La Grecia e la suggestione di uscire dall’Euro Quanto è credibile lo scenario di una Grexit?
 











Sulla Grecia il pessimismo di Stefano Fassina non è così infondato. «Dati i vincoli politici che abbiamo riscontrato in queste settimane a Bruxelles e a Berlino» dice alla Stampa il deputato del Pd, «temo che sia molto complicata una svolta dentro l’euro per la Grecia». E poi: «Se vuole sopravvivere, e se la sinistra greca vuole sopravvivere, dati i vincoli politici che vi sono oggi nell’Eurozona, temo che per la Grecia non vi sia altra possibilità che uscire».
Con l’Espresso, il professor Emiliano Brancaccio, economista, scende però un po’ più nei particolari: «Se le condizioni poste delle istituzioni europee dovessero rendere impossibile una politica di ripresa dell’occupazione», dice Brancaccio, «c’è il forte rischio di una caduta del consenso attorno al governo Tsipras, anche perché, come noto, buona parte del boom elettorale di Syriza è dovuto alla crisi del Pasok. A Syriza i greci hanno chiesto di stabilire uno scarto rispetto ai
predecessori, e questo è al tempo stesso la forza e la debolezza di Tsipras». Insomma, «se nei prossimi mesi la Bce e le altre istituzioni europee metteranno Tsipras con le spalle al muro, magari minacciando anche una interruzione della liquidità di emergenza, Syriza si troverà di fronte al bivio tra un fallimento politico e una decisione estrema, inclusa l’uscita dall’euro».
Viene quasi da chiedersi se l’Euro, questa Europa, sia compatibile con la sinistra. «L’impianto delle politiche europee è fondato sulla deflazione, cioè sull’abbattimento della spesa pubblica e dei salari», è ancora l’idea di Brancaccio, «ed è chiaro che in questo quadro emerge una drammatica incompatibilità con qualsiasi istanza di tutela del lavoro e dei soggetti sociali più deboli».
Simile è la valutazione di un altro analista economico di sinistra, il presidente del Centro Europa Ricerche, Vladimiro Giacché: «Questi quattro mesi di tempo dati alla Grecia rischiano di vedere esplodere più le
contraddizioni interne a Syriza che quelle nel blocco Eurotedesco. La parabola del Pasok è un rischio replicabile, perché se si continuerà a passare per la strada della deflazione salariale è chiaro che è una strada incompatibile con la tenuta del consenso dei partiti di sinistra, oltreché, come si è visto, economicamente distruttiva».
Diverso è però il discorso se si parla specificatamente dell’uscita dall’Euro. «Lo abbiamo detto e ripetuto in tanti, l’attuale assetto dell’eurozona è insostenibile. Non sappiamo se il primo paese a chiamarsi fuori sarà proprio la Grecia, ma anche questa ipotesi va messa nel conto» continua Brancaccio, che è pure autore di un blog per l’Espresso. Ma bisogna porsi davanti ad alcuni problemi. E se Fassina dice che «è ovvio che ci sarebbero costi di breve periodo che possono essere elevati, ma lungo la strada che è stata impostata non ci sono soluzioni: l’impatto arriverà e, temo, in condizioni peggiori di quelle di ora», Brancaccio è ovviamente più
tecnico: «Stando alle evidenze empiriche, la difficoltà principale di una uscita dall’euro della Grecia consisterebbe nella capacità o meno del paese di tenere sotto controllo il saldo tra esportazioni e importazioni. Solo se ci riesci allora puoi evitare di chiedere nuovi prestiti ad altri paesi. Per la Grecia si tratterebbe di un obiettivo cruciale, anche perché non avrebbe molto senso fare default, uscire dall’euro e poi trovarsi a chiedere altro denaro agli stessi paesi ai quali hai appena detto "non intendo onorare più i vecchi debiti"».
Da qui, il problema dei problemi: «In Grecia il controllo del saldo estero è complicato dagli effetti della disastrosa cura europea. Imponendo un crollo della spesa pubblica di 25 punti percentuali e dei salari monetari di 20 punti in cinque anni, la ricetta della Troika ha depresso la domanda a tal punto da avere distrutto buona parte della base produttiva del Paese. La conseguenza è che, se la Grecia uscisse dall’Euro e applicasse politiche
per l’espansione della domanda interna, questa si tradurrebbe, almeno per i primi anni, soprattutto in importazioni».
L’implicazione è quindi seria: «Se la Grecia esce dall’Euro avrà dunque bisogno di finanziamenti esteri per gestire la transizione. Ad oggi si è fatta avanti la Russia. Credo sia il primo segnale di una trasformazione di quella che ad oggi è stata una crisi essenzialmente economica in una potenziale crisi di natura geopolitica».
Sull’uscita dall’Euro della Grecia Vladimiro Giacché è più deciso: «Condivido il giudizio di Fassina sulla inevitabilità dell’uscita dall’Euro, almeno alla luce di quello che è avvenuto finora, alla chiusura dell’Europa alle richieste della Grecia». Secondo Giacché, autore di Titanic Europa e Anschluss, «lo scenario che si prefigura è caratterizzato da quattro mesi in cui qualunque istanza progressiva della Grecia, infatti, verrà interpretata come i soliti levantini del sud Europa che vogliono aggirare gli accordi, e non saranno affrontati
i problemi che Tsipras poneva, della conferenza sul debito e del piano degli investimenti».
«Il debito della Grecia è un debito impagabile» è il dato da cui parte Giacché, «e su questo, rispetto al 2011, c’è un elemento di rigidità in più degli stati, che ora hanno in pancia crediti di fatto inesigibili che prima erano nei portafogli delle banche francesi e tedesche (rispettivamente 78 e 45 miliardi). Il cosidetto salvataggio della Grecia del 2010 è stato in realtà un salvataggio delle banche tedesche e francesi. II debito greco non è stato tagliato ma solo trasferito. E poi aumentato, per di più imponendo in cambio misure economiche che hanno messo in ginocchio l’economia greca». E il gioco non può tenere, dunque, «finché si continua ad applicare un principio che nel mondo bancario non sarebbe ammesso, ignorando il fatto che dove c’è un debitore inaffidabile c’è sempre anche un creditore incauto, e che il costo va quindi diviso. Meccanismo reso ancora più complicato appunto per il
fatto che la Bce e gli stati europei si sono sostituiti al creditore incauto».
Brancaccio solleva poi il problema del ruolo dell’Italia: «Nel programma di Syriza c’erano punti che potevano aprire interessanti contraddizioni sociali. Penso ad esempio al salario minimo, che poteva costituire un argine alla pretesa delle istituzioni europee di imporre un riequilibrio tutto a carico dei paesi debitori, a colpi di abbattimenti dei salari e della spesa». «Tuttavia» è la conclusione, «difendere il programma elettorale è difficile se la Grecia viene lasciata sola anche dai paesi del Sud Europa, che le somigliano molto più di quanto vogliano ammettere. Nel commentare la lettera della Grecia all’Europa il ministro Padoan ha assunto il comportamento tipico dei creditori, rallegrandosi del fatto che i greci manterranno l’impegno a saldare i vecchi debiti. Ma è alquanto bizzarro che l’Italia si atteggi da creditore. Il nostro paese è infatti creditore verso la Grecia ma è soprattutto un debitore
verso il resto del mondo e verso la Germania. Con simili posizionamenti facciamo solo il gioco dei tedeschi». Luca Sappino,l’espresso