Roma, va in scena la Grande Tristezza, Viaggio nella capitale sfasciata dal degrado
 











Che Grande Tristezza è diventata Roma. Una città che sta seppellendo se stessa. Sì, sì, la storia. L’arte. La bellezza. Ma la sua vera immagine sta da un’altra parte. Prendete i vigili. Scusate: la polizia di Roma Capitale. Ma come fanno a dire che non si vedono mai in giro? Certo, a volte devi stare alzato fino a tardi la sera, come i bambini romani a gennaio con la speranza di incontrare la Befana. Turno di notte festivo tra domenica 23 e lunedì 24 novembre. Pagano di più, la notte.
Eccoli qua davanti, a pochi metri: addirittura sei vigili in divisa, tutti insieme, le auto di servizio parcheggiate, un’ora passata a lavorare al bar. Non proprio un’ora: dalle 00,23 alle 00,37 dentro il bar, dalle 00,37 all’1,18 davanti al bar. E forse non proprio a lavorare. Da come gesticolano, dimostrano comunque impegno e dedizione. Sono quattro agenti e due superiori con i gradi sulle spalle. Probabilmente costituiscono più del cinquanta per cento della forza
notturna in azione sulle strade dalla stazione Termini al Quirinale. Tutta concentrata in un unico punto della città: tra le tazzine di caffè appena bevute al bancone e le chiacchiere sul marciapiede.
E quanto amore per gli animali da parte dell’Ama, l’azienda di Roma Capitale che raccoglie i rifiuti. I suoi netturbini fanno di tutto per lasciare un po’ di immondizia sparsa in giro in modo che anche i roditori abbiano da mangiare. Mentre me ne sto seduto sui gradini della fontana di Santa Maria Maggiore, con alle spalle i mosaici della basilica e nelle mani la telecamera puntata sui vigili al bar di fronte, devo spesso schioccare le dita o battere un piede: decine di ratti sgusciati dai sampietrini sembrano interessarsi alle scarpe o alle pieghe calde del mio giaccone ed è l’unico modo per tenerli lontani.
Tra poche ore papa Francesco verrà proprio qui, a pregare prima del viaggio a Strasburgo. Chissà se noterà lo spargimento di cellophane, bottiglie e cassonetti ammaccati
intorno a questo luogo storico e sacro. E chissà se i ratti, almeno quelli che adesso fanno la sentinella con il muso all’insù, punteranno anche le pieghe della sua ampia veste papale.
MUSSOLINI AL VIMINALE
L’avete mai visto il pupazzo di Balotelli nudo che le bancarelle vendono durante la messa in piazza San Pietro? E le fontane di piazza Farnese, che quando l’ambasciatore francese fa festa diventano il parcheggio privato per i Suv degli invitati e i camion del catering? Roma oggi è pure la piscina gonfiabile piena di detersivo davanti all’ingresso ai Fori Imperiali. Oppure Trinità dei Monti, coperta da un paio di scarpe stampate su un immenso cartellone pubblicitario. Ma anche i marciapiedi intorno alla stazione Termini, affollati di bancarelle e la notte di diseredati come mai se ne sono visti. E le bottiglie di birra vendute a 50 centesimi, perché i disperati diventino alcolizzati e non smettano più di comprare alcol.
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"DEGRADO CAPITALE"
Roma sono i nuovi quartieri costruiti in cooperativa dove sono spariti i soldi per le opere di urbanizzazione e migliaia di proprietari si ritrovano con appartamenti senza strade, telefono, fognatura e illuminazione. E perfino il vino con le immagini celebrative di Mussolini e Hitler in vendita in via del Viminale, quasi sotto le finestre del ministro dell’Interno e del capo della polizia. Non è un oltraggio alla memoria di tutte le vittime romane dell’Olocausto? «Mbeh», risponde l’oste, «mica c’è stampata la svastica sull’etichetta».
Sette giorni e sette notti, in giro con una telecamera, non bastano a conoscere Roma. Ma molto si intuisce. Da caput mundi a capitale kaputt: la discesa a precipizio di una metropoli in decomposizione che è sintesi dello sfascio italiano. Chi poteva, ha arraffato qualcosa. O continua ad arraffare. Fanno come i ratti di Santa Maria Maggiore la notte: si mangiano tutto il mangiabile che trovano. In piccolo e in grande.
Ufficialmente sempre in forma legale, s’intende. E ora che le casse del Comune sono vuote e i servizi allo sfascio, per fortuna Roma ancora esprime una classe dirigente gaudente. Come la nostra icona dello sport nel mondo: il presidente del Coni, Giovanni Malagò.
Sua l’idea di dimenticarsi dei monumenti, delle scuole, degli ospedali, delle strade che cadono a pezzi. E perché mai dovremmo investire nel patrimonio storico e culturale che già esiste? No, la capitale e l’Italia, per rilanciare la loro immagine e attirare turisti, hanno bisogno di ben altro: decine di nostri milioni per candidare Roma alle Olimpiadi 2024. Cosa gli puoi rispondere? Gli ricordi quello che è successo nel 2009 con i mondiali di nuoto e i soliti costruttori che hanno disseminato l’Italia di debiti per centinaia di milioni e i quartieri di impianti sportivi pubblici mai completati: mentre piscine e club privati, come il circolo Aniene di Malagò, certo che si sono finanziati e allargati. Oppure gli batti una
pacca sulle spalle convinto che stia scherzando. Invece il premier, Matteo Renzi, e il sindaco di Roma, Ignazio Marino, gli hanno dato ragione. Marino sta addirittura impegnandosi perché la Roma abbia il suo nuovo stadio privato da sessantamila posti. Vedete che nella Suburra è sempre carnevale? Allora forza, si parte.
IL PARCHEGGIO DELL’AMBASCIATORE
Se volete andare in piazza Farnese la sera e fotografare i giochi di luce proiettati dalle due fontane, cercate di capire cosa hanno organizzato nell’antico palazzo che ospita l’ambasciata di Francia. Eviterete di perdere tempo. Stasera l’ambasciatore fa festa e la fontana di sinistra non si vede più. Ecco, si possono ammirare i riflessi dei lampioni sulle carrozzerie: Suv con la targa del corpo diplomatico, auto e schiere di furgoni del catering. Piazza Farnese e le sue fontane ridotte a parcheggio privato. In piazza della Cancelleria è perfino peggio. Ma qui l’ambasciatore non c’entra.
Qualcuno abita nel
quartiere, gli altri sono andati a cena nei locali di Campo de’ Fiori. E hanno ammassato (è l’unico verbo in grado di descrivere la scena) macchine ovunque. Anche piazza Sant’Agostino, davanti alla chiesa che ospita opere come la Madonna dei Pellegrini di Caravaggio, è un pezzo di storia sepolto dalle lamiere. Roma è la città italiana con il maggior numero di auto per abitante: 71 ogni cento, compresi bambini e neonati. Purtroppo la città è sempre dominata dai costruttori di palazzi, non di autobus. Romano anche il record di incidenti: 39 pedoni e 97 ciclisti investiti nel 2013. Non serve andare in periferia. Basta uscire dal centro e trovarsi a camminare sfiorati dal traffico, lungo strade senza marciapiede.
I CETRIOLI DI PIAZZA DI SPAGNA
Proprio in mezzo allo struscio di migliaia di turisti e non solo, Abdus Sattar, commerciante ambulante arrivato dal Bangladesh, vende di tutto: i soliti souvenir, la statuetta bianca del papa, il Colosseo in miniatura,
caricabatterie e cavi Usb per il cellulare, qualche pianta di plastica, due o tre vasi di ciclamini e bustine con semi di cetriolo, peperoni, zucchine, pomodori, basilico e rughetta. Dalla fontana della Barcaccia, lo sguardo su piazza di Spagna si apre lungo la scalinata e si stampa dentro un paio di scarpe americane illuminate giorno e notte al centro di un gigantesco cartellone pubblicitario. È l’immagine di Roma che centinaia di migliaia di selfie scattati dai turisti ogni giorno mandano in giro per il mondo.
Roma, la città abbandonata al suo degrado
Il valore del prodotto reclamizzato è da poco aumentato. Fino a qualche settimana fa lì c’era un piatto di pasta. Addio Trinità dei Monti: la facciata fino a novembre 2015 sarà coperta dalle impalcature. Ordinaria manutenzione, dice il cartello del cantiere, la seconda in meno di dieci anni. Eppure per tutta la settimana su quei ponteggi non si è mai visto un muratore: stanno lavorando dentro, non fuori. L’ultima volta, al posto
della pubblicità, avevano riprodotto la facciata sul telo. Molto più elegante. Evidentemente imbrattare con gigantografie i luoghi più suggestivi d’Italia non è più vietato.
IL TRAMONTO DELL’ON. TREDICINE
Giordano Tredicine è il vicepresidente dell’Assemblea capitolina, il consiglio comunale. Lo chiamano onorevole perché si è deciso che tutti i consiglieri di Roma Capitale siano onorevoli. È stato eletto nel Pdl. E pochi giorni fa era in marcia con l’ex sindaco Gianni Alemanno. Partecipavano alla manifestazione contro il sindaco Marino, i nomadi e gli immigrati aperta dalle bandiere dell’organizzazione di estrema destra Casa Pound al quartiere Esquilino: lo stesso della basilica di Santa Maria Maggiore, dei ratti in piazza e dei vigili al bar.
Eppure le teste rasate di Casa Pound, invece che a Marino avrebbero potuto rivolgere le loro lamentele a uno degli ospiti d’onore della loro marcia: proprio l’onorevole Tredicine. Se c’è una famiglia di imprenditori che
a Roma ha fatto da traino all’arrivo di migliaia di ambulanti bengalesi, è la sua. I Tredicine, attraverso padri, figli, mogli, fratelli, detengono gran parte delle licenze comunali che contano nel commercio turistico. E le subaffittano agli immigrati. Sempre bengalesi. È intestata ai Tredicine anche la concessione affidata a pagamento a Tara Shahidul Alam Khondoker in cima alla scalinata di Trinità dei Monti. Così conferma il commesso di turno. I turisti arrivano da tutto il mondo per salire qui al tramonto e si ritrovano davanti una distesa di trolley di plastica, valigie e borse cinesi che i commessi di Khondoker hanno messo bene in mostra. E quando piove, si aggiunge lo svolazzo dei teli di cellophane.
IL RESPIRO DI VIA CONDOTTI
Il rumore di due generatori a benzina impedisce ormai di ascoltare il respiro di Roma: quel brusio di voci e passi che, chissà, forse ancora sale da via Condotti. Il sole che tramonta nel Tirreno è coperto dagli ombrelloni stile
Rimini anni Settanta che i ritrattisti hanno piantato sulla balconata. Uno verde, un altro arcobaleno. I venditori di rose circondano le coppie. Un ambulante lancia in continuazione una palla di gel per terra e a ogni impatto, dal gel esce un grido. Così, per tutto il giorno.
I generatori alimentano i due camion bar ai due lati della balconata. Quello di Islam Saiful e l’altro di Bhuyan Al Amin, due ambulanti bengalesi che hanno in gestione le licenze di Antonio Molinaro, altra famiglia di commercianti come i Tredicine. «A Molinaro diamo 1.800 euro al mese», raccontano al banco di Bhuyan Al Amin. E quanto si guadagna al mese? «Non sappiamo, siamo operai».
Con l’arrivo continuo di turisti, nella buona stagione sono comunque migliaia di euro al giorno. Risponde invece il commesso di Hossain Delowar, che vicino a Santa Maria Maggiore dice di avere affittato la licenza per 600 euro al mese da uno dei Tredicine, ennesimo parente dell’onorevole. Soltanto 600 euro al mese di affitto?
«Sì». E quanto si guadagna? «200 euro al giorno minimo». Duecento euro al giorno minimo, siete aperti sette giorni su sette, sono seimila euro al mese. «Sì», risponde il commerciante. I Tredicine sono il motore che ha fatto dei bengalesi la comunità più numerosa di Roma. Ed è grazie ai subaffitti stile Tredicine se l’immagine turistica della capitale è stata completamente consegnata nelle mani degli immigrati asiatici. Ormai gestiscono quasi tutte le bancarelle, i negozi di souvenir e spesso i tour per la città.
LO SCONTRINO ALLA FONTANA DI TREVI
Provate anche voi, se ci passate. Andate alla Fontana di Trevi, comprate un souvenir e chiedete lo scontrino. Il commesso davanti al romanissimo titolare della postazione di ciondoli e ninnoli vi dice candidamente che non ve lo dà, perché nessuno lo fa. Se provate altrove, può capitare che ci sia da smontare la bancarella. È successo vicino alla stazione Termini: il blocchetto fiscale obbligatorio era nascosto sotto anni
di evasione.
UNA PISCINA AI FORI IMPERIALI
Lungo il viale senza più traffico, una coppia di ragazzi da giorni gonfia una piscina di plastica verde, la riempie di acqua e detersivo e attrae i pochi bambini con una nevicata di bolle. Non è spettacolo, è commercio. I flaconi di quell’intruglio viscido sono in vendita da 8 a 13 euro. Il commesso sul camion bar di Mohammed Nur Islam dice che la sua licenza è di proprietà della famiglia Molinaro, mentre i Tredicine sono a metà del viale verso piazza Venezia. Dev’essere allegro stamattina. O al contrario è nostalgia di casa. Ha comunque messo la musica a manetta. Un ritmo frenetico e acuti di kamanjah, il violino arabo, accompagnano la visita dei turisti davanti alle rovine.
Vigili e carabinieri inseguono inutilmente lo sciame di ragazzini bengalesi che offrono bacchette portatelefonino per farsi l’autoscatto. I centurioni romani davanti al Colosseo no, non li tocca nessuno. Ed eccone quattro depredare vigliaccamente
una mamma americana con un ragazzino. Si fanno dare la macchina fotografica. Uno scatto. Sessanta euro, signora. Lei protesta. Le prendono dalle mani due banconote da venti euro. Una foto, quaranta euro, trenta secondi in tutto. E un’altra voce che parlerà male di Roma e dei romani nel mondo.
QUARTIERI SENZA STRADE
Ci vorrebbe Sergio Endrigo per raccontare la nuova espansione edilizia della capitale d’Italia. Ma questa non è via dei matti numero zero. Via Decimomannu esiste ed è a poche centinaia di metri dalla sede del consiglio della Regione Lazio. Edilizia convenzionata significa che sono stati impiegati soldi pubblici per calmierare i costi. Ma l’Isveur, l’Istituto per lo sviluppo edilizio e urbanisco che riunisce i costruttori romani, non ha mai completato le opere di urbanizzazione. Così migliaia di appartamenti finiti e pagati non possono essere abitati.
Intanto i ladri rubano grondaie di rame, caldaie, infissi. A centinaia, non potendo pagare sia
l’affitto sia il mutuo, sono andati comunque a viverci. Senza rete fognaria, senza telefono, senza illuminazione, senza negozi, senza depuratori. Case nuovissime si aprono su tratturi di fango. In attesa delle opere, il quartiere di Pian Saccoccia ha intanto dovuto pagare 97 mila euro di contributi per gli enti religiosi. No, non è un obolo per i moccoli tirati in questi anni, ma l’ennesimo balzello: così, nel Lazio, prevede la legge sull’edilizia convenzionata.
BALOTELLI A SAN PIETRO
Papa Francesco sta presiedendo la cerimonia di canonizzazione di sei beati. Domenica 23 novembre la piazza è piena. «Non possiamo discostarci da questo modello, se non vogliamo diventare dei mercenari», scandisce la voce di papa Bergoglio dagli amplificatori. Un ambulante prova a vendere un pupazzino di Balotelli a torso nudo che muove la testa. Chiede quindici euro. Tra immagini sacre e crocifissi, espongono perfino un Francesco Totti, l’elmo di plastica dei centurioni, la testa di
Cesare. Cosa c’entrano con piazza San Pietro? Ragazzi sandwich girano a offrire tour sugli autobus panoramici. In mezzo ai fedeli appare addirittura una specie di Gabibbo vestito da patatina fritta.
I TOPI ALLA BASILICA PAPALE
Mucchi di rifiuti seguono la passeggiata notturna dalla stazione Termini fino alla piazza di Santa Maria Maggiore. Ecco arrivare la prima delle due pattuglie di vigili. Una breve pausa per un caffè non si nega a nessuno. Ma se almeno facessero un giro a piedi, vedrebbero in quali condizioni è ridotta la zona. Cose rimediabili in poche ore. Il palo abbattuto in via Carlo Alberto. I sacchetti caduti fuori dai cassonetti e mai più raccolti. I lampioni bruciati. La sporcizia. Gli abitanti onesti di questo e degli altri quartieri di Roma se lo meriterebbero. Invece no, non si allontanano dal fascio di luce delle vetrine dell’Antico Caffè Santamaria. Forse sanno già tutto.
I quattro agenti e i due graduati conversano in piedi sul marciapiede.
Mentre dentro ormai hanno finito le pulizie. All’1.18 si ferma un clochard. Protesta perché mentre loro sono lì a chiacchierare lui, dice, è stato appena aggredito. I vigili lo guardano. Il clochard si allontana sbuffando. Dopo 55 minuti di sosta, i sei finalmente risalgono in macchina. Ripartono. Al di qua della strada, i ratti rovistano da ore indisturbati la piazza. Basta starsene adesso un po’ in disparte a guardare. Saltano sulla fontana. Bevono e si lavano sui bordi lucidi di travertino proprio dove di giorno si abbeverano turisti e pellegrini. La loro notte ricorda anni di ruberie. Li vedi correre ovunque ci sia da mangiare. Instancabili, insaziabili, impuniti. Fino all’ultima briciola. Fabrizio Gatti,l’espresso