Gattopardi di provincia: aboliti gli enti, non è cambiato nulla
 











Il principe dei Gattopardi è uno come Fabrizio Sala. No, non è un refuso di stampa. Il nome del principe siciliano era Fabrizio Salina, certo, ma solo nel famoso romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Il nostro Gattopardo di provincia, quasi omonimo, viene dalla Brianza. «Cambiare adesso con Sala si può», promette il motto sui suoi manifesti con lo stemma del Popolo delle libertà.
Non conoscete Fabrizio Sala? Appunto. L’importante è che lo conoscano loro: l’amico Paolo Berlusconi, il fratello Silvio con cui il principe si fa fotografare prima delle elezioni, l’onorevole da aiutare nella ricerca di una casa, insomma tutti quelli che da vent’anni militano nel cambiamento perché l’Italia rimanga com’è.
Ed eccolo, da assessore provinciale all’Ambiente e alle bonifiche a Monza, riapparire accanto al governatore della Lombardia, Roberto Maroni: sì, oggi il principe dei Gattopardi è assessore regionale all’Expo e all’immagine delle imprese lombarde
nel mondo.
È riuscito a svignarsela dalla Provincia. Dal 2013 rappresenta l’esposizione mondiale di Milano per conto della Regione. E chissà se, come eredità, Sala, 43 anni, si è portato anche il mucchio di soldi e il conto aperto con il costruttore che a Monza le bonifiche le aggirava facendo taroccare i documenti. Nessun reato contestato all’assessore, per carità. Solo coincidenze.
Mettetevi comodi. Perché questo viaggio nel caos dell’intramontabile Provincia attraversa l’Italia. Da Nord a Sud, isole comprese. Un momento, però. Le Province non dovevano sparire? Già: «Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi», è scritto nell’immortale romanzo. Partiamo. Non ci sono soltanto principi. I Gattopardi hanno pure i loro re.vedi anche:
I vizi delle vecchie province
Da Monza a Vibo Valentia, spese e sprechi sopravvivono indisturbati. Mentre entro fine mese vanno liquidati ventimila dipendenti di troppo
Il titolo va a pari merito ai due dipendenti incontrati
nella sede della Protezione civile della Provincia di Napoli: la mattina di lunedì 16 febbraio alle 11.25 fanno beatamente la nanna. Uno accasciato sulla scrivania in ufficio, l’altro stravaccato sulla poltroncina accanto. Meno male che un loro collega è sveglio: sta guardando attentamente un cartone animato alla tv. Almeno non la tengono accesa per nulla.
E il capo dov’è? Ah, eccolo in cortile a dire che lui riceve «mille e duecento euro al mese e non riesco nemmeno a vivere... Cioè, mi vai a impegnare a me che sono operaio specializzato con un lavoro che non mi dà allegria, non dà gioia...». Forse il cartone animato non lo faceva ridere.
Dovrebbero tenere puliti e pronti all’uso il grande capannone e i locali dove ospitare i senzatetto e i materiali di soccorso in caso di calamità: il rischio Vesuvio, terremoti, alluvioni. Questa è una base operativa della Protezione civile. La loro divisa blu è linda come il vestito di uno sposo. Mentre capannone e locali fanno letteralmente
schifo. Ridotti in quel modo sono inutilizzabili come rifugio per gli sfollati: spanne di guano di piccione, macerie, rifiuti ovunque, vetrate rotte, cavi elettrici strappati.
A Vibo Valentia, quattro ore di autostrada più a Sud, per milleduecento euro al mese farebbero festa: qui i Gattopardi si sono mangiati la cassa, la Provincia è in dissesto e gli impiegati non ricevono lo stipendio da cinque mesi. Per questo a pranzo ci si ritrova in un garage, davanti a una ruspa irreparabile perché non ci sono soldi. Cuociono sulla brace salsicce comprate con la colletta. Solidarietà tra colleghi: anche oggi, chi non può permettersi di fare la spesa ha evitato la fame.
La famiglia dei Gattopardi di Provincia costa cara. Ma c’è posto per tutti: assessori, consiglieri, dirigenti, funzionari, amici, operai, assenteisti, dormiglioni e poliziotti, cioè agenti della polizia provinciale, la settima forza pubblica, ultima esosa invenzione del federalismo di quartiere.
In questa Italia che
cambia per rimanere quella di sempre, trovi anche un famoso procacciatore di spogliarelliste: famoso per i gestori di locali di lap-dance e per i compagni di lavoro che hanno visto il custode timbrare il cartellino in una scuola della Provincia, a Vimercate in Brianza, e poi mettersi al telefono (della scuola) a organizzare spettacoli.
ANNUNCI E REALTA’
La più grande riforma del governo dopo il Senato, avevano detto. Sarebbe questione di mesi, secondo l’ottimistico piano del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, e della ministra per la Pubblica amministrazione, Marianna Madia. Il 31 marzo le Province devono presentare le liste dei soprannumerari. Li chiamano come i membri dell’Opus Dei, forse il lapsus di qualche alto burocrate devoto: ma è l’elenco del personale in esubero che sarà trasferito, messo in mobilità o collocato a riposo dal 31 dicembre 2016.
Sono quasi ventimila persone sui 54.242 dipendenti provinciali assunti in tutta Italia, di cui
51.968 a tempo indeterminato e 1.200 dirigenti. In contemporanea arrivano i tagli alla spesa: 2,9 miliardi già persi dal 2009, via un altro miliardo nel 2015, via due miliardi nel 2016, via tre miliardi nel 2017. A parità di servizi, però, e quindi di costi: strade (piene di voragini), manutenzione e riscaldamento nelle scuole (al minimo), trasporti (ridotti), assistenza ai disabili (quasi inesistente), stipendi (in ritardo).
Le Province di Biella e Vibo Valentia hanno dichiarato il dissesto. Molte altre, come Novara, Verbano, Imperia, Ascoli, Chieti, Potenza, Lecce hanno formalizzato la mancata copertura delle spese. Numeri in pareggio solo in apparenza ad Alessandria, La Spezia, Bologna, Teramo, Isernia, Foggia, Messina, Siracusa: in realtà nell’esame di fine 2014 la Corte dei conti ha rilevato che anche quei bilanci sono fuori equilibrio. E per risparmiare su luce e riscaldamento, da Milano a Bergamo si sta discutendo se introdurre la settimana corta nelle scuole provinciali. Un
disastro.
ALLE PORTE DEL CAOS
Avanti di questo passo la «road map», come hanno definito il programma dandogli lo stesso nome del processo di pace in Palestina, rischia di trasformarsi in una drammatica Intifada: la protesta sta per riunire studenti lasciati al freddo, dipendenti disperati, fornitori non pagati sull’orlo del fallimento. E relative famiglie.
Presto sapremo se Matteo Renzi passerà alla storia come il premier delle riforme. Oppure il principe del caos. E per dimostrare di essere sulla strada del risparmio, anche la Provincia di Reggio Calabria è stata promossa città metropolitana. Reggio Calabria una metropoli? Certo, se lo vogliono i Gattopardi, Reggio diventa una metropoli: appena 180 mila abitanti il capoluogo, 550 mila la provincia, conti sottozero e debiti fuori bilancio.
Già, i debiti fuori bilancio. Ecco un’altra eredità delle Province. Sono costi dovuti a imprevisti: sentenze di condanna, liti nell’acquisizione di beni, disavanzi nelle aziende
controllate. Fanno 186 milioni nel 2013, ultimo rilevamento, suddivisi tra 75 enti: 12 euro per abitante in Sicilia, 7 in Liguria, quasi 6 in Abruzzo. Un aumento medio dell’80 per cento rispetto al 2012. Ma in Basilicata raggiunge il 934 per cento, in Campania il 714, in Sicilia il 584, il Liguria il 492.
Una massa consistente «che non compare nelle scritture contabili», denuncia la Corte dei conti, «e rende i bilanci non veritieri». Eppure, questo strangolamento a mani nude delle Province alla fine inciderà soltanto sull’1,26 per cento della spesa pubblica nazionale: dieci miliardi da ridurre a meno della metà. Il grosso, 562 miliardi destinati all’amministrazione centrale e 163 miliardi alle Regioni, non verrà toccato. Resteranno compensi e vitalizi da favola a parlamentari, segretari, sottosegretari e deputati regionali. I Gattopardi, certo, ringraziano. Andiamo avanti.
Vimercate, incrocio di superstrade e di clan della ’ndrangheta, è sulla via che da Milano porta ad Arcore. È
qui che potete incontrare un dipendente della Provincia di Monza con due lavori: di giorno custode dell’istituto scolastico più grande della zona e sempre di giorno procacciatore di spogliarelliste. Come fa? Lui certo non dorme in ufficio. Le ragazze vanno ingaggiate prima che tramonti il sole. La sera devono essere già pronte per lo spettacolo.
A volte succede che davanti alla scuola arrivi l’autocisterna con il gasolio per il riscaldamento. E il custode non si trova. Ha timbrato il cartellino, è vero. Ma lui non c’è, confessano i colleghi. Tanto il suo stipendio lo paga la Provincia. Cioè i cittadini. Sicuramente le spogliarelliste sono meno pericolose dei mafiosi cresciuti in Brianza. Lo ha capito Rosario Perri, primo assessore al Personale della Provincia monzese, costituita soltanto nel 2009. E primo a dimettersi nel giro di un anno: l’hanno tirato in ballo nell’operazione «Infinito» alcune confidenze telefoniche tra boss della ’ndrangheta. Lui dice che straparlavano, ma ha
dovuto lasciare.
ISERNIA CON LENTEZZA
Un viaggio di 740 chilometri e in fondo alla valle appare Isernia, Molise, la seconda provincia più piccola d’Italia: 87 mila abitanti, 22 mila il capoluogo e la metà dei comuni compresa tra i 127 e i 796 residenti. Ciascuno con i suoi sindaci, assessori, consiglieri, segretari, municipi, uffici tecnici, anagrafe, vigili, elezioni, ordinanze. Questa è la cronaca di una giornata qualunque in via Giovanni Berta, sei piani di palazzo grigio, sede dell’amministrazione provinciale e quasi due milioni e mezzo di debiti fuori bilancio.
Alle 8.28 un impiegato timbra il cartellino. Poi esce a comprare il giornale. Tre colleghi timbrano alle 8.29, salgono in ufficio. Alle 8.40 camminano tutti insieme verso il bar Sayonara. Caffè, chiacchiere. Alle 8.55 uno va via. Alle 9.02 solo i due rimasti ritornano in ufficio. Oggi l’Ordine dei commercialisti ha organizzato un convegno: l’amministrazione degli enti locali, è l’argomento. Per fare numero hanno
invitato quattro scolaresche delle superiori. Ma la sala sotto la biblioteca è troppo piccola. Il magazziniere della Provincia porta le sedie avanti e indietro. Gran baccano e discussione tra funzionari e professori fino alle 9.50. Gli studenti vengono mandati via, mattinata persa. Il convegno può cominciare: tre relatori, otto partecipanti, tre sul balcone a fumare. L’ufficio turistico apre alle 9 tutti i mercoledì, dice il cartello. Sono quasi le 11, è mercoledì. Ufficio turistico chiuso.
IL MONUMENTO DELLO SPRECO NAZIONALE
Roma non è lontana. Dal primo gennaio la Provincia ha lasciato il posto alla Città metropolitana di Roma Capitale. L’eredità comunque resta a carico dei cittadini. A cominciare da un bell’impegno di 263 milioni: l’acquisto della nuova sede unificata, la Torre Parnasi, dal nome della famiglia di costruttori e proprietari dell’area.
E i soldi? Arriveranno dalla vendita degli uffici storici: i palazzi di prestigio del centro saranno ceduti per trasferire
personale, sportelli e servizi in un’area di estrema periferia all’Eur, lontana dalla metropolitana, tra un centro commerciale e la superstrada. Insomma, per il momento la spesa è certa, le entrate ancora no. I romani devono ringraziare il presidente provinciale Enrico Gasbarra, che ha dato il via all’operazione Parnasi. E il suo successore Nicola Zingaretti, attuale presidente della Regione Lazio, che l’ha portata a termine.
Sul suo sito, elencando i meriti della scelta, Zingaretti ammette che «l’idea è stata avviata dalla precedente amministrazione» e che solo così ha potuto evitare «una salatissima penale». Scherzi tra Gattopardi e principi del Pd. Torniamo nell’elegante sede presidenziale di palazzo Valentini, sopra le Domus romane a due passi da piazza Venezia.
Piani alti. L’usciere seduto in corridoio si occupa di cose private sul computer portatile. Sì, qui mantengono ancora gli uscieri come ai tempi di Alberto Sordi, Totò e i re di Roma. Ultimo sguardo al piano terra, la
sala operativa della polizia provinciale. Porta aperta. Gli affreschi bellissimi e la stanza con il tavolo di faggio e il maxi schermo. La chiamano ancora sala Odevaine, dal nome dell’ex comandante Luca Odevaine arrestato a dicembre con il boss fascista Massimo Carminati per l’operazione «Mafia capitale».
Su questo stesso piano, al di là della parete divisoria, c’è anche la sala operativa della prefettura. A un chilometro, la sala operativa del ministero dell’Interno. A un chilometro e cento metri, la sala operativa della questura. La più alta concentrazione europea di monitor, video, personale di turno giorno e notte, telecamere piazzate ovunque. È così che pochi giorni fa, su questi stessi schermi, hanno potuto assistere all’arrivio indisturbato dei tifosi olandesi. E alla devastazione di piazza di Spagna.
IL WEEKEND DEGLI AGENTI
A Napoli la polizia provinciale, 150 dipendenti, ha addirittura una motovedetta. «Ci tengo a ribadire che in Italia siamo forse l’unica polizia
provinciale a possedere un parco nautico così importante», dice Alberto Bouchè, dirigente promosso al grado di comandante della polizia navale della Provincia. A guardarla meglio la presunta motovedetta è un piccolo e comodo yacht cabinato, buono per portare i turisti in gita a Capri. Quella di Napoli è anche l’unica polizia provinciale ad avere una parcheggiatrice abusiva davanti al proprio comando.
«Noi siamo riconosciuti come una delle forze più cattive sul territorio rispetto ai reati ambientali», assicura la comandante, Lucia Rea, «questo ce lo riconosce il comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza». Magari. Basta scegliere l’entroterra di Pompei, meta mondiale del turismo. Superata la strada panoramica, si sale a piedi lungo una mulattiera. Siamo nel parco nazionale del Vesuvio, un gioiello naturale. C’è soltanto questo stretto passaggio. Non sarebbe difficile bloccare l’accesso di auto e furgoni. Invece vengono qui a scaricare rifiuti industriali, fusti tossici, vecchi
mobili, amianto, migliaia di barattoli di olio e pelati, scarti di verniciatura, frigoriferi. Strati di plastica colorata si alternano alla roccia lavica fin sotto la splendida pineta che abbraccia il vulcano.
All’ombra del sottobosco appaiono da lontano distese di funghi colorati. Da vicino si trasformano in quello che sono: colli di bottiglia che spuntano dal terreno. È il paesaggio di Marcovaldo inventato da Italo Calvino. Eppure ad appena cinque chilometri la polizia provinciale ha il suo comando distrettuale. Nei fine settimana, quando aziende e artigiani si liberano dei rifiuti, l’ufficio ovviamente è chiuso.
Due anni fa la tv della Provincia (sì, hanno anche la tv) ha girato proprio qui un documentario su Lucia Rea e i suoi agenti. Esclusi i tubi di eternit e un’auto abbandonata che hanno fatto rimuovere, dal giorno delle riprese tutto il resto non si è mosso. E molto altro si è aggiunto. «Chiediamo a questo punto anche l’intervento delle altre forze, come i carabinieri,
come la polizia», dice Andrea Valente, comandante del distretto di Nola. Pure loro alla fine devono chiamare la polizia. Quella vera. E che ne sarà delle migliaia di agenti provinciali sparsi per l’Italia?
LA PROTEZIONE CIVILE
Molti nuclei hanno dato ottimi risultati. Quindi resteranno. E forse si occuperanno di Protezione civile. Come gli operatori della base di via Cupa del Principe, periferia di Napoli. Con la trasformazione della Provincia in città metropolitana, i dipendenti della Protezione civile sono già passati al Comune.
C’è adesso il dirigente? «No, pare che non è venuto», risponde il caposquadra degli addetti alle pulizie e alla manutenzione. Due dei suoi uomini continuano a dormire in ufficio, il terzo guarda i cartoni animati in tv. Dovrebbero andare a rimuovere la sporcizia, le bottiglie, i rifiuti, gli anni di guano di piccione accumulati sulle scale. E magari anche riparare, dove è possibile, i buchi nel tetto, le finestre sfondate.
Napoli è una delle città
italiane più a rischio. Una base della Protezione civile non può essere ridotta a questo schifo. Si fa avanti il più alto in grado. Stavo vedendo in quali condizioni tenete la sede... Lui ride: «Infatti è meglio non vederla». Lei è il responsabile? «Il responsabile sta in ferie. E poi il dirigente sta a San Giacomo, la direzione. Qui c’è solo la struttura operativa per Napoli».
Dovrebbero fare tutti un pellegrinaggio a Vibo Valentia. I dipendenti pubblici non hanno cassa integrazione. Luca Greco, 52 anni, ufficio concessioni della Provincia di Vibo, Bruno Schipano, 47, ufficio ragioneria, Ornella Zappiato, 50, avvocato dell’ufficio legale, e tutti i loro colleghi non vedono soldi da novembre. Fanno i turni per le pulizie degli uffici. Lavorano al freddo. Oppure si raccolgono nell’aula del consiglio. È l’ora di pranzo. Adesso ci si sposta nel garage dei mezzi. Anche oggi salsicce, pane e formaggio. Un bicchiere di vino. Fuori piove, vengono tutti qui. Non solo per mangiare: in tutta
la sede, l’unica fonte di calore è la brace sotto la griglia. Fabrizio Gatti,l’espresso