Così cambia la mappa della cooperazione
 











Il 2013 è stato l’anno della solidarietà. L’ultimo rapporto dell’Ocse sui fondi stanziati dai paesi più ricchi a sostegno di quelli in via di sviluppo brinda al record di sempre: 135 miliardi di dollari sono stati mobilitati nel mondo per aiutare i più poveri a uscire dalla fame. «Il mito che vorrebbe i soldi per la cooperazione scomparire a causa della crisi economica è smontato», scrivono i ricercatori dell’Organizzazione. Per il 2014 solo dai 29 membri del Dac, il comitato dei paesi donatori, arriveranno in Africa, Sud America e Asia 35 miliardi e 733 milioni di dollari. Un tesoro a cui contribuirà anche l’Italia: dopo un calo di due anni infatti, saremo uno dei paesi più generosi dei prossimi due. Per il 2014 il governo ha previsto di sostenere le economie emergenti con 525 milioni di euro. Più del doppio di quant’era stato stanziato nel 2013. E sì che la crisi morde forse più di prima, adesso. «C’è stata la volontà politica di mantenere e un poco aumentare l’impegno mancato negli ultimi anni», spiegano dal ministero degli Affari Esteri: «Non è una questione di vincoli europei, quanto di una volontà morale e politica, affermatasi durante il governo di Mario Monti e proseguita nei successivi».
Così, nonostante la povertà stia aumentando anche nelle nostre città borghesi, l’Italia è finita, insieme a Germania e Nuova Zelanda, fra i paesi applauditi dall’Ocse per aver aumentato di molto le proprie risorse verso il Sud. A Roma sono 24 i territori considerati prioritari. Fra questi i principali sono Iraq, Afghanistan, Pakistan, Etiopia e Mozambico, Yemen, Birmania, Bolivia. Niente previsto per l’Ucraina sconvolta dalla guerra civile o per la Libia del conflitto fra bande, islamisti e governo.
«I fondi vengono stabiliti con degli accordi in largo anticipo», spiegano dal ministero: «Sono negoziati che risalgono magari a mesi, anni fa. Per le emergenze c’è un fondo a parte. Tutti gli altri finanziamenti per la cooperazione
hanno tempi molto più lunghi». In Birmania, ad esempio, finanzieremo per 20 milioni di euro, insieme alla Banca Mondiale, una rete per lo sviluppo rurale: piccole infrastrutture, progetti di aziende, servizi che mancano ai villaggi. «La speranza è che questo serva ad innescare processi democratici, che lo sviluppo porti a nuove riforme», dicono dal dipartimento alla Cooperazione. In Etiopia e Mozambico («Paesi a cui siamo legati tradizionalmente»), daremo non solo finanziamenti a fondo perduto, legati all’«intensa attività sul campo delle Ong italiane», ma anche prestiti a tassi agevolati, soldi insomma che nel tempo torneranno a Roma.
Se 525 milioni sembrano tanti, poi, non sono in realtà che la metà di quanto stanzia da sola la Bill and Melinda Gates Foundation in un anno. E non sfiguriamo solo con gli enti privati: la nostra vicina Francia quest’anno ha previsto di spendere 4 miliardi e 723 milioni di euro in cooperazione. Dieci volte tanto lo sforzo italiano. E la voce grossa,
ormai, in termini di cooperazione, non arriva più dall’Occidente. La Cina, da sola, ha investito il 20 per cento di quei 135 miliardi di dollari che viaggiano per il bene dei poveri, diventando uno degli attori più forti della scacchiera globale della solidarietà. La Turchia sta aumentando vertiginosamente le sue «ambizioni» su questo fronte, scrive l’Ocse, con un salto in avanti del 30 per cento: soldi inviati soprattutto in Somalia e nei paesi vicini ad Ankara per l’accoglienza dei profughi siriani. Se l’Europa chiede ai suoi membri di provare a destinare lo 0,7 per cento del Pil alla cooperazione poi, (un traguardo che tra l’altro ha raggiunto solo la Gran Bretagna – l’Italia forse arriverà allo 0,3), c’è una nazione che investe contro la povertà all’estero ben l’1,25 per cento dei suoi fondi nazionali: gli Emirati Arabi Uniti, incoronati dall’Ocse “campioni di generosità” del mondo.
Lo scenario di Ong, enti internazionali e progetti di sviluppo così, sta cambiando radicalmente.
E non solo per il sorpasso delle nuove economie su quelle occidentali. Ma anche perché tutti i fondi statali messi insieme non sono che il 28 per cento del totale degli aiuti che arrivano ai paesi più poveri. La fonte principale di sostegno sono ormai i soldi spediti a casa dagli emigrati all’estero: le rimesse hanno raggiunto globalmente i 351 miliardi di dollari nel 2012. E a queste si aggiungono i fondi privati o non ufficiali di associazioni, fondazioni e enti non profit internazionali. Dietro a cui l’Italia arranca col suo mezzo miliardo. Francesca Sironi,l’espresso