Primo colpo di piccone alla Costituzione
 











Il primo colpo di piccone alla Costituzione repubblicana arriva poco dopo l’ora di pranzo. Il Senato approva il testo che stravolge la Carta, senza il sì dei due terzi dei parlamentari sarebbe stato possibile il referendum. Niente da fare. La larga intesa si salva per soli quattro voti. I favorevoli raggiungono quota 218 - che a palazzo Madama significa maggioranza qualificata – ed evitano la consultazione popolare. Il Senato approva in seconda lettura il ddl costituzionale 813-b, che stravolge l’articolo 138, la “valvola di sicurezza” della Carta, e affida a un comitato di 42 parlamentari il compito di riscrivere almeno la metà della Costituzione. Di fatto porte spalancate al presidenzialismo. A favore si erano già espressi i partiti di governo più la Lega nord. Contrari solo i Cinque stelle e Sel, ovvero 57 senatori su 321. Troppo pochi. Anche se la perpetua guerra fra falchi e colombe del Pdl aveva rischiato di riportare il Parlamento sulla “via maestra”. Purtroppo non è andata così. Per quattro voti. C’è chi azzarda che sia stata la Lega nord a salvare il governo di Enrico Letta. Sarà. Ma non è questo il senso della giornata. Appena due settimane fa decine di migliaia di persone in piazza a Roma avevavano chiesto di non stravolgere la Costituzione. Il Parlamento è rimasto sordo.
E’ la seconda deliberazione del Senato, il via libera finale spetta alla Camera, che ha già votato il 10 settembre. Le “colombe” alfaniane danno la colpa dell’agguato ai “falchi” berlusconiani. «Qualcuno ha tentato di far cadere il governo - accusa in una nota Roberto Formigoni - Ma il tentativo è fallito. Basta leggere l’elenco dei senatori di maggioranza che si sono astenuti nel voto per l’istituzione del comitato per le riforme, o che pure essendo presenti in aula non hanno votato. Soprattutto all’interno del Pdl è necessario un confronto serio, onesto e definitivo». Accuse alle quali Franco Nitto Palma, uno dei senatori del Pdl che ha scelto di
astenersi, replica prontamente: «Formigoni cerca di spiegare le mie idee e mi addebita la volontà di far cadere il governo. Nulla di più sbagliato. Se questo fosse stato l’intendimento, sarebbe stato sufficiente parlare con i senatori pugliesi. Su una cosa Formigoni ha ragione, e cioè che all’interno del Pdl sia necessario un confronto serio e onesto, ma non necessariamente definitivo».
Dichiarazione preoccupatissime arrivano invece dall’opposizione. «Da qualche minuto il Senato ha licenziato un ddl che consente uno strappo al 138, questo aggrava il nostro giudizio critico sull’attuale maggioranza di governo, è un gioco d’azzardo mettere mano alla Costituzione con questo governo e con questa maggioranza», denuncia il leader di Sel Nichi Vendola. I parlamentari di Sinistra Ecologia libertà al momento del voto hanno indossato per protesta il fazzoletto rosso dei Partigiani. A parlare per il M5S è la capogruppo Paola Taverna: «Se Pd e Pdl non hanno paura dei cittadini e sono così
sicuri delle loro azioni perché non indicono un referendum sulla deroga all’articolo 138?». La domanda resta nel vento.
Dopo il voto di oggi rimane comunque da vedere cosa succederà nel Pdl. Come risulta dai tabulati, la fronda interna è formata da 11 senatori che si sono astenuti (l’astensione al Senato vale come un voto contrario). Si tratta di Maria Elisabetta Alberti Casellati, Vincenzo D’Anna, Domenico De Siano, Ciro Falanga, Pietro Iurlaro, Pietro Langella, Eva Longo, Antonio Milo, Augusto Minzolini, Francesco Nitto Palma e Domenico Scilipoti. «Per fortuna si è raggiunto lo stesso il quorum - dichiara il presidente dei senatori Pdl, Renato Schifani - Sono ottimista, preferisco vedere il bicchiere mezzo pieno». Dopo questi ultimi sviluppi, il vicepremier e segretario del Pdl Angelino Alfano e Raffaele Fitto, ritenuto l’anima della corrente dei lealisti, si incontrano per un faccia a faccia alla Camera. Se ne vedranno delle belle.
Durissima la critica di Paolo Ferrero, che
parla di «golpe bianco». «L’approvazione al Senato del ddl costituzionale che istituisce il comitato per le riforme costituzionali – osserva il segretario di Rifondazione comunista – è un vergognoso atto di forza del governo dell’inciucio che seppellisce la lotta di Liberazione. La modifica dell’articolo 138 non è un atto ordinario: rappresenta la demolizione del cardine della nostra Costituzione così come è stata pensata dai costituenti dopo la lotta di liberazione dal nazifascismo. Questo atto stravolge la Costituzione trasformandola da quadro rigido garante della civile convivenza in flessibile strumento nelle mani di questa maggioranza politica. L’unica parola che definisce una simile forzatura è golpe bianco; un cambio di regime dall’alto, che avviene alle spalle e sulla testa del paese. Che non potrà esprimersi con un referendum su questo stravolgimento».  Frida Nacinovich