|
|
L’esperienza all’estero di un musicista italiano. Chiacchierata con Lello Petrarca |
|
|
|
|
di Rosario Ruggiero
|
|
|
|
Non si affida un ingente capitale ad uno sprovveduto, finirebbe immancabilmente per dilapidarlo. Eppure è quanto, se non sta già accadendo, potrebbe sicuramente avvenire con l’immenso, invidiato patrimonio artistico che l’Italia notoriamente possiede ed orgogliosamente può vantare, se la scuola, ed i valori attualmente imperanti nella nostra penisola, continueranno trascurare una generale, mai come da noi doverosa, formazione della sensibilità del cittadino nei confronti del regno delle Muse. Tutto ciò vale quindi, certamente, anche per la musica. Già il grande, compianto pianista napoletano, naturalizzato francese, Aldo Ciccolini, ebbe a dire, circa il bel paese «un ambiente che oramai è in declino» dove «la musica, che ritengo sia un insieme di progresso, civiltà e spiritualità, viene considerata un hobby non una professione», ed il filosofo Umberto Galimberti più volte ha riportato un episodio di cui fu testimone in treno allorquando una ragazza entrò nello scompartimento con una vistosa arpa, suscitando la curiosità di un altro viaggiatore che, dopo essersi interessato alla passione della giovane per la musica, sbottò stupito “Sì, ma il business dov’è?”. Vivendo questa gretta realtà, per un artista, allora, uscire dai confini nazionali può divenire anche traumatico, certo felicemente sorprendente, come è avvenuto a Lello Petrarca, jazzista nostrano, in occasione dei suoi recenti concerti moscoviti e bulgari. «Completati gli sudi al conservatorio – ci racconta – mi trovai immerso nelle oggettive difficoltà di ogni musicista del nostro paese che ambisce accontentare la purezza della sua vocazione, proporre progettualità nuova, entrare in un opportuno circuito concertistico. Ed anche a me è capitato, da parte di chi mi chiedeva che attività svolgessi, rispondendo io orgogliosamente di fare il musicista, di sentirmi dire “Sì, ma per vivere, cosa fai?” All’estero è stata tutta un’altra cosa. Accoglienza entusiastica, da divo, o perlomeno rispettosa della mia attività, lecita pubblicizzazione, ascolto attento, sensibile, partecipe, competente, prioritario, perfino in contesti dispersivi come può essere un locale notturno. Certo questo può avvenire solamente quando il pubblico è opportunamente educato, o già solo avvicinato, all’arte. Torni così in patria consapevole di aver lasciato un gradito segno, aver avuto un’incidenza profonda e positiva, un significato. Soprattutto, grazie ad una tale sorta di pubblico, viene stornata incompetenza professionale, mistificazione, bassa qualità e tutti i danni che ciò comporta, specialmente per i giovani». Una realtà ben diversa in Italia che, purtroppo, oggi pare valere anche un po’ per ogni attività, ma, in particolar modo, vedendo tristemente ciò che fummo e ciò che siamo diventati, nella musica. È bene, allora, che di tutto ciò tenga ben conto una nazione dove ogni giorno di più la meritocrazia sembra esistere solo nel contesto calcistico, l’unico ambito, forse, dove ancora il pubblico non si dimostri penosamente sprovveduto. |
|
|