La depressione oscura il nostro futuro
 











Costi economici e sociali esorbitanti
Il conto alla rovescia è iniziato ormai da 10 anni, ma pochi in Italia se ne sono accorti. Entro il 2020, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), che diede il primo allarme nel 2004, i disturbi depressivi diventeranno la seconda causa di "disabilità lavorativa" dopo le malattie cardiovascolari. Nel frattempo, per colpa della crisi economica, la situazione è drammaticamente peggiorata. E se prima l’età media di insorgenza della malattia era tra i 20 e i 40 anni, oggi sono in aumento le manifestazioni precoci o tardive (in adolescenza o dopo i 50 anni). Circa il 20% della popolazione mondiale presenta, secondo l’Oms, un quadro di "umore instabile" al quale è obbligatorio prestare la massima attenzione.
Ecco perché l’Italia, insieme a Belgio, Francia, Spagna, Germania, Regno Unito, Svizzera, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Portogallo, Grecia, Serbia e Croazia, da 10 anni dedica
alla depressione una giornata di sensibilizzazione internazionale, che si svolge questo sabato 18 ottobre. "La prima edizione, nel 2004 - spiega Giuseppe Tavormina, presidente del Centro Studi Psichiatrici, segretario generale dell’Associazione Italiana sulla Depressione - EDA Italia Onlus - ha avuto come tema proprio ’Conto alla rovescia al 2020’, una ’sfida’ che abbiamo voluto fare nei confronti della malattia. Il focus del 2014, ’Amore e depressione’, è invece dedicato alle problematiche familiari e di coppia che scaturiscono dalla patologia".
L’Oms ha diffuso, poche settimane fa, un video, "Living with a black dog", proprio per spiegare cosa significa vivere con la malattia che colpisce indistintamente chiunque: 2,6 milioni di persone in Italia, oltre 350 milioni nel mondo. Un disturbo debilitante ma curabile, che secondo uno studio del Northwestern University Feinberg School of Medicine di Chicago del 2014 sarebbe addirittura possibile diagnosticare in anticipo grazie a un
esame del sangue basato sulla ricerca di nove molecole. Eda Italia ha coordinato inoltre la pubblicazione di un libro guida sui disturbi depressivi dal titolo "Luce sul male oscuro" (Sardini editore, 2013) scritto da Giuseppe Tavormina et altri, con prefazione di Sergio Angeletti.
"E’ una malattia vera e propria - spiega Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di Neuroscienze dell’ospedale Fatebenefratelli di Milano - uno squilibrio dell’umore caratterizzato da sentimenti di tristezza di diversa gravità, da senso di inadeguatezza, mancanza di speranza, sensazione di malessere profondo, sensi di colpa e dubbi. Temporanei momenti di sconforto e melanconia sono comuni a tutti gli esseri umani, ma occasionali e di breve durata. Persone addolorate per una perdita o un lutto possono sperimentare sintomi depressivi per poi tornare alla piena normalità dopo qualche settimana. Ma quando tristezza, sfiducia e sconforto durano nel tempo o sono intensi e gravi, e comportano notevoli e
significative ripercussioni sulla vita sociale e lavorativa, siamo in presenza di una depressione clinica". Il decorso spontaneo avviene in un arco di tempo che varia dai 6 mesi a qualche anno. Pensare di poter guarire da soli, senza utilizzare le moderne terapie farmacologiche o ricorrere a un terapista, prolunga inutilmente il periodo di sofferenza.
"I disturbi dello ’spettro bipolare dell’umore’ - continua Tavormina - sono molto diffusi, più di quanto si pensi, e si tratta di patologie spesso sottovalutate, non diagnosticate o mal curate; non fare adeguatamente diagnosi e trattamento può portare a varie problematiche di salute pubblica, con conseguenze anche serie come abusi di sostanze, crisi lavorative, rischi suicidari, stupri".
L’impatto sul lavoro. Secondo il report internazionale Impact of Depression at Work in Europe Audit, in Europa un dipendente su 10 ha perso il lavoro perché affetto da depressione e in tutto a causa della malattia sono state perse oltre 21.000
giornate di lavoro. Un lavoratore su dieci in Europa ha preso permessi perché depresso: i costi della malattia nell’Unione Europea sono stati stimati in 92 miliardi di euro nel 2010, con una perdita di produttività dovuta all’assenteismo e al ’presenteismo’ (essere presenti sul lavoro mentre si è malati), che rappresenta oltre il 50% di tutti i costi legati alla malattia". Nel 2012 il centro Ipsos Mori ha condotto una valutazione europea su oltre 7.065 adulti fra 16 e 64 anni, operai o manager, che avevano lavorato nei precedenti 12 mesi: dai risultati, è emerso che il 20% era malato di depressione.
850.000 morti ogni anno. "In Italia - spiega Luigi Janiri, dirigente Medico Consultazione psichiatrica (UOC) del Gemelli di Roma - la prevalenza della depressione maggiore e della distimia (una forma di malattia cronica) nell’arco della vita è dell’11,2% (14,9% nelle donne e 7,2% negli uomini). Negli Stati Uniti, da cui proviene il Manuale Diagnostico del DSM-5, si riporta una stima
della depressione maggiore (escluse quindi le forme lievi, a prevalente componente ansiosa o nevrotica, e le reazioni di disadattamento) del 7% nella popolazione generale, dato che può però triplicarsi nella fascia d’età giovanile fino a 30 anni e nel sesso femminile. Nella sua forma più grave la depressione può portare al suicidio ed è responsabile di 850.000 morti ogni anno".
"Secondo gli studi - aggiunge Mauro Mauri, Direttore Clinica Psichiatrica II Università di Pisa (AOUP) la frequenza della malattia è doppia nel sesso femminile. Sulla popolazione italiana, le ricerche più accreditate rivelano che la probabilità di ammalarsi nel corso della vita è del 6,5% nei maschi e del 13,4% nelle femmine e in generale le donne hanno un rischio quasi doppio di essere colpite (64% vs 36%). Va infine considerato che spesso i casi di depressione non vengono tempestivamente diagnosticati, per cui i dati sono sottostimati, e che tra l’esordio dei sintomi e la diagnosi spesso corrono 3-4
anni".
L’importanza dello Stato. La Società Italiana di Psichiatria ha più volte chiesto al governo di non effettuare tagli ai costi riservati alla salute mentale, ma semmai di potenziare i servizi a favore, come hanno fatto paesi del nord Europa dalla Svezia alla Finlandia. Dove tale potenziamento è stato ignorato, come in Spagna, ogni aumento dell’1% nel tasso di disoccupazione ha portato una crescita dello 0,79% dei suicidi. "Le persone con difficoltà finanziarie sono da 2 a 4 volte più a rischio di sviluppare depressione in un periodo di 18 mesi rispetto alle altre - spiega Janiri - L’indebitamento e la disoccupazione contribuiscono fortemente a questo malessere, di cui l’aumento del tasso dei suicidi è solo uno dei drammatici indicatori. Altri studi, effettuati in Grecia, in Spagna e anche in Italia, confermano l’attualità del legame tra la crisi e la depressione".
Di contro, laddove vengono adottate buone pratiche di protezione sociale, i casi di malattia e di suicidio
diminuiscono. Eppure, nonostante questi siano ormai dati acquisiti, molti paesi europei, di fronte alla pressione della comunità finanziaria internazionale che spinge a una riduzione dei costi, operano tagli drastici a danno del servizio sanitario nazionale: un esempio per tutti, la Grecia, che tra l’altro ha effettuato queste manovre economiche a fronte di un aumento della richiesta dei servizi di salute mentale. E’ stato calcolato, spiega ancora Mencacci, che nell’Unione Europea, per ogni 100 euro pro capite spesi in programmi di supporto alla famiglia, si ha una riduzione dello 0,2% del legame tra disoccupazione e suicidio, senza contare gli studi che dimostrano come interventi di supporto finalizzati al benessere di genitori e figli abbiano una vera e propria azione preventiva rispetto ai casi di patologia, con un guadagno di lungo periodo superiore rispetto ai costi di breve periodo.
Ma allora per quale motivo l’Europa tutta e l’Italia in particolare non investono seriamente
nei servizi a favore della prevenzione? "Una ragione  -  conclude Mencacci  -  sta nello stigma ancora purtroppo associato alla patologia psichiatrica. Ridurre i livelli di stigma è dunque una priorità, perché questo impatta in modo disarmante sulla volontà della pubblica opinione di investire in servizi di salute mentale".
Il legame con la cronaca. Spesso la depressione, accanto alla psicosi, è responsabile di efferati delitti: pensiamo a quella post-partum con infanticidio o alle stragi familiari che spesso si concludono con il suicidio dell’autore della strage. "In questi casi - spiega Janiri - si ipotizza che gli omicidi compiuti rappresentino una sorta di ’suicidio allargato’ alle persone amate e che si voglia, in modo delirante, proteggere le vittime da un mondo esterno ’cattivo’. Spesso nella storia di questi autori di delitti si ritrovano eventi o situazioni traumatiche nell’infanzia o anche in tempi recenti (un esempio per tutti, i veterani delle guerre
americane con disturbo da stress post-traumatico)". Chiaramente, le persone affette da depressione che vivono in paesi con un elevato livello di stigmatizzazione della malattia, considerata spesso come socialmente pericolosa, corrono un rischio molto più alto di andare in tilt. "Ecco perché, in molti casi - spiega Mencacci - la depressione si lega a doppio filo a condotte suicidarie, specialmente se il soggetto vive in solitudine o si sente, in quel periodo della sua vita, abbandonato a se stesso".
Un trend pericoloso: la "psichiatria cosmetica". I dati dell’Osservatorio nazionale sull’impiego di farmaci nel 2011, pubblicati nel luglio 2012, indicano che, a partire dall’inizio degli anni 2000, il trend delle prescrizioni di antidepressivi è in costante aumento di anno in anno. "Nello studio che ho menzionato prima, pubblicato quest’anno - continua Mauri - emerge che l’82% dei pazienti depressi è in terapia solamente farmacologica, mentre il 14 % si cura sia con farmaci che con la
psicoterapia. Va comunque ricordato che solo il 25% in Europa riceve adeguato trattamento per la depressione di cui soffre".
L’introduzione di antidepressivi sempre più mirati alla cura delle varie forme di depressione e con sempre meno effetti collaterali, congiuntamente all’espansione del fenomeno depressivo (in parte dovuto alla sua maggiore riconoscibilità e diagnosticabilità), sta conducendo a una maggiore diffusione dell’uso di questi prodotti. "Oggi in Italia gli antidepressivi delle generazioni successive a quella dei vecchi triciclici e IMAO sono spesso prescritti anche dai medici di base - spiega Janiri - e talvolta con una certa disinvoltura se non leggerezza. Gli psicofarmaci antidepressivi delle nuove generazioni, inoltre, sono indicati anche per diversi disturbi d’ansia e del comportamento, cosicché molte persone li assumono per periodi più lunghi di quelli indicati per la sola depressione. Tutto ciò comporta il rischio di un uso di psicofarmaci tendente alla
’psichiatria cosmetica’, cioè all’assunzione di essi per scopi non precisamente e chiaramente terapeutici, ma come ’pillole della felicità’, come mezzi di restyling della propria personalità, come rafforzatori d’immagine, come integratori psichici a lungo termine. Tali impieghi configurano ovviamente un uso improprio, se non un abuso di psicofarmaci, che già si intravede nel mercato ’grigio’ su Internet. Infine un uso così diffuso e prolungato di antidepressivi sta producendo l’effetto di aumentare i casi di disturbo bipolare indotto o ’innescato’ ".
I centri di eccellenza in Italia. In Italia, i centri più accreditati per la cura della depressione sono il Day Hospital del Policlinico Gemelli di Roma, il Centro Ansia e Depressione Donna della Azienda Ospedaliera Fatebenefratelli-Oftalmico-Melloni  di Milano, la Clinica Psichiatrica dell’Università di Pisa, l’Ospedale S. Andrea di Roma, la Clinica Psichiatrica della Seconda Università di Napoli, la Clinica Psichiatrica
dell’Università di Cagliari, la Clinica Psichiatrica dell’Università di Catania, la Clinica Psichiatrica dell’Università di Torino, senza dimenticare i molti servizi territoriali dei Dipartimenti di Salute Mentale che offrono sempre più numerosi e accurati trattamenti per i disturbi affettivi e, in particolare, per la depressione, una bestia nera che con le giuste terapie si può certamente sconfiggere.
Le testimonianze: "Vedevo solo buio"a cura
La drammatica depressione post-partum di Giovanna. "Ho sempre sofferto di una lieve depressione stagionale: durante l’inverno percepivo sempre una flessione dell’umore verso il basso ma non ci avevo mai fatto veramente caso, era qualcosa di stabile, accertato, che faceva parte della mia persona. Ho capito cosa fosse la depressione solo dopo la nascita di mia figlia. Ritengo che la mia predisposizione, insieme alle alterazioni ormonali del parto, abbiano funzionato da catalizzatori insieme ad una situazione familiare non
idilliaca. Avevo tra le braccia la mia meravigliosa bambina ma non ero felice, al contrario non mi sentivo all’altezza, ero triste, piangevo spessissimo, non riuscivo a vedere un bel futuro ma solo la "fine della mia vita", eppure avevo desiderato molto quella bambina e ora che l’avevo tra le braccia ero spaventata. Mi sentivo inadeguata e molto sola. Prendevo la bambina e dormivo con lei tutto il giorno, poi mi svegliavo e piangevo e poi di nuovo così, per giorni.
La diagnosi è stata semplice perché mio marito lavora nel settore, ma all’inizio ha ritenuto che la cosa potesse passare da sola in pochi giorni. Invece tutto mi creava fatica. In poche settimane sviluppai il terrore di rimanere sola con la bambina, temevo che se si fosse messa a piangere non avrei saputo come fare. Una notte mi alzai per la poppata, ero stravolta dalla fatica, andai da mio marito e gli dissi: voglio andare via. Lui mi rispose: con la bambina o senza? e io dissi "senza". Lì capì che non stavo bene e
l’indomani parlammo di una terapia. Il primo farmaco che presi fu la fluoxetina ma in pochi giorni mi diede un effetto collaterale: la bulimia, può succedere. Lo cambiammo subito con la paroxetina, uno dei più comuni e tollerati SSRI. La salvezza. La luce. Non c’è nulla di cui vergognarsi a prendere un farmaco. Se hai la febbre prendi una tachipirina, se hai il diabete l’insulina, ma in Italia c’è un grosso tabù e quando non funziona bene la mente si teme l’etichetta del ’matto’. Ricordo una vicina di casa di infanzia, una depressione durissima durata quarant’anni. E’ tornata ad essere una persona quando si è convinta a prendere le medicine ma nel frattempo ha perso una vita intera e una figlia che non ce l’ha fatta a starle vicino. Perché delle forme gravi, che durano anni, sono vittime anche i familiari.".
La sofferenza precoce di Camilla. "E’ successo intorno ai 17 anni. Avevo perso un anno di scuola e dopo averlo recuperato, facendo due anni in uno e superando gli esami da
privatista, desideravo tornare nella mia classe, ma la preside non voleva. Così sono finita in un’altra sezione, ma non ero tranquilla: mi sentivo isolata dai miei ex compagni di classe, che erano anche i miei amici. E poi la vivevo come un’ingiustizia: mi ero sforzata, ma non ero stata premiata. Verso dicembre ho cambiato quindi direttamente scuola.
Lì ho trovato una classe meravigliosa, ma io ormai stavo entrando nella mia oscurità. Non volevo andare a lezione, arrivavo alla soglia della scuola e mi venivano gli attacchi di panico. Iniziai a dormire di giorno e la sera a pensare che non ci sarebbe mai stata soluzione a questo dolore. Da lì è iniziata una caduta libera: dormivo per non pensare, non volevo vedere nessuno e pensavo solo alla morte. Niente mi dava conforto. Mi sentivo impotente. Tutti mi dicevano che potevo uscirne, io vedevo solo buio. Non c’era speranza nella mia vita, anche se non avevo neanche 18 anni. E’ durato circa 8 mesi questo isolamento mentale e fisico dal
resto del mondo. E per non pensare di giorno mi facevo le canne, che visto che acuiscono lo stato vitale in cui ti trovi, mi tenevano sempre nel mio inferno. Avevo un rapporto orribile con la vita. A casa non sapevano più cosa fare, mi sentivo prigioniera della mia mente. Mi hanno infine proposto farmi di seguire da uno psicologo: ci siamo andati assieme, ma per provocarlo gli raccontavo solo cazzate e poi scoprii che riportava tutto ai miei genitori. Non l’ho più voluto vedere. E dopo questa ennesima delusione mi sono rimessa sotto le coperte. Non andavo a scuola, non facevo la vita normale di una liceale, non partecipavo a feste, non uscivo con gli amici. Più di una volta ho pensato al suicidio, era l’unica soluzione che vedevo. Ma non l’ho mai messa in atto, alla fine ha prevalso l’istinto di sopravvivenza.
Dopo 8 mesi ne sono uscita. Mio padre mi dava dei lavori da fare, pagandomi, per tirarmi fuori dal letto. L’ha fatto perché voleva dare uno scopo alla mia giornata e io
lentamente l’ho seguito, capendo il suo immenso amore. Ma il vero passo per uscirne è venuto da me: alla fine sei tu che decidi se salvarti o no, gli atri possono solo allungare la mano, sei tu che la devi afferrare, nessuno può farlo per te. Gli psicofarmaci li ho sempre rifiutati. Non ho mai creduto in questi rimedi. L’unico strumento che me l’ha fatta scomparire del tutto è stata la pratica buddista. Recitando ho imparato a ’sentirmi’, ad essere grata alla vita perché ogni ostacolo è diventata un’opportunità per conoscermi meglio e trovare una profonda felicità".
Il vocabolario del malessere
A come Ansia. Ansia e depressione: due termini spesso abusati: è bene imparare a riconoscere i due disturbi, pur ricordando che talvolta possono sovrapporsi. L’ansioso sa di essere malato, va spesso dal medico, tende ad abusare dei farmaci. Il depresso spesso ignora il proprio problema, esita a consultare il medico e non crede alle terapie. Se il suo stato è grave prova un
desiderio di morte.
B come Bipolare. Il decorso del disturbo bipolare è caratterizzato da episodi sia depressivi che di eccitamento maniacale, durante i quali le persone possono diventare estremamente attive, irritabili, euforiche, iperattive, logorroiche o spendere soldi in modo irresponsabile (episodio maniacale).
C come Cause. Si può avere una depressione da stress, da malattie organiche, da farmaci. Non vi è quindi un unico fattore determinante quanto una combinazione di concause. Determinate condizioni di vita, come uno stress esasperato, un dolore, troppi alcolici, abuso di droghe, possono "slatentizzare" una tendenza psicologica o biologica verso la malattia (si parla di "modello della vulnerabilità"). Altre forme sono collegate a una forte componente esterna e ambientale e ad eventi spiacevoli (perdita, lutto, separazione da una persona amata, disoccupazione, malattie, isolamento sociale e affettivo) e a come questi momenti vengono affrontati.
D come Distimia. Presenta
sintomi analoghi alla depressione ma meno gravi come intensità, sebbene più persistenti nel tempo (con una durata minima di due anni). Chi soffre di distimia non ha entusiasmo per la vita e conduce un’esistenza faticosa e senza gioia.
E come Episodio Depressivo Maggiore. Si manifesta con sintomi depressivi di una certa gravità che durano almeno due settimane, tutti i giorni, per buona parte del giorno. Questa forma di depressione coinvolge l’intera vita della persona, dagli affetti, al lavoro, alla vita quotidiana, ai sentimenti. Non è rintracciabile un’apparente causa esterna.
F come Farmaci. La terapia farmacologica rappresenta sempre più la terapia cardine del trattamento della depressione e tale da far considerare gli altri tipi di trattamento, anche se efficaci, più come una integrazione che come un sostituto dei farmaci.
G come Genetica. E’ stata riconosciuta una componente familiare, e quindi un’eredità genetica, nell’incidenza della depressione. Indicativamente c’è un
rischio di ammalarsi del 10%-13% più alto (due volte il rischio della popolazione generale) per il figlio di un soggetto affetto da Depressione Maggiore e del 20%-25% se il congiunto soffre di Disturbo Bipolare.
I come Integrazione delle cure. Oltre a quello farmacologico vi sono oggi disponibili altri trattamenti, come la psicoterapia, la terapia integrata psicofarmaco psicoterapica, la terapia somatiche (elettroconvulsivante), la terapia con luce bianca. Ognuno di questi approcci ha specifiche prescrizioni: ad esempio il trattamento farmacologico e psicoterapico, integrati tra loro, hanno un tasso di successo dal 60 all’80%.
L come Luce bianca (light therapy). Si tratta di un approccio poco utilizzato nel nostro paese ed indicato per le forme ad andamento stagionale di tipo lieve o moderato.
M come Medico di Medicina Generale. Spesso è colui che per primo riscontra segni clinici suggestivi di depressione. Può avviare il trattamento o indirizzare dallo specialista.
N come
Neurologo. Pur avendo una formazione prevalentemente organica, può impostare una corretta diagnosi e terapia
O come Organizzazione Mondiale della Sanità. L’Omg raccomanda di iniziare una terapia di mantenimento per 5-9 mesi, dopo la scomparsa dei primi sintomi depressivi, se la persona ha avuto tre episodi depressivi di cui almeno due negli ultimi cinque anni. Con questa strategia si sono ridotti del 50% i rischi di ricaduta.
P come Psichiatra e Psicologo. Il primo è specializzato nella diagnosi e nel trattamento dei disturbi psichici e in particolare delle forme cosiddette maggiori. È consigliato che lo psicologo collabori sempre con uno specialista in psichiatria per le cure farmacologiche.
Q come Quando e Quanto ci si ammala. La depressione è una malattia molto frequente, con differenze tra i sessi e a seconda delle fasi dell’esistenza. Nell’arco della vita si stima che circa il 15-20% della popolazione mondiale avrà un episodio depressivo clinicamente significativo. La
depressione è 2-4 volte più frequente nelle donne e rispetto agli uomini queste tendono a riferire un maggior numero di sintomi.
R come Ricorrenza. In alcuni casi l’assenza di terapie adeguate facilita la tendenza alla cronicizzazione del disturbo. Il rischio di nuovi episodi (detto "ricorrenza") è circa del 50% dopo il primo episodio e l’eventualità che si instauri un andamento con episodi più frequenti aumenta con l’età o con abuso di alcol e droghe.
S come Suicidio. Il suicidio e il tentativo di suicidio sono eventi che si possono manifestare in percentuali pari al 15% delle persone affette da depressione maggiore, se non trattate farmacologicamente.
T come Tempestività e Tenacia. La depressione si può curare: come? La ricerca scientifica dimostra che un’alta percentuale di persone che soffrono di depressione (circa il 70%) risponde positivamente ai trattamenti quando la malattia viene individuata per tempo.
U come Umiltà. Chi soffre di depressione non deve vergognarsi a
chiedere agli amici aiuto, comprensione e pazienza. Parlare con loro del proprio stato d’animo, delle cure, e trascorrete del tempo in loro compagnia, è sempre salutare. Nessuno può uscirne da solo.
V come Vicinanza e Valorizzazione. Se avete un amico che soffre di depressione, aiutatelo ad organizzarsi nelle sue attività, ma non aspettatevi che possa guarire in pochi giorni. Non accusatelo mai di essere pigro o di fingere di essere malato, non aspettatevi che possa liberarsi da solo della sua malattia con "un po’ di buona volontà...". Non cercate di "tirarlo su". Mantenete un atteggiamento e un comportamento positivo ed improntato a delle realistiche speranze.
Z come Zafferano e altri metodi naturali. Sono in corso studi scientifici interessanti sull’uso di prodotti fitoterapici come l’iperico o lo zafferano, efficaci nel regolare la serotonina, e sui benefici derivanti dall’utilizzo di tecniche di respirazione Yoga.
Stessa malattia, ricette diverse
La
malattia colpisce indistintamente, ha la stessa incidenza dappertutto. La cura invece cambia, e non è una cosa molto rassicurante. In Italia ogni regione fa storia a sé quando si tratta di prescrivere i farmaci contro la depressione. Finisce che in certe realtà si consuma il doppio di medicinali rispetto ad altre, cosa che solleva vari punti interrogativi. Sbaglia chi firma più ricette o chi ne fa di meno? Non è ben chiaro. A guidare la classifica del consumo sono la Toscana e la Liguria, dove in media si assumono 58,9 e 51,4 dosi giornaliere ogni mille abitanti. Altrove il dato è quasi dimezzato: in Campania si ferma a 29,8 e in Basilicata a 29,9.
Non è solo una questione di nord e sud, come in altri settori della sanità. E nemmeno un discorso legato all’incidenza della malattia. Basti pensare a cosa succede in Trentino Alto Adige: a Trento ogni giorno 38 persone su mille prendono una dose di antidepressivo, a Bolzano il dato sale a 53. Ad appena sessanta chilometri di distanza
sembrerebbero esserci molti più malati. Almeno per come la vedono i medici che firmano le richieste. E allora c’è qualcosa di più in queste differenze. Qualcosa che ha anche a che fare con le scuole specialistiche, con il modo in cui i professionisti intendono la cura della malattia a seconda della zona in cui lavorano. Spesso basta un grande nome che decide di usare un medicinale per condizionare decine di colleghi, spingendoli sulla stessa strada.
Si parla di farmaci per i quali in media tutti gli italiani, bambini compresi, spendono ogni anno oltre 8 euro, e che quindi pesano abbastanza sulla spesa sanitaria. Molecole il cui utilizzo, a livello nazionale, è in costante aumento anno dopo anno. Le differenze nella prescrizione tirano in ballo problemi opposti della sanità, l’inappropriatezza, cioè l’utilizzo di cure quando queste non sono necessarie, e la mancata diagnosi. Difficile per il cittadino capire chi fa bene e chi sbaglia. In realtà hanno problemi anche gli stessi esperti
sanitari.
Nelle Regioni dove si prescrivono più antidepressivi si parla di capacità migliore di intercettare la malattia, ma anche di una tendenza eccessiva dei medici di famiglia, e quindi non degli psichiatri, a firmare le richieste per questi farmaci. Insomma si difendono i propri numeri anche se poi magari si impostano politiche per ridurre un po’ le prescrizioni, rivelando di non essere così sicuri di quanto fanno i camici bianchi. Allo stesso tempo chi usa meno antidepressivi sostiene che non ci sia sempre bisogno di medicalizzare questa malattia, che ci sono terapie alternative prima di arrivare al farmaco. Al di là di chi abbia ragione, disorienta trovarsi di fronte a un quadro così eterogeneo. Viste le differenze la conclusione non può essere che una: qualcuno in Italia sbaglia a combattere questa malattia "globale".SARA FICOCELLI, con un commento di MICHELE BOCCI,repubblica