Sanità, l’ingorgo delle barelle da nord a sud degli ospedali
 











Due stanze, piene di barelle, nel budello di via Filippo Maria Briganti. Ospedale San Giovanni Bosco. Due medici per settanta pazienti che arrivano a raffica. "Trattenetevi, lo verificherete".
Sette lettighe da un lato, sei dall’altro. Da una parte i pazienti del pronto soccorso, nell’altra area quelli che dovrebbero essere ospitati nei reparti: ma restano ricoverati, per giorni, proprio lì. Con i parenti che fanno le notti accanto ai malati seduti su un contenitore dei rifiuti, quello giallo, che si capovolge e diventa sgabello. Come Angela, afflosciata su quel sedile precario accanto alla madre cardiopatica.
Come Antonio, che veglia sul padre malato oncologico. E come Davide Errico, 40 anni, anche lui a sostenere un papà sfibrato da malattia e temporaneo alloggio ospedaliero. "Sì. Scriva pure tutti i miei dati, che siamo ricoverati clandestini nel pronto soccorso"  spiega Davide  per non stare nei corridoi: mio padre è su una
barella dopo i cicli di chemio e di radioterapia, fortuna che i medici sono umani e accoglienti, mentre il nostro specialista ci aveva raccomandato di venire qui perché almeno c’è l’Ematologia". Tutto nell’area della cosiddetta assistenza per le emergenze.
Altra tappa, altro girone. Le 14 di ieri. Ecco il San Giovanni Bosco: il primo presidio della (disastrata) periferia nord di Napoli esplode in un sabato qualunque di rigido febbraio. E sono passate solo due settimane dalla fine shock di Ernesto Biancolino, morto a 35 anni dopo 72 ore di barella esposto agli spifferi gelidi di una finestra coperta da un cartone, episodio su cui indaga la Procura. "Ma il vetro c’era, chissà chi si è inventato l’infisso rotto", martellano ora gli operatori.
Cartone o non cartone, cambia poco. Non c’è bisogno di fascicoli per notare un imbuto di sofferenza, malanni e proteste che assomiglia a un pronto soccorso. Un ingorgo di flebo, barelle e facce che chiedono di essere ascoltate. Una folla che
preme su tre infermieri e due poveri camici bianchi  oggi sono di turno i dottori Annamaria De Nicola e Fabrizio Morra: per la cronaca, entrambi precari a quasi 50 anni, con contratti a termine. Una contraddizione corale che si chiama, ma solo sulla carta, Uoc, Unità operativa complessa. Un posto dove i Lea che prescrive la legge, i cosiddetti livelli minimi di assistenza, sembrano uno sberleffo carnevalesco fuori tempo in faccia a questi pazienti. Come in Medicina, terzo piano: dove i pazienti in stanza dovrebbero essere 4 al massimo e sono 6 ogni giorno, contro ogni norma. Trenta malati per tre infermieri a turno.
"Basta, vi prego, mettetevi in coda  dice la dottoressa Annamaria, tono suadente  se venite in venti tutti su di me, non cureremo bene nessuno". E loro aspettano in fila indiana, come fossero alla cassa del market: una sedia a rotelle dietro una barella, dietro un’altra sedia a rotelle. Tutti in coda: un ventenne operato di fistola, la 70enne cardiopatica,
la ragazza con attacchi d’asma, i genitori con figlio a rischio di convulsioni. Intanto: il pronto soccorso è dimezzato dal cantiere per i lavori del triage, gli accessi hanno toccato per il 2014 quota 85 mila, i posti letto operativi sono 160. E l’occupazione media di barelle oscilla tra le 15 e le 20.
La de Nicola si ferma solo per dire: "Siamo sotto pressione, tutti. Ma la prego di dare conto che qui diamo il massimo. Ho girato varie città e ospedali. Quando sono venuta qui, da Firenze, è stato un impatto forte. Un po’ ingenua, cercavo la stanza rossa, la stanza blu (per i rispettivi livelli di gravità codificati dei pazienti, ndr)". Si è ritrovata, lei come tutti, con una "obi", l’area di osservazione breve intensiva, ridotta a un parcheggio di ricoverati in barella. "Però, va detto anche che quando troviamo un posto in un altro ospedale, il 90 per cento dei pazienti rifiuta. Forse in questo caos, in qualche modo, percepiscono che si fanno tutti gli sforzi possibili per
curarli".
Una platea eterogenea, spesso difficile: con tasso elevato di danneggiamenti. Così il San Giovanni Bosco spicca per l’altra casistica: risse o aggressioni ai medici. La prova? È in un foglio che tappezza l’ospedale da cima a fondo, un "avviso" che suona tragicomico. Attaccato in tutte le corsie, affisso anche nel cuore del pronto soccorso, recita: "Attenzione: si ricorda che offendere o aggredire verbalmente e/o fisicamente gli operatori costituisce reato. Pertanto gli atti di violenza saranno perseguiti". È la Legge che ricorda a se stessa, qui dentro, di esistere.Conchita Sannino
Neonata in coma per meningite, è gravissima. Ma per i medici era influenza
E’ stata dimessa dall’ospedale Maggiore di Bologna con una semplice diagnosi: influenza. Ma le sue condizioni hanno continuato ad aggravarsi e hanno obbligato i genitori a portare la loro bambina, di appena 40 giorni, nuovamente all’ospedale, questa volta al Sant’Orsola, dove i medici le hanno
diagnosticato una meningite. Ma per la piccola era ormai troppo tardi. E’ entrata in coma nel pomeriggio stesso del 16 febbraio, e da quel giorno le sue condizioni, seppur stabili, sono gravissime. I medici non hanno infatti dato alcuna speranza alla bambina. E i genitori ora stanno pensando di sporgere una denuncia contro l’ospedale Maggiore.
La piccina era stata portata in ambulanza all’ospedale la mattina del 16 febbraio. Dopo pochi minuti è stata visitata dai medici del Maggiore, che le hanno diagnosticato una febbre di natura gastroenterica o respiratoria. La piccola è tornata così a casa con i genitori, ma non ha smesso di piangere. La madre, preoccupata, ha contattato la pediatra di famiglia, che immediatamente dopo la visita ha detto ai genitori di correre al pronto soccorso. La bimba si trova ora in prognosi riservatissima al Sant’Orsola.
L’ospedale Maggiore ha spiegato che la mattina del 16 febbraio, quando la piccola è stata presa in carico alle 8.09 dal medico di
guardia, "il quadro clinico della bambina presentava caratteristiche del tutto analoghe ad un banale episodio febbrile di natura gastroenterica o respiratoria, e non vi era alcun segno che facesse sospettare, in quel momento, una patologia così grave come quella resasi evidente in tempi successivi. La valutazione clinica effettuata al pronto soccorso dell’Ospedale Maggiore - ha detto l’azienda Usl di Bologna - è stata scrupolosa e approfondita. Il quadro di esordio di un episodio di meningite può essere, infatti, assai insidioso proprio per la impossibilità di distinguerlo da patologie banali e benigne".
Questo è il secondo caso in pochi giorni di meningite a Bologna. Il 10 febbraio, infatti, è morta una bambina di nove mesi nel reparto di rianimazione pediatrica del Sant’Orsola, a causa di una forma molto grave di questa malattia che intacca il sistema nervoso centrale.
Influenza, manca personale addetto all’Ecmo: bimbo trasferito d’urgenza a Roma
Il
trasporto d’urgenza da Bari a Roma è avvenuto a bordo di un C130 dell’Aeronautica militare. Sono stati i militari della 46esima brigata decollati da Pisa a effettuare l’intervento salvavita per un bimbo salentino di quattro mesi. Il piccolo era ricoverato al pediatrico Giovanni XXIII di Bari con gravi problemi respiratori conseguenza del virus influenzale H1N1. Ma a far funzionare l’Ecmo, la macchina che funge da polmone artificiale, era rimasto un solo tecnico perfusionista. Dei due in servizio al pediatrico di Bari, infatti, uno è in malattia da dieci giorni, l’altro ha lavorato senza sosta per garantire assistenza al piccolo. Di qui la decisione di trasferire il bambino dal Giovanni XXIII di Bari al Bambin Gesù di Roma.
La richiesta d’intervento era arrivata dalla prefettura di Bari alla presidenza del Consiglio, che ha attivato l’Aeronautica. Il C-130J della 46esima brigata è decollato da Pisa poco prima della mezzanotte di venerdì e dopo una prima sosta a Roma è arrivato a Bari
intorno alle 2:30. Una volta imbarcato sia l’ambulanza con il piccolo che un’auto con l’equipe medica al seguito, il C130 è ripartito per atterrare all’aeroporto di Ciampino attorno alle 5 del mattino. L’ambulanza ha raggiunto il Bambin Gesù e il C-130J è rientrato a Pisa poco prima delle 8 di ieri.
"Purtroppo non avevamo altri tecnici a disposizione - ha spiegato il direttore generale del Policlinico-Giovanni XXIII di Bari, Vitangelo Dattoli, - ci eravamo attivati per cercare altro personale". Ma senza risultati. Così è stato necessario il trasferimento del piccolo. Dalla prossima settimana, però, ha assicurato la direzione, saranno assunti due esperti perfusionisti nel settore pediatrico. Francesca Russi,repubblica