungono le ultime misure del governo, in particolare l’introduzione di una tassa odiosa e odiata come l’Imu che è andata a pesare sulla casa, il bene per eccellenza delle famiglie, si capisce bene perché l’atteggiamento predominante tra gli italiani sia fatto di rabbia verso i politici e di sfiducia nel futuro.
Il problema della sopravvivenza si pone infatti per molte famiglie che di fronte alla nuova realtà stanno perdendo le
certezze di un tempo. Ma anche per molte imprese che temono di non riuscire a resistere ad un mercato globale che opera una concorrenza feroce basata su un basso costo del lavoro che è difficile se non impossibile da contrastare. Se poi si pensa che la maggioranza delle imprese italiane sono medie e piccole e a conduzione familiare, si crea un tutt’uno con i problemi delle famiglie.
La diffusa inquietudine popolare finisce così per coinvolgere tutti con un effetto domino tanto temuto quanto non se ne conoscono gli sviluppi futuri. La crisi economica crea infatti un’ansia prima sconosciuta tra la maggioranza degli imprenditori che temono di dover chiudere i battenti, tra le famiglie che vivono in una costante insicurezza e che stanno vivendo un drastico impoverimento con un calo del tenore di vita e con una riduzione costante dei risparmi. Una situazione di sbandamento che coinvolge anche la classe politica che appare in tutta la sua inadeguatezza. Politici che non sanno cosa fare e
cosa proporre di fronte ad una crisi dei conti pubblici che fa temere una bancarotta dello Stato e di fronte ad una speculazione che spinge al rialzo lo spread tra i nostri titoli pubblici decennali, i Btp, e i Bund tedeschi.
E queste incertezza e paura che investono tutti i politici di destra e di sinistra finisce per estendersi ai cittadini che temono la fine non soltanto della moneta unica comunitaria ma della stessa Unione Europea. E questo non può che accentuare i timori e il senso di incertezza. Insomma, nemmeno le vecchie zie ci salveranno. Non possiamo più sperare che sia l’Europa a salvarci se è la stessa Europa che minaccia di collassare su stessa, travolta dalla propria ambizione e dalla volontà di essere qualcosa di più di quello che poteva essere, in base alle proprie forze.
Quello che manca è una reazione di tipo collettivo di fronte alla crisi, come successe nell’immediato dopoguerra quando, tra le macerie di un Paese distrutto, gli italiani si rimboccarono le
maniche e gettarono le basi per il successivo boom economico. Oggi una reazione di questo tipo non c’è, osserva il Censis, perché gli italiani si sentono soli ed avvertono lo Stato e il governo, quindi tutta la politica, come nemici che sanno soltanto venire a cercare soldi nei loro portafogli.
La necessità di sopravvivere ha spinto negli ultimi 2 anni almeno 2,5 milioni di famiglie a vendere oro ed altri preziosi. Circa 300 mila famiglie hanno venduto mobili ed opere d’arte e l’85% ha eliminato consumi che sono stati giudicati eccessivi o superflui. Si comprano sempre meno auto che stanno diventando quasi un lusso per pochi visto che poi la benzina incide in maniera pesante. Molti si sono adattati ad andare in motorino se non addirittura in bicicletta. Molte coppie giovani sono state costrette a ricorrere agli aiuti finanziari dei genitori e questo confermerebbe la centralità della famiglia come istituto centrale della società italiana. La crisi ha comunque innescato fenomeni
diffusi di solidarietà tra famiglie più benestanti e le altre. A dimostrare che resiste un tessuto sociale che nemmeno la crisi è stata in grado di scalfire. Un fenomeno tanto più significativo se si pensa che la vita della maggioranza delle famiglie è caratterizzato oggi dalle tre R: risparmio, rinunce e rinvii che implicano sempre e comunque sacrifici.
La crisi ha finito per portare sul banco degli accusati quella Unione europea che si era presentata come la garanzia di un benessere diffuso per tutti i cittadini dei Paesi membri. La sensazione è che i vantaggi siano stati pochi e che ogni Paese tenda ormai ad andare per conto suo e pensare ai propri interessi mentre le istituzioni comunitarie appaiono troppo invasive e caratterizzate da meccanismi decisionali farraginosi ed incomprensibili.
La crisi economica unita in Italia al tracollo di immagine di una classe politica, fatta di corrotti ed incapaci, e arrogante nei propri privilegi, ha innescato un diffuso sentimento di
indignazione e una predisposizione di molti cittadini a mobilitarsi per cambiare la situazione. L’87% dei cittadini considera la corruzione un problema grave e il 43% pensa che il crollo morale della politica e la corruzione siano le cause principali della crisi. Una miscela esplosiva fatta di rabbia per la povertà crescente e di rancore verso i politici che aspetta soltanto le prossime elezioni politiche per manifestarsi, ma che ancora non è pronta ad andare in piazza. Filippo Ghira
Le agenzie di rating svalutano anche l’Ucraina
Non bastava l’attacco portato da alcuni mesi a questa parte contro i Paesi dell’Eurozona ad opera delle agenzie di valutazione finanziarie di origine statunitense come Standard&Poor’s: ora ad essere esposta agli speculatori internazionali è anche l’Ucraina. Proprio Standard&Poor’s ha colpito per l’ennesima volta giovedì scorso la Grecia. Ma ieri gli speculatori legati indissolubilmente all’unipolarismo del dollaro hanno tagliato il rating sul
debito sovrano anche dell’Ucraina, addirittura con outlook negativo. Si tratta di un livello ancora più basso nella valutazione dei bond “spazzatura” (“junk”), cioè dei titoli a bassissima affidabilità. La notizia è giunta direttamente dall’agenzia di rating che ha proseguito la linea già tracciata il giorno prima dall’altra agenzia americana Moody’s, anch’essa autrice di un taglio netto del rating da B2 a B3, con prospettive negative, in questo caso però, della finanziaria del governo di Kiev per l’anno 2013. una  manovra a tenaglia quella degli usurai dell’area del dollaro che sperano di far cadere nella loro rete anche l’Ucraina in vista delle imminenti elezioni dopo le dimissioni del governo e la nascita di una nuova Assemblea nazionale prevista per i prossimi giorni. È in sostanza una risposta a ciò che ha fatto il Parlamento ucraino (Verhovnaja Rada) che ha approvato venerdì scorso a larga maggioranza la legge finanziaria per il 2013, ultimo atto dell’attuale legislatura, dopo le recenti dimissioni del primo ministro Mykola Azarov, prima dell’insediamento della nuova assemblea previsto per il 12 dicembre. Il testo, messo a punto dal governo dimissionario, si fonda su un aumento di deficit e debito oltre che su previsioni di crescita che rischiano di non essere rispettate, alla luce di un rallentamento dell’economia più marcato del previsto. L’esecutivo uscente ritiene per il prossimo anno una crescita del Pil pari al 3,4% e un’inflazione del 4,8%, mentre il deficit è visto aumentare del 30% rispetto al target del 2012, a 50,4 miliardi di grivne, arrivando al 3,2% del Pil, le entrate sono previste in calo del 3% a fronte di un calo della spesa dell’1%. Ma il bilancio 2013 sarà fondato anche su un aumento del debito di un terzo rispetto al 2012, a 129,4 miliardi di grivne, con una crescita del 12,8% di quello estero e del 43,7%. È quindi evidente che la sonora bocciatura di Moody’s dei conti pubblici ucraini arriva quindi particolarmente sgradita ieri mattina, l’agenzia ha ridotto il rating sul debito ucraino a B3 da B2, citando i suoi dubbi sulla crescita, sulla capacità del governo di attuare riforme e sulla liquidità, alla luce dei pesanti interventi della Banca centrale per sostenere la grivna in crisi. E ha avvertito: non è finita qui. Gli analisti di Investment Capital Ukraine hanno tagliato corto. La finanziaria, hanno sottolineato, è deludente perché indica che le autorità non riconoscono la minaccia rappresentata dalle attuali condizioni macroeconomiche sul merito di credito sovrano. Gli economisti della Banca d’investimento aggiungono che il Fondo monetario difficilmente potrà gradire un testo che “indica come Kiev” non è seria quando ha deciso di seguire il regime del Fmi di prudenza fiscale. Ma chi ci assicura che questo in realtà non sia un pretesto per raggiungere lo scopo di avvicinare con maggior forza Kiev a Bruxelles, evitando che l’Ucraina proceda in direzione della Russia e dell’Unione doganale eurasiatica creando un vera e propria partnership, e in questo anche la sconfitta del premier uscente e della coalizione da lui guidata costituirebbe un presupposto per agire in tal senso da parte delle agenzie di rating, che intanto speculano alla grande sull’Ucraina, grazie alla svalutazione dei titoli di quegli Stati finiti nel mirino.Andrea Perrone