Il ministro Guidi valuta querela per questo articolo
 











C’è Gianluca Galletti, ministro dell’Ambiente tra i pochi ad aver visitato Genova perché, come spiegano da Palazzo Chigi «nessuno conosce il suo viso, può dribblare contestazioni e pomodori». C’è la titolare degli Affari regionali e del turismo Maria Carmela Lanzetta, ospite fissa ai convegni della sua Calabria che vanta presenze al “Palio dei Ciucci” di Cuccaro Vetere e al premio “Caduceo d’oro 2014”, organizzato dai farmacisti di Bari. Ma tra i ministri “per caso”, quelli in fondo ai sondaggi che monitorano la fiducia degli italiani, c’è anche Federica Guidi, piazzata allo Sviluppo economico e alle prese con i morsi della crisi industriale (le acciaierie di Terni in primis) e i suoi conflitti d’interessi: l’azienda di famiglia, la Ducati Energia, ha delocalizzato all’estero le sue attività, operazione che spesso è tra le cause dei licenziamenti. «Non c’è sindacalista che non rischi di rinfacciarglielo» chiosa un dirigente del Mise. «A mediare ai tavoli così ci va sempre Claudio». Cioè il viceministro De Vincenti, vero capo ombra del dicastero.
Passando dall’invisibile Maurizio Martina, il bersaniano a capo dell’Agricoltura che sull’Expo si gioca faccia e carriera, fino a Stefania Giannini - la titolare dell’Istruzione famosa per il pasticcio del concorso per entrare a Medicina - secondo un’analisi di Datamedia sono dieci i ministri che raggiungono a stento la stima di un elettore su cinque. Pesano, sul giudizio negativo, tre fattori: l’incapacità comunicativa, l’inadeguatezza e la volontà di Matteo Renzi di presentare il governo con una sola faccia: la sua. Come annotano i politologi la leadership dell’ex sindaco è stata fin dal principio autoritaria e monocratica. Il premier non si fida di nessuno, non delega e governa da solo, con l’aiuto del suo cerchio magico: contornarsi di personalità deboli e ministri fantasma non è un caso, ma una scelta politica. Che può portare forte consenso personale, ma anche svantaggi
nell’azione amministrativa.
I ministri fantasma
GUIDI “LA PORTAVOCE”
Partiamo dalla Guidi. Ex presidente dei Giovani di Confindustria e qualche anno fa in predicato di formare un ticket elettorale con Silvio Berlusconi, secondo Maurizio Landini «è la donna sbagliata al posto sbagliato». Il suo ministero è il primo fronte della crisi industriale: da Aosta a Caltanissetta le vertenze sono ormai oltre 150, con 28 mila lavoratori che rischiano il posto. Alle trattative, però, la Guidi non ci va mai. Al suo posto c’è quasi sempre il viceministro De Vincenti, che ha ottenuto le deleghe alle relazioni istituzionali con sindacati e imprese, insieme a quelle per l’energia, la competitività e i rapporti con le Regioni. Il sottosegretario Antonello Giacomelli s’è preso quelle per le telecomunicazioni tanto care a Berlusconi: fedelissimo di Renzi e buon amico di Denis Verdini, Giacomelli è stato per lustri direttore di Canale 10. Ora i giochi sul canone Rai e i business
su frequenze e tv passano sulla sua scrivania. «Alla Guidi resta poco da fare, noi la chiamiamo “la portavoce dei suoi vice”» ironizza il dirigente del Mise. «Per ora ha tagliato circa 350 milioni dal bilancio del ministero, tra cui anche incentivi alle imprese. Alle riunioni del Cipe non apre mai bocca. Passa gran parte del tempo a rispondere ai question-time in Parlamento e ai convegni». Non è una novità, per la Guidi: dall’Aspen alla potente Trilateral, non c’è lobby alla quale non s’è iscritta.
Sulla sua “invisibilità” pesano anche i conflitti d’interessi dell’azienda di famiglia (la Ducati ha tra i committenti aziende pubbliche come Poste, Terna, Enel e Fs) e la scelta di papà Guidalberto di delocalizzare all’estero capannoni e operai: pur avendo ottenuto aiuti dallo Stato, in effetti, la Ducati ha riallocato gran parte della produzione in Romania, Russia, India, Croazia e Sud America, con conseguente decimazione dei livelli occupazionali a Bologna. Scelta che lei ha approvato.
«O ci si sposta oltre confine o c’è il rischio di farsi battere dalla concorrenza. In Romania produciamo condensatori a 4 euro l’ora, contro i 23 dell’Italia» ragionava Federica su “EconomiaItaliana.it” pochi mesi prima di diventare ministro. «I giovani italiani non amano trasferirsi: pensi che mi sono trovata davanti fior di giovanotti sull’orlo del pianto di fronte alla prospettiva di andare in India per un paio d’anni!». Per la cronaca il ministro dello Sviluppo economico, 278 mila euro guadagnati nel 2013, chiedeva ai suoi dipendenti di dislocarsi a Pune, nello Stato del Maharashtra, a 150 chilometri da Mumbai.
LANZETTA CHI?
Altro ministro fantasma è Maria Carmela Lanzetta, messa (senza portafogli) al dipartimento degli Affari regionali, per tradizione ministero di “compensazione” per i piccoli partiti o qualche politico da sistemare: in passato nel bel palazzo di via della Stamperia sono passati pezzi da novanta come Graziano Del Rio, Piero Gnudi e Linda
Lanzillotta. Simbolo dell’antimafia (quand’era sindaco di Monasterace la sua farmacia fu bruciata) è finita nel gabinetto solo per uno sgarbo che Renzi ha voluto fare al rivale Pippo Civati, che scoprì la Lanzetta portandola in direzione nazionale del partito. «Matteo l’ha nominata senza nemmeno avvisarlo. Gli serviva una donna, possibilmente del Sud, e che godesse di buona stampa», spiega un renziano che ha aiutato il premier a formare la squadra di governo.
Calabrese di Mammola, paesino famoso per il suo stoccafisso, e madre di famiglia, la Lanzetta siede in consiglio tra la Boschi e la Madia, ma è lontana anni luce dall’immagine glamour delle più celebri colleghe: senza un filo di trucco, indossa solo camicette anni ’70 e scarpe basse. Nella Capitale rimane il meno possibile. Preferisce viaggiare verso Sud, direzione Calabria: nelle ultime settimane ha inaugurato il premio “Palio del Ciuccio” nel Cilento, ha premiato gli studenti di Vallefiorita vicino Catanzaro, è stata a
Cassano allo Jonio, Botricello, Aprigliano, Bagaladi e Vibo Valentia, passando dalla direzione marittima di Reggio Calabria, da Gioiosa Jonica e Rende, dove, recita il comunicato, «ha incontrato la minoranza linguistica albanese».
Sui tagli miliardari che Renzi ha chiesto alle Regioni, invece, dal suo dicastero nemmeno una parola: «Se saranno garantiti i servizi sanitari? Si vedrà, non conosco i singoli bilanci», ha spiegato davanti ai giornalisti esterrefatti. L’invisibilità non è solo colpa della Lanzetta: in ufficio non gli fanno toccare palla. In nove mesi la ministra si è occupata quasi esclusivamente del vaglio normativo sulla legittimità delle leggi regionali, compito che potrebbe essere svolto da un semplice dipendente degli uffici della Camera. È ancora Del Rio, pare, a gestire - nel tempo libero - i rapporti con le Regioni. E a mettere becco nel budget del dicastero. Secondo l’ultimo bilancio di previsione di Palazzo Chigi quello degli Affari regionali, turismo e sport
resta di tutto rispetto: la Lanzetta nel 2014 e nel 2015 potrà contare su 95 milioni di cassa, di cui 33,9 di spese correnti (1,7 milioni per il funzionamento, 234 mila di rimborsi spese per missioni, altri 43 mila per il «rimborso diaria a favore dei ministri e sottosegretari non parlamentari non residenti a Roma»). «È una bravissima donna, ma un corpo estraneo. Qualche volta si dimenticano persino di convocarla alle riunioni di sua competenza», confermano dal Palazzo. Dove non possono però negare la sua modestia: «Se non dovessi sentirmi all’altezza, sono pronta a rimettere il mandato al premier. Senza drammi» disse la Lanzetta due ore dopo la sua nomina.
GALLETTI SULLA MONNEZZA
«Finalmente si è svegliato Galletti, il ministro invisibile!», dileggiava lo scorso aprile l’onorevole democrat Marco Miccoli, contestando l’immobilismo governativo sulla questione dei rifiuti di Roma. Oggi il coro di chi considera il commercialista preferito di Pier Ferdinando Casini
uno dei ministri più incorporei della compagine renziana si è allargato. Galletti, all’Ambiente, sulla carta doveva avviare i piani rifiuti, rilanciare le bonifiche, istituire gli eco-reati, occuparsi del risanamento dell’Ilva, ma finora è finito in prima pagina solo quando gli animalisti dell’Enpa gli hanno dato dell’«assassino», perché responsabile dell’uccisione dell’orsa Daniza in Trentino, e perché ha nominato Antonio Agostini, indagato per abuso d’ufficio, a capo dell’Isin, il nuovo ente per la sicurezza nucleare.
Iscritto alla Dc negli anni ’90, assessore al Bilancio nella Bologna forzista di Guido Guazzaloca, di lui si sa che è un fiero antipatizzante dei Simpson (vieta ai quattro figli di vedere il cartone, «violento quanto e più degli spettacoli di Beppe Grillo»), e che nei consigli dei ministri mette bocca su tutto. Anche lui è finito sulla sua poltrona per puro caso: all’Udc Renzi aveva riservato la casella dell’Agricoltura. Il profilo del commercialista non è, in
effetti, quello di un “green” duro e puro: nuclearista convinto fino all’2010 (ora, interrogato, si schermisce e dice «sull’atomo non dico come la penso»), favorevole alla privatizzazione dell’acqua, Galletti ha dato l’ok alle trivellazioni («se sono sicure vanno fatte, non dobbiamo dare messaggi sbagliati agli investitori») e al gasdotto della Tap, mentre ha abbandonato la Terra dei Fuochi al suo destino. Zero bonifiche, zero investimenti, poche persino le dichiarazioni di prassi. «La questione della Terra dei fuochi è quasi scomparsa dall’agenda nazionale», ragiona il presidente dell’Autorità Anticorruzione, Raffaele Cantone, «prima che il percolato inquini la falda acquifera è urgente darsi una mossa». Anche il risanamento dell’Ilva è un mezzo flop: qualche giorno fa la Ue ha mandato una lettera con cui ci avverte che la procedura d’infrazione contro l’Italia andrà avanti. Tradotto: il governo non ha fatto abbastanza.
Il fantasma Galletti è stato invece assai attivo tra le mura
del suo ministero, che ha infarcito di uomini vicini all’Udc. Per la precisione di “casiniani” doc: Galletti degli amici non si scorda mai, e a Pier Ferdinando deve tutto. Così ha firmato contratti al portavoce dell’ex ministro Udc Gianpiero D’Alia, Guido Carpani, al consigliere politico di Casini, Mauro Libè, alla segretaria Carolina Sciomer, all’ex capoufficio stampa di Casini, Roberta De Marco e a Davide Russo, anche lui vicino a D’Alia. Senza dimenticare Vittorio Sepe, fino a qualche anno fa presidente dei giovani Udc, e Marco Staderini: da sempre gran boiardo amato da Casini, Galletti l’ha nominato presidente e ad della Sogesid (vedi “l’Espresso” n. 43), carrozzone pubblico con 150 dipendenti e 35 milioni di consulenze di cui in molti predicano, inutilmente, la chiusura. Staderini dovrebbe guadagnare poco sopra i 136 mila euro annui.
LORD MARTINA
Altro desaparecido è Maurizio Martina, titolare dell’Agricoltura. Erede di Nunzia De Girolamo e gran maestro
dell’Expo 2015 di Milano, mostra una “scheda di attività” desolante: una sola legge presentata come primo firmatario a metà agosto alla Camera, due audizioni in Commissione e la ratifica di un «accordo commerciale europeo con Colombia e Perù». Poi, il vuoto. Eppure il suo è un ministero pesante, che gestisce 7 miliardi l’anno della Pac: finora i decreti attuativi dei nuovi indirizzi della politica comunitaria non sono ancora stati scritti, mentre la riorganizzazione dell’Agea e del Sin - le società pubbliche del ministero finite in due inchieste della Procura di Roma - non è ancora partita. Nessun passo avanti nemmeno sul marchio unico del made in Italy, che dovrebbe essere lanciato all’Expo, e sulla burocrazia che limita l’export nell’agroalimentare. «Possiamo aumentare le esportazioni del 50 per cento nei prossimi cinque anni» disse Martina appena nominato ministro. «Ma un prodotto oggi si ferma alla dogana 19 giorni in media. In Francia solo 9, in Germania 7, in Usa 6». Ad oggi le statistiche non sono cambiate: nessuna norma contro le inefficienze è stata partorita, mentre la legge anti-cemento è da mesi su un binario morto.
Prodotto tipico delle Frattocchie del Pds, diventato ministro in quota Bersani ma ormai vicino alle posizioni di Renzi (anche sull’articolo 18), Martina, tifoso dell’Atalanta che vanta nonni contadini, è sempre elegantissimo. E ha reagito ai tagli al suo comparto come un lord: senza battere ciglio. La Commissione Bilancio ha cancellato il 31 ottobre i 30 milioni previsti per i giovani agricoltori, oltre a 150 milioni per il supporto all’export. «Uno schiaffo alle promesse», chiosano Coldiretti e Confagricoltura. Che sperano che Maurizio possa rifarsi presto in commissione, e che faccia miglior figura sull’Expo. Servirebbe un miracolo, però: tra ritardi monstre e inchieste giudiziarie, offerta turistica carente e scarse risorse pubblicitarie, Martina rischia di pagare in caso di flop anche colpe non sue. L’ultimo attacco gli è arrivato
dall’attivista indiana Vandana Shiva, che ha pesantemente criticato le bozze dei programmi dell’evento. «Finora non vedo iniziative su temi fondamentali come la giustizia e la sovranità alimentare, l’agricoltura e la biodiversità: l’Expo rischia di trasformarsi in una fiera della colonizzazione finanziaria, in una vetrina dello spreco».
I DANNI DI STEFANIA
Se la fiducia per Martina tocca il 21 per cento, nella classifica di popolarità di Datamedia l’ultima posizione è occupata dal ministro dell’Istruzione Stefania Giannini. Solo il 17 per cento degli intervistati credono nel suo operato. Tra loro, almeno a rivedere il video dell’incontro di metà luglio con i parlamentari del Pd, c’è anche Matteo Renzi. «Sulla madre di tutte le battaglie, la scuola, non abbiamo ancora fatto tutto. Anzi, anzi... Ci siamo capiti...», ha detto senza nascondere delusione. «Non è un caso» chiosano oggi dal partito «che la Giannini sia stata “commissariata” con la nomina a
sottosegretario di Davide Faraone, l’uomo del premier in Sicilia».
Troppi gli errori che il premier imputa al ministro: i pasticci sul concorso a medicina e le inchieste sulle abilitazioni universitarie (in Diritto privato si contano oltre 200 ricorsi), gli scontri con la Madia sui prepensionamenti, le polemiche sull’ipotesi di raddoppiare le ore di presenza a scuola dei docenti (da 18 a 36, poi saltata). La Giannini, che alle europee ha preso da capolista solo tremila voti portando il partito all’uno per cento, fa spallucce e continua ad annunciare urbi et orbi che con la Finanziaria il governo «investirà oltre un miliardo sulla scuola. Una cosa mai vista prima». In realtà i denari serviranno soprattutto ad assumere in blocco 148.100 precari che galleggiano da decenni nelle graduatorie, e arriveranno da risparmi sullo stesso ministero dell’Istruzione. Una partita di giro, in pratica: dati alla mano il Miur dovrà tagliare 1,1 miliardi, grazie all’eliminazione dei membri esterni agli
esami, alla «razionalizzazione delle spese di pulizia», allo stop agli scatti di anzianità (nonostante i nostri prof siano sotto tutti gli standard europei), all’eliminazione delle supplenze di un giorno. Senza dimenticare la sforbiciata di bidelli, impiegati e qualche decine di milioni di borse di studio.
Glottologa, ex rettore dell’Università per stranieri di Perugia tra il 2004 e il 2013 (la Corte dei Conti sta indagando su un danno erariale da 525 mila euro in merito ai corsi della “Scuola internazionale di cucina italiana” voluti proprio dalla Giannini), la ministra deve la sua carriera a Mario Monti e Corrado Passera, che le offrirono un seggio al Senato. Un altro salto di carriera per la figlia di un gelataio di Ponte a Moiano, vicino Lucca, rettore a 44 anni, che quattro anni fa Berlusconi aveva già inutilmente corteggiato per una candidatura alle regionali. Ora la Giannini, dopo essere pure finita nella bufera per aver speso nel 2011 16 mila euro per trasportare Roberto
Benigni a Bruxelles con un jet Falcon da 10 posti per una lettura della Divina Commedia (i soldi erano dell’ateneo perugino), si gioca tutti i crediti rimasti sulla riforma della scuola.
L’ennesima. Stavolta il progetto prevede, oltre alla sanatoria dei precari («rischiamo di assumere le persone sbagliate», hanno protestato gli economisti de “lavoce.info”), l’autonomia dei singoli istituti e l’abolizione degli scatti di anzianità, sostituiti da aumenti legati al merito individuale dei docenti. «È necessario però chiarire quali sono le conseguenze di una valutazione negativa o positiva, e come faranno i presidi a selezionare la squadra dei docenti. La proposta di riforma accenna a questi temi, ma rimane molto vaga», ragiona il professore di economia Michele Pellizzari. Insomma, si vedrà.
Anche perché, in caso di rimpasto di governo, la Giannini rischia di essere la prima a saltare. Se ne è accorta anche lei, al ritorno dalle ferie estive, quando durante il primo consiglio dei
ministri s’è dovuta difendere dai frizzi e dai lazzi dei colleghi, che per mezz’ora hanno discusso - invece che di edilizia scolastica - del topless sfoggiato da Stefania sulla spiaggia di Marina di Massa. «Sei stata coraggiosa, hai stabilito un record» ha sottolineato Renzi. A ragione: i giornali di gossip hanno già sancito che la Giannini è nella storia, come primo ministro immortalato nudo nella storia della Repubblica». Emiliano Fittipaldi,l’espresso