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Se il diritto all’aborto c’è solo sulla carta |
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Nei giorni scorsi una ragazza giovanissima è deceduta a Napoli al termine di un’interruzione volontaria di gravidanza. Il Ministero della Salute e la magistratura stanno indagando; il primo per accertare che non vi siano state criticità durante lo svolgimento dell’intervento e nella fase post operatoria, la seconda ricostruirà dinamiche e responsabilità. Quando accadono tragedie come questa, probabilmente senza alcun nesso di causalità, il pensiero va allo stato della 194, una legge introdotta nel 1978, grazie anche alle campagne condotte dai radicali e da “l’Espresso”, e confermata nel 1981 dai cittadini attraverso un referendum abrogativo. Gli italiani hanno scelto, nel 1981, che fosse un diritto della donna decidere se portare a termine una gravidanza o meno, trattandosi del suo corpo. Hanno deciso che bisognava mettere un punto agli aborti clandestini, che costituivano pratiche degradanti e pericolose, e ai viaggi della speranza. Sono trascorsi 38 anni e ancora esistono centri che praticano aborti clandestini, anzi, l’assunzione di farmaci fai-da-te che hanno come effetto collaterale provocare contrazioni uterine che portano all’aborto, sarebbe diventata una prassi diffusissima, e sono tornati attuali i viaggi della speranza, che vedono donne macinare centinaia di chilometri per poter abortire nei tempi previsti dalla legge. E percorrono in lungo e largo l’Italia alla ricerca di una struttura che garantisca il rispetto di un diritto riconosciuto dalla legge. Giornalismo significa fare un lavoro utile e necessario di informazione, in questo senso il servizio di Elena Stramentinoli, trasmesso da Presadiretta su Raitre, è un capitolo imprescindibile nella storia della legge 194, e testimonia il tradimento della volontà popolare, lo spregio per la libertà di scelta e per la dignità della donna. Stramentinoli fotografa una realtà agghiacciante, in cui le percentuali di obiezioni di coscienza dei ginecologi sono altissime, tanto da diventare obiezione di struttura, perché in molti ospedali non c’è nessun medico che pratichi l’aborto. Il racconto, attraverso le voci dei protagonisti – donne che fanno file di ore in condizioni di estremo disagio, medici abortisti, direttori sanitari di strutture convenzionate che praticano l’aborto – restituisce uno spaccato di disumanità sconcertante in cui si muove la donna che dovesse decidere di interrompere una gravidanza. È come se le venisse costantemente detto: colpa tua, se non volevi essere trattata in questo modo la gravidanza la portavi a termine, sei tu che hai deciso, ora non ti lamentare, vuoi che ti sia garantito il diritto ad abortire? Patisci ciò che implica per te l’averlo acquisito. Una eterna punizione. Sofferenza. Come se fosse normale dover pagare un prezzo psicologicamente insostenibile per aver deciso di non volere o di non potere avere un figlio. E il medico abortista che ancora oggi in Italia è considerato un medico imbarazzante, un medico che si arricchisce generando morte. Tutto questo ci restituisce l’immagine di un Paese profondamente arretrato, terribilmente succube di logiche proprie della peggiore spiritualità possibile, perché non credo esista una religione che preveda tra le sue pratiche abituali la crudeltà. Non credo che esista religione che non contempli tra le proprie pratiche e abitudini la comprensione, l’empatia, la vicinanza verso chi soffre. Ci sono paesi in cui quando un medico sceglie di specializzarsi in ginecologia, se ha intenzione di optare per l’obiezione di coscienza, viene invitato a cambiare indirizzo perché le priorità sono queste: prima la libertà della donna di decidere del proprio corpo, poi il diritto della donna a poter interrompere se lo desidera e se ne ha necessità una gravidanza, e poi la libertà del medico di non voler eventualmente praticare aborti. E questo ordine delle priorità non dovrebbe nemmeno essere oggetto di discussione. Eppure, oggi, è profondamente umiliante dover parlare ancora di mancata applicazione della legge 194. Nel Paese delle questioni morali, della politica agli onesti, delle beghe di partito e delle beghe tra partiti, dove tutto si riduce alla competizione elettorale più sterile, nel Paese dove ci si muove guerra al grido di “Onestà! Onestà!”, non c’è tempo per occuparsi delle leggi non rispettate, degli articoli della Carta sociale europea traditi. Perdiamo ogni speranza nel Paese delle mafie che con 80 euro comprano voti e democrazia e del governo che con 80 euro compra effimero consenso nel vano tentativo di alimentare una bolla di fiducia, che però assomiglia alla boccata di ossigeno offerta a un anziano ammalato.Roberto Saviano.l’antitaliano |
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