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Primi cantieri contro la frana Italia |
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Da Milano alla Calabria, via libera a 700 milionidi - Per i primi 700 milioni è arrivato il semaforo verde. Tra maggio e dicembre dello scorso anno è stata sbloccata la prima parte dei 2,3 miliardi stanziati per i lavori destinati ad arginare il dissesto idrogeologico. Nella lista dei cantieri da aprire con urgenza figurano le opere per la messa in sicurezza del lago d’Idro (Lombardia), per il fiume Bisagno (Liguria), per il canale scolmatore di nord-ovest (Milano), per la cassa di espansione a Figline (Toscana), mentre la distribuzione regionale dei soldi privilegia la Lombardia, con 57 interventi per 137,8 milioni, seguita dalla Toscana con 33 interventi per 62,4 milioni, dalla Calabria con 50 interventi per 58,5 milioni. E’ una buona notizia ma solo il primo passo di un lungo cammino. La situazione infatti si è rovesciata. Non esistono più le emergenze: ci sono semplici pause in un flusso continuo di dissesti che da un momento all’altro possono trasformarsi in catastrofi. Per la difesa dalle alluvioni siamo all’anno zero. Finora abbiamo pagato i cerotti tre volte più delle cure. Abbiamo usato gli stanziamenti per la sicurezza come i soldi del monopoli, moneta finta per addobbare i bilanci, per fare bella figura rinviando all’infinito la spesa. Abbiamo messo i quattrini, quelli veri, sulle attività che moltiplicavano il problema: dall’uso dei combustibili fossili alla cementificazione. Adesso qualcosa sembra inizi a cambiare. A partire dai fondi per il riassetto idrogeologico, che hanno avuto l’aggiunta di due zeri, e dalla legge contro il consumo di suolo, che si è riaffacciata in questo Parlamento. Sarà un mutamento reale? "Penso di sì per una buona ragione: non è più possibile far finta di niente", risponde Gian Vito Graziano, presidente del Consiglio nazionale dei geologi e riferimento scientifico per Italia sicura, la task force voluta dal governo Renzi. "Fino a qualche anno fa succedeva un disastro, si piangeva, si prometteva. Poi si dimenticava e tutto tornava come prima, o quasi. Adesso frane e alluvioni non si contano più in base agli anni, ma alle settimane: è un succedersi continuo di lutti. In queste condizioni dimenticare non è più possibile perché mentre si curano gli effetti di un’inondazione si guarda il cielo temendo la prossima". Negli ultimi due decenni si sono perse tutte le opportunità per ridurre i danni. I fondi stanziati sono stati spesi in misura irrisoria. Molte opere, come gli interventi sul Bisagno, sono state bloccate dai contenziosi. Altre, come l’argine a Carrara, sono crollate al primo test. Leggi come la 183, che avevano fatto fare un salto di qualità nella programmazione degli interventi nei bacini fluviali, sono state cancellate. Come ricorda Erasmo D’Angelis, coordinatore per conto del governo di Italia sicura, tra dipartimenti, enti vari, centri regionali, consorzi di bonifica si contano 3.600 soggetti che intervengono sulla gestione del dissesto idrogeologico praticamente senza coordinarsi, senza visione globale. Inoltre 8 diverse strutture hanno ordinato un monitoraggio sullo stato di avanzamento dei cantieri: senza un numero che torni incrociando le carte. Il risultato è che dei 1.600 interventi finanziati dagli accordi di programma sottoscritti nel 2010 per oltre 2 miliardi di euro, solo 209 sono stati conclusi (per un valore di 121 milioni di euro). Degli altri, 308 interventi devono ancora essere avviati, 636 sono in fase di progettazione, 459 in esecuzione. "La macchina nazionale della prevenzione era in folle, girava a vuoto, e intanto le bombe d’acqua, le frane si susseguivano con enormi danni e pesantissimi tributi in vite umane", afferma il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti. "Quella macchina l’abbiamo rimessa in moto, e ha ripreso a camminare: oggi abbiamo in corso 1.732 interventi per un valore di un miliardo e 617 milioni di euro; entro la fine dell’anno contiamo di attivare altri 654 cantieri per lavori da 807 milioni di euro; nei primi mesi del 2015 partiranno 659 cantieri per opere del valore di un miliardo e 96 milioni. Inoltre abbiamo deciso di attuare un Piano nazionale contro il dissesto idrogeologico che in 7 anni, dal 2015 al 2021, avrà una dotazione di altri 7 miliardi e mezzo di euro". "Il dissesto idrogeologico, i mutamenti climatici e la crisi impongono un cambiamento alle priorità della politica e della spesa pubblica. Per la Liguria è più importante la corretta gestione del territorio che il progetto della Gronda di Genova o il Terzo Valico ferroviario", rilancia Ermete Realacci, presidente della Commissione ambiente della Camera. Si farà veramente sul serio? Quello che è certo è la natura fa sul serio. Abbiamo imbottito l’atmosfera di gas serra e il risultato è che le piogge hanno assunto un andamento monsonico. È come se, dovendo riempire un bicchiere, invece di versare l’acqua con una bottiglia usassimo un secchio: la quantità di pioggia che prima cadeva in un mese ora può cadere in un giorno. I calcoli idraulici sulla tenuta dei ponti, delle strade e delle arie infrastrutture sono in buona parte da rifare. "Il dato ufficiale delle Nazioni Unite è che l’intensità delle piogge nelle zone temperate è aumentata di 9 volte nel periodo 1990 - 2010 rispetto al periodo 1960 - 1990", precisa il climatologo Giampiero Maracchi. "E sa che succede quando cadono 300 millimetri di pioggia in 3 o 4 ore? Vuol dire che 3 mila tonnellate di acqua precipitano in un quadrato di 100 metri per 100 metri, poco più di un palazzo. Sostenere un colpo del genere è difficile, farlo in paese dissestato come il nostro quasi impossibile". Anche gli economisti sono sempre più allarmati. Secondo NatCatService, in Europa l’80% delle perdite causate da disastri naturali nel periodo 1980-2009 è stato determinato da eventi meteo; e i danni per le alluvioni, sotto la pressione violenta del cambiamento climatico, triplicheranno nel corso del secolo. Tra l’altro dalle stime di uno studio appena pubblicato da Lorenzo Carrera, Gabriele Standardi, Francesco Bosello e Jaroslav Mysiak risulta che ai danni diretti che generalmente vengono conteggiati per i disastri idrogeologici bisogna aggiungere un 20% di danni indotti che ricadono sull’intero sistema produttivo (nel caso dell’uragano Katrina si sale al 39%). Non sono solo proiezioni. "Nel novembre scorso l’assieme delle alluvioni è costato tra i 700 e gli 800 milioni di euro: è 25 volte più della cifra che era stata inserita nella Finanziaria dello scorso anno, prima degli altri 20 milioni aggiunti all’ultimo momento per le esondazioni Sardegna", continua Graziano. Ma la stima di 2 miliardi all’anno per 20 anni per mettere in sicurezza il territorio è attendibile? "No, i 40 miliardi di euro vengono fuori da un calcolo aritmetico molto elementare e discutibile: è la somma dei piani idrogeologici di ogni regione nati da analisi non confrontabili per metodi di calcolo e sistemi di valutazione dei dati", risponde il presidente dei geologi. "Lo screening vero per capire cosa c’è da fare sta cominciando adesso. Stiamo preparando un vademecum per i progettisti e i presidenti di Regione dovranno redigere l’elenco delle priorità". Volontariato e collette, così riparte Genova - Il simbolo dell’alluvione del 9 ottobre 2014, nel centro di Genova sommerso per la seconda volta in tre anni, è il quartiere di Borgo Incrociati, lì accanto alla tombatura del torrente Bisagno. Quattro mesi dopo il disastro qui il 20% dei commercianti non è ancora ripartito. C’è chi ha già ricevuto i rimborsi regionali ed è riuscito a riaprire, come la trattoria Colombo: "I clienti ci danno forza, hanno persino organizzato una colletta per noi", racconta Alessandro Oberti provando a mettere da parte la rabbia. Ma c’è anche chi soldi non ne ha ancora visti: "Ho danni per 197 mila e 700 euro - dice Stefano Di Bert dell’osteria Pacetti, una storia iniziata nel 1885 e spazzata via da 2 metri e mezzo di fango - Con gli 8 mila euro racimolati grazie alla Caritas e altre raccolte fondi ho mantenuto i due dipendenti e iniziato i lavori. Ma siamo alla frutta. Se spero nei rimborsi? Nel 2011 ho denunciato 97 mila euro di danni e ho avuto solo l’11 per cento...". I risarcimenti. Questa volta però le cose procedono meglio: la Liguria è stata la prima Regione a sperimentare nuove norme europee che permettono rimborsi immediati (prima i commercianti dovevano riaprire e presentare le fatture delle spese per avere il contributo). "Per il bando per danni inferiori a 40 mila euro abbiamo già rimborsato 1220 pratiche su 1740 - spiega il segretario generale della Camera di Commercio di Genova Maurizio Caviglia - E si è appena chiuso il bando per danni maggiori: abbiamo ricevuto 270 domande". Il rimborso in entrambi i casi è del 60% della cifra denunciata, l’80% per chi era già stato alluvionato nel 2011, e comunque non superiore a 150 mila euro. "Quindi uno come me, che per il mancato allerta ho avuto 3 milioni di danni, può continuare solo con i prestiti delle banche", dice Corrado Gazzerro dello studio di radiologia Gazzerro. In tutto la Regione ha stanziato 40 milioni. "Un aiuto l’hanno dato anche tanti periti stimando i danni gratuitamente - continua Caviglia - Hanno fatto risparmiare alle aziende qualcosa come 500 mila euro". A dare una mano hanno contribuito le raccolte fondi come "Non c’è fango che tenga", che ha messo insieme 500 mila euro, la Siae che ne ha distribuiti 600 mila, o Confesercenti che con Unicredit ha stanziato prestiti a tasso zero per 470 mila euro. Buone notizie anche dal comune: stanzierà un contributo minimo di 300 euro per le 123 famiglie sfollate, che corrisponde al rimborso di Tasi e Tari, oltre a rateizzare i pagamenti di Imu e Tasi e risarcire la Tari con un contributo minimo di 300 euro alle 2247 imprese colpite. I lavori strutturali. Intanto le emergenze non aspettano (e i dati sul cambiamento climatico allarmano: secondo gli ultimi elaborati dal comune nel 2014 ha piovuto il 74% in più del 2013, il 163% in più del 2012). Bisogna investire sulle opere per proteggere la città: "Sono in corso 99 interventi di somma urgenza per 49 milioni - fa il punto l’assessore alla Protezione Civile Gianni Crivello - Ma soprattutto riparte a maggio, chiuso il capitolo dei ricorsi, il cantiere per lo scolmatore del Fereggiano", il primo lotto dei lavori per la messa in sicurezza del Bisagno, almeno 3 anni di cantiere per 45 milioni. "Nel frattempo, appena arriveranno i 317 milioni promessi dal governo con la campagna Italia sicura, andremo avanti con la copertura e lo scolmatore del Bisagno, e poi con interventi sul Chiaravagna e sul Fegino a Ponente, sul Belvedere a Sampierdarena e sullo Sturla a Levante. Certo, in una città con 88 torrenti di cui 28 tombati, e cambiamenti climatici in corso, i lavori non azzereranno il rischio". Ma faranno dormire sonni più tranquilli. Anche perché "ottobre per noi è già vicino - aggiunge da Borgo Incrociati il titolare dell’osteria Pacetti - E vedere iniziare i lavori per metterci in sicurezza aiuterà a ridurre le pastiglie per la pressione, che sale ogni volta che vedo i nuvoloni". Pochi e in ritardo, il caos rimborsi Francesco Mangone, marmista, vive e lavora a Pima Porta, periferia nord di Roma. Nella notte del 31 gennaio 2014 la zona è stata completamente allagata e la sua azienda ha subito danni per 200.000 euro. Dopo quasi un anno dal catastrofico evento non è riuscito nemmeno a capire se potrà accedere ai fondi messi a disposizione dalla Regione Lazio, che solo a luglio ha finalmente riconosciuto lo stato di calamità naturale: "Nei rimborsi non ci speriamo più" commenta amaro. "Quando dopo l’alluvione abbiamo chiamato i VigilI del Fuoco per avere un accertamento del danno - ricorda - ci è stato risposto che c’erano altre emergenze, così abbiamo provveduto a fare da soli e a febbraio abbiamo consegnato quasi 200 autocertificazioni, con tanto di documentazione fotografica. Nel frattempo però dovevamo tornare a lavorare e molti si sono arrangiati a sistemare da soli, ma ora non possono più dimostrare il danno subito e per ottenere il rimborso è stata richiesta la certificazione di un ente privato". Finora gli abitanti di Prima Porta hanno ricevuto solo 1.700 euro di contributo di solidarietà, offerto dal Comune di Roma, a cui sono seguiti ulteriori 800 euro, ma solo per chi presentava un ISEE inferiore ai 30.000. Per le PMI è ancora tutto da vedere: il contributo offerto dalla Camera di Commercio, pari a un massimo di 5.000 euro, non ha messo in salvo molte delle aziende colpite, che ora rischiano di chiudere. Lo stato di "calamità naturale" invece per il momento solleva tutti da qualsiasi responsabilità, finora palleggiata tra ARDIS, l’Autorità di Bacino Tevere, cui spettavano i lavori di manutenzione straordinari, il Consorzio di Bonifiche Agro Romano, per la manutenzione ordinaria e il Ministero dei Lavori Pubblici e Comune di Roma, che hanno competenza territoriale in alcuni tratti del Tevere. ORBETELLO - Paolo Caminati è un agricoltore di Albinia, frazione di Orbetello, in provincia di Grosseto. Durante l’esondazione del fiume Albegna il 12 novembre 2012, in seguito a cui hanno perso la vita 6 persone, la sua azienda ha subito danni per 270mila euro, ma il Comune gliene ha riconosciuti inizialmente solo 90mila. I moduli per chiedere un rimborso, che ammonta al 14% sul totale, sono arrivati nel 2014, mentre il 2 ottobre il fiume tornava a esondare provocando ancora due vittime e nuovi danni. "Qui la notte quando diluvia abbiamo paura", ci racconta. "Molte aziende - aggiunge - hanno chiuso e la beffa è che alla fine i soldi, quando arriveranno, saranno garantiti solo per chi ha avuto un danno superiore al 33% del Prodotto lordo vendibile (Plv): in pratica devi sperare che superi di almeno un terzo il valore della tua azienda, altrimenti non riceverai nulla". OLBIA - Moreno Contini vive e lavora a Olbia e insieme agli alluvionati del 13 novembre del 2013 sta intentando una causa alla Regione Sardegna per disastro colposo: "I danni subiti superano i 600 milioni di euro e coinvolgono 61 Comuni, nulla se paragonata alla tragedia umana: 18 persone morte e 2700 sfollati. Ma per mettere in sicurezza l’intera regione basterebbe un investimento di 130 milioni, che invece continua a non essere stanziato. Questo a nostro parere perché la calamità naturale fa sembrare un incidente quello che invece avviene per colpa dell’abbandono da parte delle istituzioni". Contini parla a nome degli abitanti di Olbia, ma anche per quanto riguarda gli altri comuni colpiti dal disastro non ci sono state iniziative degli enti locali a favore delle vittime: "Noi non sappiamo nemmeno se e quando arriveranno i soldi dei rimborsi. A febbraio 2014 ci hanno fatto compilare dei moduli, e da allora non ci hanno fatto sapere più nulla". GENOVA - Ines Repetto ha un mobilificio in via Fereggiano, nel quartiere Marassi. Il 4 novembre 2011 la strada si è trasformata in un fiume in piena: le vittime saranno 6, mentre l’intera città subisce danni che supereranno i 100 milioni. Il danno subito da Ines Repetto è di 60mila euro, che per lei ha significato ricominciare l’attività da zero. Dopo sei mesi riesce a ripartire, ma a anni di distanza ancora nessun rimborso all’orizzonte: "Il bando della Filse prevede di essere in regola con il Durc, che significa non avere arretrati né con l’Inps né con i fornitori. Ma se l’attività è stata ferma a causa della devastazione subita è quasi impossibile essere in regola con tutti i pagamenti. Per il momento i fondi sono bloccati e riuscire a ottenerli è quasi impossibile". Nonostante il contributo promesso sia del 40% sul valore del patrimonio iniziale dell’impresa, il bando dell’agenzia di sviluppo ligure Filse è blindato: 30 milioni che fermentano in conti bloccati e che farebbero parte di un tesoretto di 300 milioni accumulati negli anni. Da Saponara e Giampilieri, Sicilia indifesa - Il 22 novembre del 2011 un’alluvione travolse il versante Tirrenico dei Nebrodi. Una bomba d’acqua che fece arrivare a valle milioni di metri cubi di fango e alberi, spazzando intere aree, da Saponara a Barcellona Pozzo di Gotto, passando per Villafranca Tirrena e Rometta. I morti furono 4 e circa 700 le persone sfollate. Nei paesi colpiti arrivarono il capo della Protezione civile nazionale, allora Guido Bertolaso, e l’ex governatore Raffaele Lombardo. Venne dichiarato lo Stato di calamità, promessi fondi e aiuti immediati, annunciato il commissariamento straordinario della Sicilia sul fronte del dissesto idrogeologico. Ben 50 milioni di euro, più "fondi europei e nazionali", sarebbero stati spesi a breve. Così per lo meno recitavano le cronache di quei giorni. Sono trascorsi tre anni e lo scorso 22 novembre sono state ricordate le vittime con una cerimonia a Barcellona Pozzo di Gotto. Ma non un solo euro è mai arrivato da queste parti. Qui non è cambiato nulla e ancora gli abitanti quando su nel cielo vedono nuvole nere, incrociano le dita o pregano che non piova. E la situazione non cambia sull’altro versante dei Nebrodi, quello che va da Giampilieri ai centri della costa Jonica, compresa Messina, che ciclicamente si allaga per le forti piogge. "La verità è che qui sono stati spesi solo i fondi per rimettere in piedi Giampilieri, per il resto non è stato fatto nulla", sussurrano dalla struttura commissariale. A Giampilieri la notte del 30 settembre del 2009 un fiume di fango distrusse un intero paese. Trentasette persone morirono intrappolate nelle loro case. La strada statale e la ferrovia rimasero fuori uso per settimane e alcune frazioni restarono isolate per giorni. Ad Altolia, un paese di 300 anime, i soccorritori riuscirono a entrare dopo 3 giorni dall’alluvione. Per rimettere in piedi Giampilieri sono stati spesi ben 150 milioni. Ma altri 70 milioni, promessi e annunciati da Stato e Regione, non sono stati spesi: e sono i fondi più importanti, perché dovevano servire a realizzare le opere di prevenzione e messa in sicurezza di fiumare, torrenti e costoni franosi. Invece anche qui nulla è stato fatto. Non una ruspa o un operaio della Protezione civile si è visto nei paesi che insieme a Giampilieri vennero coinvolti dagli eventi del 2009: Scaletta Zanclea e Alì Terme su tutti. Non un solo intervento è stato fatto per pulire le fiumare che come vene attraversano tutti i Nebrodi scendendo sui due versanti, Tirrenico e Jonico. Non un euro è stato speso per piazzare argini nei torrenti ma soprattutto per mettere in sicurezza migliaia di case a ridosso di costoni che franano. A Barcellona Pozzo di Gotto non sono stati puliti i canali che attraversano la città e che, nel 2011, si sono trasformati in fiumi di fango che hanno travolto tutto. Stesso discorso nel Catanese, dove l’autunno scorso una tromba d’aria e una bomba d’acqua hanno causato danni per milioni di euro a Paternò, Giarre, Acireale e Aci Trezza. Milioni di euro non sono mai arrivati, altri però c’erano e non sono stati spesi. Nella programmazione con fondi Europei erano previsti circa 20 milioni di euro per il "dissesto idrogeologico". Soldi mai spesi, tanto che il governo Crocetta li stava perfino dirottando altrove, salvo poi fare marcia indietro perché si trattava di finanziamenti vincolati. L’assessore regionale al Territorio e ambiente, Maurizio Croce, ha stilato recentemente un ampio piano d’interventi che prevede l’utilizzo anche di forestali e precari di enti regionali. Da Roma sono arrivati 17 milioni di euro per Messina e dintorni, mentre rimangono da spendere i fondi Ue. Croce è ottimista, ma davanti non si trova certo una situazione facile da affrontare. Intanto da queste parti si spera sempre che non piova forte. Polizza per tutti? Una soluzione che divide - "Il Comune non si assume la responsabilita e dice di non avere soldi, alla provincia lo stesso ritornello, di fondi statali non se ne parla. Sono tre mesi che sono fuori casa e non ho idea di quando potrò tornarci". Stefano Cannatà è una delle vittime dell’alluvione che ha colpito la Val Bisagno (Liguria) lo scorso ottobre. "Il territorio non è stato messa in sicurezza, i costi da affrontare per la ricostruzione sono altissimi, ci siamo arrangiati come potevamo e fortunatamente abbiamo incontrato la solidarietà di molte persone, ma non si dovrebbe andare avanti con il volontariato". Quello di Cannatà è tutt’altro che un caso isolato. Secondo il rapporto Anci-Cresme sono oltre cinque milioni gli italiani che vivono in una zona di pericolo, l’80% dei comuni è a rischio idreogeologico e ogni anno si spendono 3,5 milioni di euro per riparare i danni di frane, alluvioni e terremoti. A lungo il riflesso condizionato è stato sempre lo stesso: ogni volta che lo Stato si trova ad affrontare una nuova catastrofe ricorre ad altre tasse con interventi deliberati solo dopo gli eventi. "Ci si accorge di dover trovare dei finanziamenti solo dopo i disastri, questo è un sistema che ha molti difetti, è necessario trovare una soluzione alternativa per non dover ricorrere tutte le volte alla fiscalità generale". A parlare è Roberto Manzato, direttore generale dell’Ania. l’Associazione Nazionale fra imprese assicuratrici che da anni propone una norma per rendere obbligatorie le assicurazioni su questo tipo di eventi senza essere mai riescita a trasformarla in norma. L’ultimo tentativo è stato fatto a giugno 2013 da tre senatori di Forza Italia (Vincenzo Fasano, Franco Cardiello e Giuseppe Esposito), ma il progetto di legge è ancora fermo a Palazzo Madama. Un accenno viene fatto anche nella proposta di revisione della protezione civile presentato in commissione ambiente alla camera dalla responsabile del Pd Chiara Braga. Manovra che rispecchia le parole del ministro Graziano Delrio che all’indomani dell’alluvione ad Alessandria aveva garantito che il governo stava valutando l’ipotesi "di introdurre l’assicurazione obbligatoria per soggetti pubblici e privati contro le calamità naturali". Sono passati quattro mesi, le piogge si sono calmate e le istituzioni hanno nuovamente abbandonato l’argomento. Secondo Manzato è difficile raggiungere una norma di "buon senso" perché i governi hanno paura di fare una mossa impopolare: "Capisco che in un momento di crisi è difficile chiedere dei soldi, questa mossa verrebbe percepita come una nuova tassa. Ma sono già i contribuenti italiani a pagare i disastri naturali, servirebbe più coraggio". La copertura obbligatoria è un sistema adottato già in altri paesi europei (la Francia per esempio) e la Commissione europea ha lanciato una consultazione nell’aprile 2013 al fine di incoraggiarne l’utilizzo. L’allora Commissario per il Mercato interno, Michel Barnier, sosteneva che nonostante l’aumento delle calamità naturali gli Stati Membri non stavano "sfruttando appieno le capacità del settore assicurativo per cautelarsi". Firmare una polizza però potrebbe significare anche avvantaggiare le compagnie e per alcuni è ingiusto ridurre la tutela dei beni comuni all’interno degli schemi del mercato assicurativo. Le associazioni di categoria sono divise tra chi esprime forti perplessità per un ulteriore balzello a carico di produttori e cittadini e chi invece, come Coldiretti Sardegna, promuove il piano. "Nel nostro territorio stiamo già sperimentando un sistema del genere - spiega Luca Saba direttore generale Coldiretti Sardegna - la regione con una spesa annua di circa 5 milioni di euro assicura l’80% della cifra, mentre ai produttori spetta l’altro 20%. Nel 2003 la Sardegna aveva fatto un mutuo di 250 milioni di euro per ripagare i danni, oggi le casse delle istituzioni sono vuote, non si potrebbe più prevedere una simile spesa. Credo sia giusto da parte degli agricoltori fare questo sforzo e assicurare i fabbricati, è un segnale positivo di responsabilità. Che messaggio manderemo altrimenti a chi non ha più un lavoro, a chi ha perso la casa? Certo, sarebbe bello se lo Stato potesse pagare tutto, ma non è possibile, e in questo modo ci garantiamo un rimborso più rapido". La velocità dei tempi di rimborso è uno dei punti di forza della proposta delle associazioni di assicurazioni, nonostante questo però attualmente sono pochi i cittadini che hanno scelto di pagare una polizza. "Il sistema è più diffuso tra gli agricoltori - spiega Manzato - ma è normale che sia così, con questo quadro giuridico per un privato ora rischia di non essere conveniente. Chi ha interesse ad assicurarsi è solo chi vive in una zona a rischio, ma se sono gli unici a farlo a quel punto i premi sarebbero troppo alti. Assicurare una casa sulla riva di un fiume o al centro di una città ha costi molt, se tutti fossero tenuti a farlo queste spese potrebbero essere distribuite". Una forma di condividere il rischio quindi, ma non tutti credono sia giusto prendersi questa responsabilità, secondo Stefano Cannata è doveroso fare una distinzione: "Sono disposto ad assicurarmi e a pagare i danni quando vengono veramente dal cielo, ma se i disastri sono stati causati da una gestione sbagliata, non capisco perché devo essere io a pagare. La pioggia mi distrugge il tetto della casa? Pago io, sono d’accordo. Se invece una valanga di acqua mi sommerge la casa perché nessuno si è preoccupato di mettere in sicurezza la strada, nonostante gli allarmi e i rapporti degli esperti, perché devo essere io responsabile?".repubblica,Antonio Cianciullo,Giulia Destefanis, Alice GUSSONI,Antonio Fraschilla, Gloria Bagnariol.
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