Cibi con aggiunta di vitamine? Solo marketing. E potrebbero pure essere dannosi per la salute
 











Leggere sull’etichetta di un alimento "con aggiunta di vitamine" di solito non significa che faccia bene. Anzi, può essere un campanello d’allarme a cui prestare attenzione perché «questi prodotti possono contribuire a una dieta povera e, in questo modo, allo sviluppo di malattie croniche».
In molti casi, quindi, pare che questa segnalazione sia messa in risalto solo per attirare i clienti. A rivelarlo è una recente inchiesta condotta da Foodwatch , un’organizzazione non-profit con sedi a Berlino, Amsterdam e Parigi nata nel 2002 che si occupa di alimentazione .
I ricercatori hanno analizzato la composizione nutrizionale di 644 prodotti che reclamizzano l’aggiunta di vitamine e hanno scoperto che nell’80 per cento dei casi non sono salutari in base ai profili nutrizionali stabiliti dall’ufficio europeo dell’Organizzazione mondiale della sanità. Ben 515 alimenti, infatti, sono risultati troppo ricchi di zuccheri, grassi o sale per essere
consumati quotidianamente.
Lo studio è stato fatto in supermercati e discount tedeschi (Edeka, Lidl, Rewe) e olandesi (Albert Heijn, Jumbo, Lidl) e molti dei marchi presi in considerazione si trovano anche sugli scaffali italiani (giusto per fare qualche esempio: Kellogg’s, Hero, Milupa, Mueller, Actimel, Powerade, Alpro, Aquarius, Pfanner). Tra le fila dei bocciati ci sono soprattutto bevande dolcificate (252 prodotti) e succhi di frutta (92), anche se non mancano dolci (59), yogurt (30) e cereali per la colazione (23).
Pietro Antonio Migliaccio, nutrizionista, dietologo e presidente dalla Società italiana di scienza dell’alimentazione, mette in guardia soprattutto dai prodotti che reclamizzano un’aggiunta di vitamine A, D, E e K. «Si tratta di vitamine liposolubili, che quando vengono ingerite in eccesso si accumulano nel fegato e possono provocare dei disturbi alla salute».
Se ingeriamo più vitamina B o C, spiega il medico, non succede nulla, perché sono idrosolubili e
vengono eliminate facilmente dal nostro organismo. «Ma se ingeriamo troppa vitamina A», dice Migliaccio, «questa si può depositare sulla pelle causando prurito e, se l’eccesso è notevole, possono addirittura cadere i capelli, aumentare la stanchezza, comparire disturbi dell’apparato intestinale e si possono verificare anche mal di testa, nausea, inappetenza, alterazione delle ossa lunghe e danni epatici». Insomma, taglia corto il medico, «quando c’è l’aggiunta di vitamina A e D la pubblicità serve per stimolare l’attenzione del consumatore, ma questi prodotti possono essere non necessari e addirittura dannosi, per cui sarebbe bene consultare il dottore prima di farne uso. Non possiamo prendere sotto gamba questo problema».
Migliaccio non si sorprende che siano soprattutto le bevande dolcificate a essere risultate dannose per la salute. «Basti pensare che una lattina da 330 ml contiene in media 130 calorie, per cui se ne beviamo tre abbiamo l’equivalente di una piatto di
pastasciutta», sottolinea il medico. E l’aggiunta di vitamine, anche se non apporta altre calorie, «può aggravare la situazione, rendendo il prodotto non salubre».
Ma queste sostanze in più, quindi, non servono proprio a niente? «Tra la popolazione non c’è una carenza media di vitamine, se non per specifiche vitamine e determinati gruppi di persone», spiega ancora Migliaccio. Per esempio, tra gli anziani spesso si registra un deficit di vitamina D, ma in ogni caso «bisogna capire che prima di prendere degli alimenti con aggiunte di sali minerali o di vitamine dovremmo consultare il medico, altrimenti rischiamo di avere carenze o eccessi di determinati nutrienti».
Entrare in un supermercato, pare di capire, sta diventando un po’ come entrare in una farmacia. Con una differenza: anche se sugli scaffali si gioca gran parte della nostra salute, mancano ancora le regole del gioco. Secondo la ricostruzione fatta da Foodwatch, infatti, nel 2006 era stata introdotta quella che è ancora
la norma di riferimento del settore, la European Nutrition and Health Claims Regulation EC 1924/2006 (NHCR) , che mirava proprio a mettere fine all’uso ingannevole di falsi messaggi salutistici. Nella pratica, però, è successo il contrario.
Secondo la legislazione in vigore le società del settore hanno l’autorizzazione di utilizzare solo messaggi salutistici che siano "scientificamente comprovati", ma l’Unione Europea non ha mai stabilito i criteri nutrizionali che gli alimenti dovrebbero rispettare per permettere l’uso proprio di questi claim. E così, scrivono i ricercatori, «è ancora perfettamente legale per le aziende alimentari utilizzare claim nutrizionali e salutistici per fare marketing a prodotti che contengono troppi grassi, sale o zuccheri per essere considerati salubri e nutrienti».
E c’è di più. Lo scorso 12 aprile, il Parlamento Europeo ha invitato la Commissione a «riesaminare la base scientifica, l’utilità e la fattibilità di tale regolamento (il CE n. 1924/2006,
ndr) nonché eventualmente a eliminare il concetto di profili nutrizionali» . Un passo indietro, dunque, che potrebbe mettere a rischio un nodo importante nella difesa dei consumatori.
Secondo il professor Migliaccio, «dovremmo batterci per ottenere l’approvazione dei profili nutrizionali». E ciò che davvero servirebbe, a questo punto, è «inserire nelle etichette nutrizionali delle informazioni chiare, che possano essere interpretate facilmente dal cittadino medio». Marco Ratti,l’espresso
Broccoli e mozzarella dall’estero, ecco i cibi più tossici
Sono scesi in piazza in oltre diecimila per dire basta alla mozzarella che si chiama "Capri", ma è prodotta negli Stati Uniti, e all’olio d’oliva "Vesuvio" che viene dai frantoi del Sudafrica. Oggi a Napoli la Coldiretti ha organizzato una manifestazione in difesa dei prodotti alimentari italiani e della dieta mediterranea, per denunciare che molti degli alimenti che finiscono sia sulle nostre tavole, sia su quelle
estere, non sono soltanto contraffatti, ma spesso nocivi. Diventa fondamentale, allora, tracciarli e identificarli ovunque si celino.
Una battaglia, la piena tracciabilità di ogni ingrediente, che vede il sostegno del ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali Maurizio Martina, che in una nota esalta la leadership dell’Italia "anche sul fronte dei controlli in campo agroalimentare, punto irrinunciabile della nostra competitività e distintività". "Negli ultimi due anni - sottolinea il ministro - abbiamo effettuato più di 250mila verifiche in tutta la filiera, anche sui prodotti che entrano nel nostro Paese. Vogliamo garantire al massimo la tutela del consumatore e per raggiungere questo obiettivo è importante lavorare sempre di più anche su un fronte cruciale come quello della tracciabilità e dell’etichettatura. È un lavoro in linea con la promozione del modello agricolo italiano che fa della sostenibilità una pratica quotidiana e che vede l’Italia all’avanguardia nella
riduzione dei fitofarmaci e nel contenimento delle emissioni di gas serra".
La manifestazione. Gli agricoltori si sono dati appuntamento al Palabarbuto e mentre all’interno si alternavano le dichiarazioni, fuori c’erano i pizzaioli acrobatici e i casari che preparavano la mozzarella, mentre i banchi esponevano i prodotti più contraffatti. La Campania è infatti  la regione i cui alimenti di qualità sono più spesso copiati e immessi sui mercati nazionali ed esteri da produttori che nulla hanno a che vedere con la Regione o con i protocolli di Dop e Igp. I manifestanti chiedono infatti  l’etichetta di origine, la salvaguardia di prodotti come il pomodoro San Marzano e, appunto, la mozzarella, in assoluto due tra i cibi più copiati e contaminati.
I cibi più tossici. A preoccupare gli agricoltori non è soltanto la concorrenza sleale, ma anche il danno che viene alla nostra salute, perché molti dei cibi contraffatti non perdono soltanto in sapore e valori nutrizionali, ma
poiché prodotti in condizioni non controllate possono essere dannosi per la salute. Che c’è di più salutare dei broccoli, pensiamo nel metterli nel carrello della spesa, da tempo indicati come protettori contro il cancro, e non sappiamo che in realtà mangeremo un concentrato di residui chimici, visto che la verdura proviene non dalle nostre campagne ma dalla Cina. Proprio i broccoli sono in testa alla black list di Coldiretti per irregolarità riscontrate, seguiti dal prezzemolo vietnamita, il basilico indiano, le melegrane egiziane, il peperoncino thailandese. Inquieta davvero vedere come i prodotti incriminati siano di largo consumo sulle nostre tavole. E mentre i fruttivendoli sono obbligati a indicare la provenienza delle merci, questo non accade per i prodotti lavorati, per cui se si acquista un vasetto di basilico l’etichetta non è tenuta a precisare da dove proviene l’ingrediente principale.
Il dossier. Con la quasi totalità (92%) dei campioni risultati irregolari per la
presenza di residui chimici, come detto sono i broccoli provenienti dalla Cina il prodotto alimentare meno sicuro, ma a preoccupare è anche il prezzemolo del Vietnam con il 78% di irregolarità e il basilico dall’India che è fuori norma in ben 6 casi su 10. La "Black list dei cibi più contaminati" presentata dalla Coldiretti è stata stilata sulla base delle analisi condotte dall’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (Efsa) nel "Rapporto 2015" sui Residui dei Fitosanitari in Europa.Il primato negativo della Cina non è una novità, anche nel 2015 da lì proveniva il maggior numero di prodotti irregolari, contaminati da micotossine, additivi e coloranti fuori legge.
Alimenti contaminati. Se nella maggioranza dei broccoli cinesi è stata trovata la presenza in eccesso di Acetamiprid, Chlorfenapyr, Carbendazim, Flusilazole e Pyridaben, nel prezzemolo vietnamita - sottolinea la Coldiretti - i problemi derivano da Chlorpyrifos, Profenofos, Hexaconazole, Phentoate, Flubendiamide mentre il
basilico indiano contiene Carbendazim, che è vietato in Italia perché ritenuto cancerogeno.Nella classifica dei prodotti più contaminati elaborata alla Coldiretti ci sono però anche le melagrane dall’Egitto che superano i limiti in un caso su tre (33%), ma fuori norma dal Paese africano sono anche l’11% delle fragole e il 5% delle arance, che arrivano peraltro in Italia grazie alle agevolazioni all’importazione concesse dall’Unione Europea. Con una presenza di residui chimici irregolari del 21% i pericoli - continua la Coldiretti - vengono anche dal peperoncino della Thailandia e dai piselli del Kenia contaminati in un caso su dieci (10%). I problemi riguardano anche la frutta dal Sud America, come i meloni e i cocomeri importati dalla Repubblica Dominicana che sono fuori norma nel 14% dei casi per l’impiego di Spinosad e Cypermethrin e il 15% della menta del Marocco.
L’eccellenza italiana. "L’agricoltura italiana- sostiene la Coldiretti - è la più green d’Europa con 281 prodotti a
denominazione di origine (Dop/Igp), il divieto all’utilizzo degli ogm e il maggior numero di aziende biologiche, ma è anche al vertice della sicurezza alimentare mondiale con il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici irregolari (0,4%), quota inferiore di quasi 4 volte rispetto alla media europea (1,4%) e di quasi 20 volte quella dei prodotti extracomunitari (7,5%)". Un’eccellenza che viene spesso messa in difficoltà dalla concorrenza sleale di produttori non altrettanto trasparenti: "Non c’è più tempo da perdere e occorre rendere finalmente pubblici i flussi commerciali delle materie prime provenienti dall’estero per far conoscere anche ai consumatori i nomi delle aziende che usano ingredienti stranieri", ha sottolineato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che "bisogna liberare le imprese italiane dalla concorrenza sleale delle produzioni straniere realizzate in condizioni di dumping sociale, ambientale con rischi concreti per la sicurezza alimentare dei cittadini".
Pizze taroccate. Dalla mozzarella lituana al concentrato di pomodoro cinese, passando per l’olio tunisino e il grano canadese, quasi due pizze su tre servite in Italia sono ottenute da un mix di ingredienti provenienti da migliaia di chilometri di distanza, senza alcuna indicazione per i consumatori. Nel 2015 - emerge dal dossier - sono infatti aumentate del 379% le importazioni di concentrato di pomodoro dalla Cina, che hanno raggiunto circa 67 milioni di chili nel 2015, pari a circa il 10% della produzione nazionale in pomodoro fresco equivalente, ma a crescere del 279% sono state anche le importazioni di olio di oliva dalla Tunisia mentre c’è stato un incremento del 17% dei prodotti caseari destinati alla trasformazione industriale e, tra queste, soprattutto le cagliate provenienti dalla Lituania e destinate a produrre mozzarelle senza alcuna indicazione sulla reale origine in etichetta. E i primi dati del gennaio 2016 non sono incoraggianti
neanche sul fronte delle importazioni di grano tenero, con l’aumento di mille tonnellate delle importazioni dall’estero. La pizza sviluppa un fatturato di 10 miliardi di euro in Italia, dove ogni giorno si sfornano circa 5 milioni di pizze per un totale di 1,8 miliardi all’anno. In termini di ingredienti significa - stima la Coldiretti - 200 milioni di chili di farina, 225 milioni di chili di mozzarella, 30 milioni di chili di olio di oliva e 260 milioni di chili di salsa di pomodoro. Che molto spesso non sono italiani, con buona pace del nostro prodotto simbolo. Cristina Nadotti,repubblica