L’inutile Tobin Tax che fa il solletico ai derivati
 











Altro che “banche di sistema”, qui in Italia è il sistema che appartiene alle banche, o almeno ne subisce i desideri e ne asseconda le necessità, anche a discapito degli interessi generali e comunque nel modo tecnicamente più goffo possibile: a spese delle famiglie, dei risparmiatori e dei contribuenti. Quel che si sta decidendo in queste ore sulla Tobin Tax ne è la riprova: per tutelare le banche, verranno assoggettati a tassazione i (pochissimi) derivati finanziari quotati, mentre resteranno liberi dal prelievo i tantissimi derivati “over the counter”, quelli non quotati, non trasparenti, pericolosissimi, su cui però le banche guadagnano meglio. Risultato: quel po’ che resta della Borsa italiana sarà ulteriormente mazzolato, il mercato nero dei derivati tossici accarezzato… la Tobin tax gli farà il solletico, ma certamente non lo punirà.
C’è la speranza che qualcuno in Parlamento cambi ancora strada, ma l’impostazione dell’esecutivo è questa.
Secondo il governo non bisognava penalizzare i “derivati sani”, quelli fatti per esempio da chi esporta per coprirsi dai rischi valutari; peccato che appartengano alla stessa categoria dei derivati speculativi. Allora, salvi tutti e sotto a picchiare per esempio i banalissimi “future” sul titolo Generali… I primi sono prodotti “opachi”, negoziati fuori Borsa, i secondi regolarmente in Piazza Affari: ma niente da fare, la tassa risparmierà quelli opachi e colpirà quelli trasparenti…
Anche quel che il governo Monti ha fatto con la cosiddetta “patrimonialina” – l’imposta di bollo sugli investimenti – per salvare le banche sta ammazzando il risparmio gestito al solo scopo di tutelare, ma in modo peraltro malinteso, le banche e Poste italiane. E’ come se al ministero dell’Economia un “Dottor Stranamore” si stesse divertendo a mettere a soqquadro la logica, con l’unico criterio di tutelare gli interessi degli istituti di credito: come se Mario Monti, ex Goldman Sachs, e Vittorio Grilli,
ex Credit Suisse First Boston, fossero impregnati dei “valori” dei quali in quella fase delle loro carriere sono stati portabandiera. Intendiamoci, dopo la crisi del 2008 tanti altri Stati hanno aiutato le loro banche, con garanzie e veri e propri finanziamenti in conto capitale assai più che l’Italia: l’ha fatto ad esempio la Germania, con 418 miliardi di euro, contro i nostri 4,10. Ma almeno quelli erano aiuti dichiarati… Invece da noi sono cammuffati, obliqui e iniqui.
Lampante il caso dell’imposta di bollo sugli investimenti. Tutto nasce dal disperato bisogno del fisco di “fare cassa”. Lo “stock” (cioè: l’accumulo) di ricchezza finanziaria degli italiani si calcola in circa 3000 miliardi. Nel preparare il decreto “Salva-Italia”, l’idea di Monti era quella di applicare un maggior prelievo su questo stock. Con l’ansia di fare cassa, è stata commessa un’impressionante serie di errori.
Innanzitutto non l’hanno chiamata “patrimoniale” ma “imposta di bollo sulle comunicazioni
annuali al clienti”, che viene applicata, si badi bene, anche quando non ci sono comunicazioni! I conti correnti bancari e i conti del banco Posta sono stati esentati. Di quei 3000 miliardi di “bacino” potenziale in cui pescare ne sono rimasti quindi 1900. Dai quali Bankitalia calcola che l’erario ricaverà 4,7 miliardi di gettito nel 2013. Se non è una patrimoniale questa…
Ma le previsioni originarie di gettito erano ben più alte: pensando di tassare anche i conti correnti, l’erario sperava di introitare circa 2 miliardi in più. Il criterio per determinare il prelievo, in quel caso, sarebbe stato semplice: l’1,5 per mille su qualunque risparmio investito, magari con una franchigia. Quando ha deciso di proteggere banche e Posta, escludendo i conti correnti dall’ambito di applicazione dell’imposta, invece, il governo ha deciso di fare il contrario in modo da non dover ridurre le previsioni di gettito: anziché introdurre una franchigia sui piccoli depositi, ha introdotto una quota
minima di 34,2 euro che viene prelevata da tutti gli investimenti, anche quelli di soli 1000 euro: col risultato paradossale che chi ha fino a 22.800 euro, pagandone 34,2 all’anno di imposta si trova soggetto a una percentuale ben più alta dell’1,5 per mille, mentre chi ha di più paga solo l’1,5 per mille. Per questo s’è parlato di “Robin Hood al contrario”, che ruba ai poveri per donare ai ricchi… è chiaro che 34,2 euro su 1000 pesano ben il 3,42%, non certo l’1,5 per mille. Questa distorsione resta fino a deposito appunto da ben 22.800 euro. Al di sopra di questo tetto, finalmente, i 34,2 euro di prelievo “diventano” la percetuale voluta, dell’1,5 per mille…
Una distorsione che sta colpendo i piccoli risparmiatori ben di più e ben peggio che rispetto ad una tssa “una tantum” sui conti correnti. Per di più, questa “patrimonialina” è annuale. Almeno servisse a qualcosa…