Bilanci truccati, contributi alle Cayman l’allegro balletto degli enti previdenziali
 











Ci sono milioni di euro di contributi previdenziali finiti alle Cayman in cambio di consulenze d’oro per investimenti in titoli tossici ad altissimo rischio. Ci sono bilanci abbelliti e forse anche truccati. Ci sono commissioni milionarie, stratosferiche, ingiustificate. Ci sono clamorosi conflitti di interesse e battaglie legali tra advisor. Ci sono enormi patrimoni immobiliari svalorizzati oppure abbandonati. Ci sono intrecci e scambi con la politica. Tutto senza controlli. Ci sono miliardi che girano ma che dovrebbero servire solo a pagare le pensioni. Ci sono amministratori ambiziosi e senza molti scrupoli. C’è opacità. La bolla pensionistica, però, sta per scoppiare. Figlia dell’ingordigia finanziaria, figliastra del tracollo di Lehman Brothers, la banca d’affari americana.
I primi fili stanno per essere tirati e non si sa ancora cosa si trascineranno dietro. I vertici di molte casse di previdenza private cominciano a tremare. E i futuri
pensionati a preoccuparsi per i loro assegni.
L’Enpam, l’ente di previdenza dei medici e dentisti, la cassa più grande per iscritti e risorse (quasi 350 mila aderenti che versano circa due miliardi di contributi l’anno, e con un portafoglio di investimenti finanziari per oltre 5 miliardi di euro), potrebbe entrare presto nel mirino della magistratura. È stato presentato un esposto alla Procura di Roma (fascicolo 4337/K45) e alla Corte dei Conti firmato dai cinque presidenti degli ordini dei medici di Bologna, Catania, Ferrara, Latina e Potenza. Tra loro c’è anche un membro del consiglio di amministrazione. Sostengono che l’ente abbia subito un danno patrimoniale superiore al miliardo di euro. Un’enormità. Per colpa di investimenti in titoli cosiddetti strutturati, roba sofisticata, roba da speculatori. Roba dalla quale ultimamente si tengono lontani anche i professionisti del settore. Perché può far male. E roba che  -  di certo  -  non c’entra nulla con le
pensioni. Si scommette sull’andamento di determinati indici dove il tasso di aleatorietà è rilevantissimo.
Ma non c’è solo l’Enpam. Anche altri enti hanno avuto a che fare con derivati o obbligazioni strutturate, Cdo (Collateralized debt obligation): dall’Enasarco (agenti di commercio), all’Inarcassa (ingegneri e architetti), dall’Epap (agronomi, geologi, forestali e chimici) all’Enpav (veterinari). Più di cinque miliardi di euro sono stati investiti dalle casse dei professionisti, privatizzate nel ’94, in titoli strutturati. Ma perché i versamenti degli iscritti agli enti pensionistici sono andati in prodotti finanziari così pericolosi? Chi doveva controllare? Quali conseguenze ci saranno sulle future pensioni?
Il primo velo sulla rete fittissima di investimenti in derivati è stato alzato dalla Commissione bicamerale di controllo sugli enti previdenziali. Il 19 gennaio del 2011 vengono pubblicate le conclusioni dell’"Indagine conoscitiva sulla situazione economico-finanziaria
delle casse privatizzate". I parlamentari vogliono capire quanto la presenza di titoli Lehman Brothers o di derivati incida sull’equilibrio finanziario delle casse. Conclusioni - una cinquantina di pagine - prudenti ma nette come in questo passaggio: "Le casse hanno come fine l’erogazione di prestazioni di tipo pensionistico e di tipo assistenziale, prestazioni quindi che debbono essere sottratte quanto più possibile ad ogni aleatorietà". Non devono cercare di "battere il mercato", bensì di garantire le future pensioni dei contribuenti.
La Commissione subito dopo però si eclissa, spegne i fari. Non si ricorda nemmeno di controllare che gli enti abbiano inviato regolarmente i bilanci. Alcuni parlamentari protestano, moderatamente. E così, dopo una serie di richieste, il presidente della Commissione Giorgio Jannone (Pdl), il 6 maggio 2011, è costretto a scrivere una lettera per rassicurarli: i bilanci arriveranno. Disattenzioni ma anche interessanti coincidenze. Per esempio quelle
degli advisor. Perché le scorribande finanziarie sono sempre realizzate con gli stessi consulenti. Ci sono Prometeia Advisor Sim, Fincor, Mangusta Risk, Banca Fineco, Maurizio Dallocchio, professore di finanza aziendale all’Università Bocconi di Milano.
Mangusta Risk, insieme a Dallocchio hanno a che fare anche con il "caso Enpam". Coincidenza, appunto.
Un po’ alla volta si sta alzando il tappeto. Il ministero del Lavoro ha acceso i fari sull’Enpam. Resta il fatto che c’è un colpevole vuoto normativo che dà alle casse una libertà di movimento che non ha nessun altro.
Libertà che non si trasforma in trattamenti pensionistici migliori. Anzi. Lo dice l’ultimo rapporto del Nucleo di valutazione della spesa previdenziale: "La cassa Forense, Inarcassa, Enasarco, Enpacl, Enpav e la quota B del fondo di previdenza generale dell’Enpam, esauriscono il patrimonio prima del 2056 per cui, in base alla legislazione vigente all’atto della redazione del bilancio tecnico, non sarebbero in
grado di garantire le prestazioni pensionistiche ad un nuovo iscritto". Ad un passo dal crac e con milioni di contributi finiti pure alle Cayman.
Eppure in superficie, va tutto bene. I conti economici sono in positivo, e nemmeno di poco. Le casse a prima vista scoppiano di salute. Ma per capire se una cassa sta veramente bene oggi, bisogna immaginarsela, come scrive il Nucleo, tra trent’anni, quando la gran massa di iscritti arrivata a metà degli anni Novanta smetterà di lavorare. Saranno in grado di pagare pensioni adeguate? La cassa dei commercialisti, ad esempio. Oggi 49 mila iscritti e appena 5000 pensioni erogate. Un patrimonio immobiliare di 41 edifici in tutta Italia e 770 milioni all’anno di entrate, a fronte di 230 milioni di uscite. Con mezzo miliardo di euro di avanzo e un patrimonio importante si può star tranquilli, si direbbe. Errore. Nel 2033, calcola Antonio Annibali, professore di matematica finanziaria alla Luiss, che ha redatto l’ultimo bilancio tecnico, gli
assegni erogati supereranno i contributi. Ci saranno più pensionati che commercialisti attivi, insomma. "Certo, il patrimonio accumulato potrebbe garantire la sostenibilità della cassa  -  ragiona Annibali  -  ma chi smetterà di lavorare tra trent’anni avrà una pensione mensile non superiore al 20 per cento dell’ultimo stipendio, contro il 45 per cento attuale". Tradotto: per la maggior parte dei commercialisti che non arrivano a guadagnare almeno 6000-7000 euro al mese, una pensione insufficiente per vivere. "A meno che non si aumenti volontariamente i contributi alla cassa dal dieci al 17 per cento. Ma per chi ha superato i 40 anni, è troppo tardi".
E la recente gestione patrimoniale della cassa dei commercialisti non induce al sorriso. Ha affidato più di un miliardo di euro a società di gestione pagate per far fruttare questo monte di liquidità e mettere un bel po’ di fieno in cascina. Nel biennio 2008-2009, però, la cascina è rimasta desolatamente vuota.
Anzi, sono andati in fumo quasi 80 milioni di euro, per colpa di investimenti sbagliati e una congiuntura economica sfavorevole. "C’è sempre il sicuro e affidabile mattone", dicono alla cassa. La storia della palazzina di via Mantova 1, nel centro di Roma, però dimostra come anche la gestione degli immobili sia quantomeno da rivedere. L’edificio è sfitto da metà del 2007, quando fruttava 1 milione e 300 mila euro di canone all’anno. L’editore del Sole 24 Ore si era offerto di prenderlo in affitto per 1 milione e 800 mila euro annui ma non se ne è fatto niente. La cassa, così, ha perso, tra mancati guadagni e costi di manutenzione, 4 milioni e mezzo negli ultimi 4 anni solo per questo palazzo. Gli appartamenti sfitti  -  si calcola  -  sono il 6 per cento del totale. Qualcosa però i dirigenti sono riusciti a far lievitare: la spesa per i gettoni di presenza degli organi collegiali (consiglieri di amministrazione, collegio sindacale e assemblea dei delegati), balzata da 1 milione e 772 mila del 2007 a circa 2 milioni e 170 mila del 2008-2009. Un aumento del 22 per cento.l’espresso-di Roberto Mania  e Fabio Tonacci